Gianni Sinni
Persianissimo
16 giugno 2011
La grafica iraniana ha suscitato negli ultimi anni molto interesse, anche se rimane poco conosciuta ai più, per quelle sue caratteristiche formali capaci di riunire con naturalezza una tradizione visiva secolare con la ricerca grafica più avanzata. Una riconoscibile “identità” nazionale, quella iraniana, nel panorama internazionale del graphic design dove sono sempre meno riconoscibili le differenze geografiche e culturali. Una combinazione che si basa sulla felice unione tra una sorta di lirismo visivo e la potenza grafica della scrittura Farsi e che, a partire dal lavoro di Morteza Momayez (1936-2005), vero e proprio caposcuola della grafica iraniana negli anni Settanta, si è sviluppata e rinnovata fino ai nostri giorni.
La mostra
Persianissimo che sta facendo tappa in varie parti del mondo (la prossima a luglio a Toronto) presenta, facendo tesoro del superlativo italiano, il meglio della produzione della grafica nazionale in un’ampia selezione a cura di Majid Abbasi. Un percorso il cui sottofondo è costituito dagli eventi storici che si sono susseguiti negli ultimi decenni e dalla difficile situazione politico-religiosa in cui sono chiamati a operare, non senza contraddizioni, i grafici iraniani:
“In questi ultimi decenni — scrive Majid Abbasi nell’introduzione alla mostra — abbiamo assistito alla rivoluzione del 1979, al rovesciamento dello Scià, al capovolgimento dell’allora situazione politica, all’attacco di Saddam contro l’Iran nel 1980, a una guerra di otto anni, alla cessazione della guerra, all’inizio di un’atmosfera sociale più libera in Iran, alla pressione internazionale sulle attività nucleari, alla crisi monetaria mondiale, alla caduta del prezzo del petrolio in Iran e, infine, abbiamo assistito a un movimento degli iraniani verso la democrazia senza precedenti. Il graphic design iraniano è stato, senza eccezioni, influenzato da un sacco di cambiamenti”.
Le pesanti limitazioni della libertà espressiva diventano lo stimolo per ricercare soluzioni creative, con una forte analogia con quanto avveniva con l’estesa produzione di poster nella Polonia comunista, per aggirare, per quanto possibile, le maglie di una censura occhiuta e onnipresente. Una forzata attitudine che, sfruttando le opportunità delle tecniche e delle modalità del graphic design contemporaneo, già sembra aprire la strada, dice ancora Abbasi, a “un’originalità post-islamica delle arti iraniane”.
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E' Majid Abbasi o Giancarlo Pavanello? |
v.s. gaudio says:
IZAFET DESIGN?
E’ strano, una volta feci degli esercizi di lettura, da una grammatica persiana degli anni dieci del secolo scorso, e il bello è che, avendo memorizzato l’abbinamento del calligramma persiano con la parola italiana, cercavo, poi, riferendomi alla prima riga del mio esercizio: “(un) individuo dietro (il) ponte (che era) cattivo (di) testa dentro (e) sopra”!
Un’altra stranezza fu questa: avevo in testa il calligramma di “donna” , di “dorso”, di “nome”, di “rosso”, “parola”, “diavoleria” e in ogni testo rinvenivo ogni volta una di queste parole che allora si faceva punctum così carico di senso e seduzione.
Grafologicamente, c’è tutto un mondo di sensualità, anzi ci trovo la “carne” e il “tergo”, come li intendeva Merleau-Ponty; d’altra parte non potrebbe essere altrimenti, visto che il persiano ha solo due aggettivi dimostrativi e non ha l’articolo definito essendo il sostantivo per se stesso sempre determinato.
Mi chiedo se nella grafica postmoderna venga usato l’Izafet delle Intitolazioni, che è una specie di accento, che serve anche a determinare il genitivo, l’aggettivo e il relativo.
Nella poesia visiva, il veneziano Giancarlo Pavanello negli anni Settanta è stato l’autore di calligrammi che, in qualche modo, hanno il denso corporalismo della lingua che durante la dinastia dei Sassanidi si chiamò Parsi o Pazend: il “Pazendismo” di Pavanello?