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Il mondo non è banale? ░ Il linguaggio conveniente del Sublime Prefetto

¨ Sutta  (vedico: s ū tra; letteralmente: filo * ) del linguaggio conveniente del Sublime Prefetto ** Mia Nonna dello Zen così ha udito: una volta dimorava il Sublime Prefetto presso la Basilica di Sant’Antonio, nel codice catastale di Padua. E il Sublime così parlò: “Quattro caratteristiche, o mio bhikkh ū *** , dirigente dell’area del decreto di espulsione e dell’accoglienza e dirigente anche dell’area degli enti locali e delle cartelle esattoriali e dei fuochi d’artificio fatti come Buddho vuole ogni qualvolta che ad esempio si dica “cazzo di Buddha” o anche “alla madosca” o “gaudiosissimo pelo”, deve avere il linguaggio conveniente, non sconveniente, irreprensibile, incensurabile dagli intercettatori; quali quattro? Ecco, o mio dirigente che ha distrutto le macchie: un dirigente d’area parla proprio un linguaggio conveniente, non sconveniente, un linguaggio conforme alla Dottrina del Governo, non in contrasto con essa, un linguaggio gradevole, non sgradevole, un linguag

La posa del caffè e la psicanalisi │33 ⁞ La stagione del Medlar-Sky



La posa del caffè e la psicanalisi 33 v Medlar-Sky. Il cielo del nespoloDopo aver ricevuto l’Illuminazione, mia nonna circoscrisse il territorio Zen con cinque frutti: il frutto-base l’arancia, il frutto-guardia o limite il fico d’india, i frutti-contorni della vita: il gelso, la ciliegia e la nespola. Lo Zen dell’Arancia , la giovinezza che disseta e la maturità che nutre. Con gli schemi verbali: estinguere la sete, sorseggiareassaporare, gustare[i]
Il poeta ancor dentro quel periodo che viene dopo la pubertà  e il nespolo, che, come un meridiano, è lui il demone meridiano di quell’arco di tempo tra resistenza e malizia, è lì quasi al centro, ma più verso nord-ovest, nel Giardino dello Zen dell’Arancia, che si staglia verso lo Zenit: non s’era mai visto un nespolo così alto, anche perché se lo schema verbale che contraddistingue la sua azione di base è “non lasciarsi andare”, correlato allo schema del “non esporsi”, l’oggetto “a” che si sta portando con la scala verso l’apice del nespolo non può che “camminare sopra un filo di seta”.
Nella verticalità del nespolo, cosa può chiedere il poeta al suo oggetto “a” così somatizzato, e l’oggetto “a” così somatizzato non sta salendo sul suo (-φ)? M., quando l’ho vista la prima volta su per il meridiano del nespolo, mi pare di averle detto di parlarmi dolce, se vuoi spezzarmi l’anima – e non vuoi – le dissi, allora parlami dolce, o cantamela, con tutta quest’aria tua dell’aria in sere di sogno e anche così estranea e incazzata, fossi stato Xosé Bolado[ii] t’avrei accarezzato i capelli, el to pelu per abituarmi al soníu del agua, al suono dell’acqua, sopra i vetri, al esgayu allegre de los rellámpagos. Lo squarcio allegro dei lampi, è questo che mi piace in te, e, non so se è il tuo sguardo o l’angolo tra naso e bocca e occhi, c’è questa suddivisione in ombre differenti e il mutevole calore con cui puntualizzi il tuo esserci , la tua deissi. Che non si espone e non si lascia andare, sali su come se camminassi sopra un filo di seta, non sei il capro davanti all’Albero, la postura 23 del maestro Tung-hsüan, né siamo venuti a fare la Scimmia gemebonda che abbraccia l’Albero, in questo caso dovrei essere l’albero, che, in ogni modo, non potrei non esserlo, anche quando poi potrebbe andare a finire che nella scena finale l’oggetto “a” così somatizzato non è che l’Asino di tre anni, che, a conti fatti, in un elenco, ebbe come numero il 29, che, anche nella smorfia, è quello il numero del meridiano, del (-φ) e dell’albero.
marisa aino  v.s.gaudio Ó 1970
La nespola , e quindi il nespolo, rinvia al capro, che ha numero 23, che in un certo gergo è la figura del cinque, essendo 23, 2+3=5, la cifra del deretano, e quando sale sul meridiano l’oggetto “a” così somatizzato è un corpo del Capricorno, che è anche il segno della nespola, e dell’incavo delle ginocchia[iii].
Se giunti a questo punto tiepido e così luminoso del pomeriggio, in cui non si va e non si ritorna, in questo spazio dei rilevamenti, che guardandomi mi tocca, fálame duce, disse il poeta, parlami dolce perché io non ho parola che appesa al tuo paradigma somatico possa profferire quando liscio el pelu del tuo bagliore ainico.
Tra voce e sguardo, e la tua pelle che un po’ sa di nespola ed è tra la grafite e l’onice, ma è sabbia, così candida e tangibile, che estende il meridiano fin tanto che il visionatore di nascosto non si stanchi mai di far pulsare la sua pulsione uretrale, se vuoi spezzarmi l’anima – e non vuoi- è questo che ti dico, parlami dolce, dentro i segreti della terra  nel punto più alto quando, come oggetto “a”, sei adesso  al mio meridiano che,  se vuoi, puoi spezzarmi l’anima.
Ci fu un poeta danese che scrisse che non sono gli alberi da frutto nel piovisco a renderti triste, e nemmeno il fatto che gli attrezzi sul prato bagnato siano stati lasciati lì, l’oggetto “a” così somatizzato che sale la scala sopra un filo di seta non è nell’autunno e se lo si osserva bene c’è un segreto raggio di sole tardo   e solo in quel momento reso visibile che si connette al suo bagliore ainico, in quell’angolo, in quel punto del giardino che, se vai a vedere, è lì che la primavera si faceva colma tanto che il suo profumo emanava odore fin dentro il fantasma del poeta e del suo oggetto “a”, in quel punto che per come è aperto pare che scivoli il nespolo fino a terra spinto dal maestrale, se soffia il vento dei fichi d’india, e dal libeccio, se il vento è quello della ciliegia: prima, lo schema verbale è quello del passare sotto silenzio; poi, lo schema è quello dell’avere un sorriso per tutti e del parlarmi dolce nella pulsione tattile che lega il filo di seta alla scala e il bagliore ainico all’albero[iv] e al (-φ) che è quello del poeta, prima, e del visionatore, dopo.
Il nespolo è lungo, nel Giardino Zen di Mia Nonna, è un meridiano che allude sempre all’assenza di qualcosa o di qualcuno, è come se il (-φ) fosse sparito dalla scena perché sta arrivando da un altro punto, è così imminente il suo arrivo a lungo atteso, la stagione è la sua, è quella del mese del gaudio, il mese della pulsione tattile dell’oggetto “a” così somatizzato e della pulsione uretrale del poeta-visionatore: se si osserva l’habitat attorno, e fin giù, ad est, verso il mare, non c’è l’infinito degli ulivi e nemmeno i mille occhi dei guardiani dell’ombra, i rami e le mani e la scala, l’albero, il tronco, e il dorso  su cui, se fosse stato il mattino, il sole avrebbe sbiadito il bagliore ainico, e, nella tarda controra, invece, illumina  quel suo bagliore ainico l’erba che come una fenditura di legno è lì che annega il bonheur, lo squarcio allegro dei lampi.
Su per la scala di un meridiano è il nespolo
che fluttua sopra di noi e non è un cielo
io ho detto che quella vetta è la scrittura di Henry Miller,
e quell’altra la figura di Gesù
e questa foglia è il sogno di Platone
e quell’altra è Witold Gombrowicz,
e questa è Cézanne non è Kipling,
e ancora il ramo che di qua fa Edgar Allan Poe
e di là sventola Jack London , insomma tutte
queste foglie sono vette e i rami poemi,
scritture che fendono il cielo.
E ho detto: “Che cosa se ne fa Dio del nespolo
su cui sale al meridiano il mio oggetto “a”
e già dentro la giovinezza si eleva quasi fino al cielo?”


