Alessandro Gaudio
· Dalla Nuova Scrittura al Teatro Elementare:
5. All’interno di un volumetto di dodici pagine (non numerate e
non rilegate) scritto dall’Apicella, intitolato Il
gruppo teatro itinerario
e stampato nel novembre del 1977, in formato ridottissimo (11 x
18,5 cm) e in tiratura limitata (500 copie), presso le Edizioni Teatro
Itinerario, ideate e dirette dall’eclettico poeta veneziano Giancarlo
Pavanello, viene precisata l’indole di un artista che – a detta della
stessa semiologa – resterà il solo in grado di portare avanti la dimensione
‘praxiglossica’ della Poesia Visiva.
Il
Teatro Itinerario era un laboratorio fondato dallo stesso Pavanello
e conclusosi nello spazio di quattro mesi, dal settembre al dicembre
’77. Il gruppo si faceva promotore di un «Teatro Elementare» che –
diceva l’Apicella –, a patto che esista lo spazio scenico, «si può fare
con tutto: i gatti in gabbia, la Poesia Visiva, la Poesia Concreta, la
Poesia Manoscritta, i libri, i poeti che dicono le poesie, la pedana,
un tavolo, un albero, un manifesto». Questa forma di teatro (che
coinvolge al suo interno lo spettatore) si basa su un linguaggio che,
superando la
monoglossia, arriva alla
singlossia, incrocio – come si è
appurato – di linguaggio visivo e di linguaggio verbale e, nelle
parole della studiosa, «grande rivoluzione semiologica del secolo
ventesimo»: proprio perché, all’esperienza estetica (dettata dalla
Poesia Visiva, Concreta o Manoscritta), si affianca l’esperienza funzionale-
economica dell’
affiche pubblicitario, del fumetto e del poster.
Nel punto di congiunzione delle due esperienze si troverebbe la
singlossia cinetica che introdurrebbe la dimensione del movimento
che «crea una diversificazione spazio-temporale». Completano il libriccino
alcuni grafici che aiutano a comprendere la nuova direzione
assunta dalla comunicazione singlossica.
Al manifesto del
Teatro Elementare, intitolato
Dalla Nuova Scrittura
al Teatro Elementare e redatto dallo stesso Pavanello nei mesi di
novembre e dicembre del 1977 (anche se poi pubblicato soltanto nel
gennaio del 1978 per le
Edizioni Poesiateatro, altra sigla editoriale di
sua proprietà, sorta dalle ceneri del
Teatro Itinerario), si rifarebbe la
mostra di oggetti denominata
Il Tesoro (allestita a Udine e, poi, a
Trento sempre nel ’77), tra i primi esempi di esperienza singlossicocinetica.
Nel
Manifesto si fa riferimento alla teorizzazione dell’Apicella
sulla singlossia, per ribadire il modo in cui essa sia fondamentale per
comprendere il modo in cui, sostiene Pavanello, la nuova poesia,
pur avvicinandosi alla vita, diventa sinfonia, paradossalmente «diventa
teatro». Ma non si tratterà di certo dell’ultimo paradosso
d’avanguardia: tanto che, nel gennaio del 2010, Pavanello inaugurerà
a Bologna una mostra personale di Poesia Visiva, intitolata proprio
Poesia in scena: testi poetici brevissimi su tavole chirografate,
fotografate, incollate, manoscritte e verbo-visive, da guardare e da
leggere percorrendo lo spazio espositivo(19).
Dai primi anni Settanta in poi, Pavanello è passato attraverso la
poesia visualizzata, la
poesia critica, la
poesia figurata e la
poesia laconica:
spesso il poeta raccoglieva le sue prove in opuscoli a tiratura limitatissima
(500 copie al massimo), ma particolarmente accattivanti sul
piano tipografico, il cui scopo era quello di sostituire il decoro del
quadro e arrivare a tutti i livelli sociali. In tal senso, molto interessanti
appaiono gli approdi della poesia laconica: si tratta di una poesia,
composta da una fino a tre parole, che sorge dal silenzio –
sostiene lo stesso Pavanello – e che cerca il massimo grado di concisione
in un neologismo (si segnalano, tra i tanti,
traumazione,
telestasi,
musicastenia,
afonologo,
psicanto,
caleidanza,
bionologo).
Lo scopo di questa poesia concisa, «composta come un disegno elementare,
facile da ascoltare, facile da imparare a memoria», consiste nell’avversare
l’«anti-poesia logorroica» e di ricercare «uno stile adatto al mondo»(20).
La ricerca poetica deve, insomma, adattarsi al proprio tempo, ma
operando – a detta del poeta veneziano – in quella marginalità
estrema (frutto di una riflessione critica e autocritica), in grado di
lasciare un segno che sopravviva all’oblio: essa non deve produrre
oggetti sofisticati e decorativi (o «stanche riprove neoclassiche») o
frutto di regimi industrializzati e globalizzati; in più, non deve confondere
il vero impegno con la smargiassata goliardica. È in cerca
di un approdo autentico, anti-artistico, anti-nostalgico, che si pone
come
avanguardia definitiva, perché postuma, mentale (ma non chiusa
in una torre d’avorio), legata alla complessità della coscienza e
dell’immagine interiore, ultimo ambito di libertà e realtà dell’intelligenza(21).
Non deve sorprendere il fatto che, negli anni Settanta,
Pavanello pubblicò alcuni libri parzialmente asemantici: si tratta di
L PHLSPH DNS L BDR (gioco erudito che – come notò con prontezza
Rossana Apicella – nasconde una parodia della linguistica del
giovane de Saussure), di
Oscar Wilde nel carcere di Reading e di
Il
fantasma di Aubrey Beardsley, che però non possono essere annessi
(per la loro struttura e per i contenuti astratti e fantastici) al modello
caro alla Poesia Visiva(22).
· [da: A. Gaudio, Mai bruciati dalla Cosa. Parole, figure e oggetti dell’inattualità
alle origini della poesia visiva in Italia, «Critica Letteraria», a. XXXIX, fasc. III,
n. 148, settembre 2010, pp. 592-611] ·
Note:
19 G. Pavanello,
Poesia in scena, Milano, Ixidem, dicembre 2009.
20 Id.,
Avvertenza, in Id.,
Poesia laconica, Milano, Ixidem, dicembre 2000.
21 Cfr. Id.,
La poesia mentale, espressione di una realtà dissociata [affinché la poesia
sorgiva produca una poesia laconica] [2000], in Id., Ciclo, Milano, Ixidem, dicembre
2001, pp. 57-66.
22 R. Apicella,
Alla scoperta della idoglossia semantica o pseudoasemantica, Pieghevole
della mostra personale omonima, Venezia, il Canale, 1977.
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