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Il mondo non è banale? ░ Il linguaggio conveniente del Sublime Prefetto



¨Sutta (vedico: sūtra; letteralmente: filo*) del linguaggio conveniente del Sublime Prefetto**
Mia Nonna dello Zen così ha udito:
una volta dimorava il Sublime Prefetto presso la Basilica di Sant’Antonio, nel codice catastale di Padua. E il Sublime così parlò: “Quattro caratteristiche, o mio bhikkhū***, dirigente dell’area del decreto di espulsione e dell’accoglienza e dirigente anche dell’area degli enti locali e delle cartelle esattoriali e dei fuochi d’artificio fatti come Buddho vuole ogni qualvolta che ad esempio si dica “cazzo di Buddha” o anche “alla madosca” o “gaudiosissimo pelo”, deve avere il linguaggio conveniente, non sconveniente, irreprensibile, incensurabile dagli intercettatori; quali quattro? Ecco, o mio dirigente che ha distrutto le macchie: un dirigente d’area parla proprio un linguaggio conveniente, non sconveniente, un linguaggio conforme alla Dottrina del Governo, non in contrasto con essa, un linguaggio gradevole, non sgradevole, un linguaggio rispondente al vero, non falso. Queste quattro caratteristiche, o bhikkhū dell’ufficio territoriale del Governo, deve possedere il linguaggio conveniente, non sconveniente, irreprensibile, incensurabile dagli intercettatori.” Questo disse il Sublime Prefetto e, avendo il Beato parlato in tal guisa, così soggiunse il Maestro:
1.”I puri mettono al primo posto il linguaggio conveniente, al secondo posto il linguaggio conforme alla Dottrina del Governo, non in contrasto con essa, al terzo posto il linguaggio gradevole, non sgradevole, al quarto posto il linguaggio rispondente al vero, non falso.”
Allora il venerabile dirigente dell’Area, levatosi dal sedile e scopertasi una spalla o la fronte, se aveva il cappello, giungendo le mani, dopo essersi tolto gli occhiali, così disse al Sublime: “Mi è chiaro, o Beato!” “Ti sia chiaro, o dirigente dell’Area, Pasquale, sei Pasquale, no!?” rispose il Sublime. Quindi il venerabile Pasquale dinanzi al Sublime intessé le sue lodi con questi appropriati versi ainici:
2. “Si parli dunque un linguaggio che non cagioni tormenti a se stessi e non rechi offesa ad altri, anche emigranti e immigrati, espulsi e ricorrenti al giudice di Pace perché abbiamo dimenticato di apporre il timbro “copia conforme all’originale” anche in forma digitale, basta aggiungere on line acché si veda una stilizzata penna stilografica che fa figo; quello è linguaggio conveniente, e non si profferisca niente in merito al fallo del Buddho, che, anche in conformità all’originale, è, anche senza timbro, non contemplato nemmeno al primo grado della tabula fallica di Eric Berne.
3. Si parli un linguaggio gradevole e letificante; senza malignità si parli un linguaggio che sia grato agli altri.
4. Il vero è parola immortale, questa è un’antica dottrina di ogni Governo; i puri si attengono saldamente al vero nella teoria e nella pratica: se sono mille gli immigrati da accogliere, mille siano enumerati e accolti, mille denari per essi e mille denari per noi altri.
5. Il Buddho parla un linguaggio di pace che conduce al nibbana e al gaudio, anche con il semplice esclamare: Fallo del Buddho, pone termine al dolore e alla peregrinazione per mare e per terra; ma, volendo, si può anche alternare il fallo del Buddho con il fallo del Tathāgato, che significando “così andato” e anche “così venuto”, sarà l’augurio del Prefetto Sublime che “così venuto”, o “così andato, così lo accogliamo; colui che ha vinto per mezzo della verità, abbiamo fatto delle porcherie, disse il Sublime, e va bene: le abbiamo fatte, è la verità, è il linguaggio più eccelso, cazzo di Buddha!
*I sutta sono i capitoli che compongono i testi del primo “canestro” del canone buddhista del Sublime Prefetto.

**Leggi e cfr. : Migranti, l’ex prefetto di Padova al suo vice: “I carabinieri vanno a perquisire il centro. Avvisa quelli della cooperativa”

***E’ “colui che ha distrutto le macchie. Con l’accento lungo sulla “u”, il “monaco elemosinante”, ovvero colui che vede il mondo di ogni provincia in cui dirige l’area di sua competente come fonte di angoscia e di sofferenza, è usato nella forma plurale: quindi, il Sublime Prefetto si rivolge a più di un dirigente che ha distrutto le macchie.