[i] Cfr. V.S.Gaudio, 16.I cinque Zen di mia nonna, in: Idem, Mia nonna dello Zen, in: Alessandro Gaudio, Il limite di Schönberg. Il principio ibrido, il disagio e la mancata fine del  romanzo. Ricerche estetiche con testi di V.S.Gaudio, Edizioni Prova d’Autore, Catania 2013.
[ii] Poeta spagnolo(Oviedo,1946) che recupera  e usa la lingua asturiana, il Bable.
marisa aino  v.s.gaudio Ó 1970
Meridiano del Medlar: part.
[iii] C’è la somatica che c’è nella pittura di Cézanne, la sua devozione al mondo visibile ma nella fisionomia morale dei gesti: tra realtà e sensazione fin dentro l’impressione immediata, senza precisare i contorni, senza circoscrivere il colore nel disegno, senza comporre la prospettiva né il quadro. L’oggetto “a” sulla scala del nespolo è la natura e l’ottica, la sensazione e il pensiero, come Cézanne rimette l’intelligenza, le idee, la prossemica, la prospettiva e l’esserci a contatto con il mondo naturale che esse sono destinate a comprendere, è come   confrontare quel corpo sulla scala con la scienza e l’occhio del visionatore. E’ la somatica del bagliore ainico nella sua ascesa dentro la giovinezza, è nella prospettiva vissuta, quella della percezione del poeta-visionatore, non è la prospettiva geometrica o fotografica, dentro un’ellisse o intorno, senza essere un’ellisse. Il bagliore ainico, o l’immagine somatica, del medlar-sky: come Cézanne che scrive da pittore quel che non è ancora dipinto e lo rende pittura assolutamente, l’oggetto “a”, dotato del bagliore ainico, sale nel cielo del nespolo che non ha ancora nespole e lo rende medlar-sky somaticamente.
[iv] Si specchia così con Eveline, la sorella della signora Gagelin, di cui dice Max Jacob per le dame del terzo decano del Capricorno: la sua gioia più grande è fare una gita in macchina in campagna, la domenica, e pranzare sotto gli alberi. Senza dimenticare la schietta allegria solare e il piacevole linguaggio senza peli sulla lingua, e l’intelligenza profonda, e i bei vestiti e quel far sottentrare il governo della barca, in cui lei è maestra perché è dentro il segreto dello schema verbale dello zen del nespolo: “camminare sopra un filo di seta”, ovvero “salire sulla scala del nespolo nel tempo del gaudio”.