RUE6914/01/2012 à 11h37
Bob Sinclar, Katsuni, Siné, Paulette... L'orgasme en dix récits
Renée Greusard
Journaliste
Quand elle jouit, Francesca a l'impression que des paillettes vont sortir de son vagin. Paulette, du haut de ses 73 ans, raconte qu'elle n'a connu la jouissance que deux fois. On a beau savoir (à peu près) tous ce que c'est, on ne le définit pas tous de la même manière. L'orgasme reste un des mystères absolus de l'humanité.
Nous avons demandé à dix personnes de nous raconter ce qu'était, pour elles, un orgasme. Le résultat est drôle, étonnant, touchant parfois.
· Le récit onze est:
Le Sonar de Simone Dauffe
· Le récit douze est:
La lumière de Melina à tricycle
par Lino Angiuli
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E questa Simone potrebbe avere la prossemica anamorfica, o prossemica della macchia, contenendo così due campi di forza e tre forme di munus., e lo schema verbale di cui ai verbi proairetici della libido liquida di Simone Dauffe? |
Il Sonar di Simone Dauffe
Simone Dauffe, la
ventunenne ectomorfa, si fa mousser le créateur le dimanche standosene a letto, anche
se abita a Chambéry-le-haut e il y a le marché du dimanche matin. Elle sonne son carillon a
soixante-dix coups alla volta: pensa che la stia suonando
il batacchio di un uomo adulto che alla Fête Médiévale le ha fatto carilloner
le Calibistrix in un incontro pubblico in cui ha sentito l’enormità del suo
désir, una sorta di 4° grado erettivo in un eretismo fantasmato durato almeno
un paio d’ore. Avviene che in una
domenica particolare gli stringe tanto il cazzo all’uomo fantasmato,le serre de
près le cas, che gli fa siffler les oreilles, gli fa zufolare le orecchie: non fa che pensare
all’emboîtage, all’emboîter, tanto che fa siffler,
emboîter, les oreilles du désiré. Simone fa venire in mente
il fatto che i delfini godano nell’essere chiamati “Simon” e i 32 segnali, i clics del delfino, il sonar. A Chambéry-le-haut,
pertanto, le dimanche, quando le Grand Carillon tace, è il Sonar di Simone, il
suo Calibistrix, che è sconquassato, chambardé a tutto spiano, con suonate
calibrate sulla sequenza del 32, tanto che avviene che il Bonheur-double faccia
siffler les oreilles sia a Simone che al suo fantasmato che, in questa
reciprocità delfinica, le sta sconquassando le Calibistrix con il battaglio.
In argot, “Dauffe” è lo
strumento di effrazione, le “coup de pouce”, che rinvia ai verbi
proairetici “mettre”,“planter”,”percher”,”caser”,”poster”,”flaquer”,”coller”,”ficher”,”fourrer”:
i verbi dell’ esquintement, du bris che le Dauphin de Simone sta usando:
il “minchione magico ultrasonico” del Poeta e il Calibistrix di Simone: il
concerto della domenica a Chambéery-le-haut, ma della domenica in cui nel
bioritmo degli stati della libido di Simone ci sia le “jour critique”, le jour
du coup de pouce, le jour du bris, le jour de l’esquintement, le jour du Sonar,
le jour du Dauffe, le jour de
Simone.
[da : V.S.Gaudio, Chambonheur », © 2005:è in programmazione su gaudia 2.0 come estratto Chambonheur n.5]
La luce sul triciclo di Melina
Esempio: quando il maschio che mi fecero sposare si avvicina
dentro il letto per fare le cose dei porci a testa sua, senza una parola all’andata
e senza una parola al ritorno, allora io, pure che sto all’oscuro, basta che
chiudo gli occhi e appiccio il neòn: lui si piglia il suo strigno di animale e
io, mentre che faccio il dovere, mi piglio il mio strigno di luce, una luce con
cui mi sono imparata a fare cataplasmi decotti impacchi per sanare da ogni cosa
male.
Beato chi la tiene dentro a lui quella fontana che mena luce
e beato chi se la riesce a trovare, perché tante volte, pure se la tieni, ci
stanno intorno tante erbe palazzi automobili che non capisci la strada da fare
per andarti a riempire una giara o almeno un bicchierino di rosolio.
Io per fortuna la tengo a due passi e quando l’ appiccio
vedo tutto con occhi diversi, anche la faccia mia.
E vedo nononno, come no? Lo vedo intatto e naturale come
quel giorno di maggio, che lui mi viene incontro con la testa di sole dentro il
sole. Io vado sul triciclo; lui si avvicina a passo lento; si abbassa sopra a
me e con calma, molta calma, mi fa “Melina, Melina, minenna bella, piccinenna
di nononno tuo, non è niente a te; deve passare”.
E passa davvero, lo sai?
[da: Lino Angiuli, Melina del triciclo,
in: Idem, La panchina dei soprannomi, Gelsorosso, Bari
2011: pag.77]