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Alain Arias-Misson, The public poem book, 1977: cm 21x26 |
ALESSANDRO
GAUDIO
· Dall' Arte Povera di Claudio Costa
al futurgappismo di Sarenco
oppure dalla Eat Art di Daniel Spoerri
ai public poems di Alain Arias-Misson
6.
Si è accertato che la Poesia Visiva, nella sua fase iniziale,
cerchi
il suo fondamento nella ricaduta sul reale. Le strade tentate
dai
primi interpreti del movimento, non soltanto in Italia, convergono
verso
la realtà seguendo, in fin dei conti, due strade principali,
segnate
da alcune importanti esperienze artistiche, non sempre conformi,
però,
a quell’impostazione anti-dadaista che sembravano voler
perseguire.
La prima è praticata da artisti come Aubertin, Kolar, che
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Daniel Spoerri
Le dictionnaire fixé, 1960, cm 50x50 |
ho
già citato, ma ha un suo ascendente obbligato in Daniel Spoerri
e,
in Italia, nel work in regress di
Claudio Costa; essa prevede il
recupero
delle possibilità estetico-figurative di oggetti materiali di
varia
natura. Aubertin compie esperimenti artistici realizzando quadri
viventi
che uniscano l’energia fisica del fuoco (spesso innescata
dallo
spettatore stesso) al valore simbolico dell’oggetto bruciato (elenchi
telefonici,
libri), al fine di prendere le distanze dalla cultura
tradizionale.
L’azzeramento della tradizione lascia spazio al niente,
a
uno spazio virtuale, bianco, ideale che contrasta apertamente il
recupero
dell’oggetto cui mirano i poeti visivi e finisce per ribadire
un
concetto di arte fine a se stessa. Kolar è un rappresentante della
poesia
evidente, sinonimo – secondo Sarenco – di poesia
materiale: essa
consiste
nel sottrarre o aggiungere a famosi dipinti alcuni elementi
(oggetti,
individui, alberi) o nell’isolare vedute particolari di una
stessa
opera e di giustapporre le sue diverse versioni così ottenute
in
successione, come se fossero fotogrammi di una sequenza (o parole
che
compongono una nuova frase) che, però, non si sa bene da
quale
fotogramma (o da quale parola) abbia avuto inizio; tale principio
di
destrutturazione del linguaggio è quello tipico della poesia
concreta
e mira alla creazione di uno spazio attivo
all’interno del
quale
ogni fruitore (così come l’autore) può operare direttamente
sul
senso dell’opera, seguendo tuttavia criteri di lettura non abitua-
li.
Credo che l’opera di Kolar sia per certi versi accostabile alla Eat
Art
del rumeno Daniel Spoerri che, nel corso degli anni Sessanta,
aveva
mosso un vero e proprio atto di sfida alla tranquilla civiltà
dell’immagine,
mediante gli scherzi iconoclasti dei suoi Tableauxpiège
o
dei Détrompe l’oeil:
la tavola imbandita, i resti della colazione,
gli
oggetti aggiunti a un ritratto anonimo, un’antica cornice si sostituiscono
alla
tavolozza, capovolgendo esemplarmente il senso dell’iconografia
borghese23.
Un’operazione che, come quella condotta
pochi
anni dopo da Claudio Costa, c’entra poco con il passaggio
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Claudio Costa
Analisi su tre oggetti dell'Agricoltura terrestre |
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Claudio Costa
Il buio come dimora del Mistero |
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Claudio Costa
Buscar duende, 1978: cm 30x30
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dall’oggetto
alla sua definizione linguistica. Nel caso del Work
in
regress
di Costa non si può più parlare di tendenza a un uso ironico
o
straniante dell’immagine, in quanto i suoi lavori mirano al recupero
della
funzione ancestrale dell’oggetto materiale. Il tentativo di Costa,
che
si rifà comunque al ready made duchampiano
e fruisce degli
approdi
dell’Arte Povera,
è finalizzato al superamento dell’avanguardia
per
l’avanguardia che, a partire dall’inizio degli anni Sessanta,
è
piuttosto incline al work in progress.
Restando nell’ambito dell’idea-
invenzione,
inventando cliché fini a se stessi, essa non riuscirebbe
ad
agganciarsi al tempo storico. La proposta dell’artista genovese
(ma,
come detto, nato a Tirana), «pratica e coerenza di vita» e
invito
a studiare il passato, consisterebbe in un tentativo di prendere
coscienza,
attraverso il recupero dell’oggetto materiale (argilla,
legno,
badili, picconi, madie per il pane, corni, letame), che esiste
un’origine
delle idee, così come un’origine dell’uomo24.
La
seconda strada è quella percorsa da Sarenco; mentre all’estero
è
Alain Arias-Misson il principale interprete di questa vena artistica
che
privilegia l’impiego della poesia visiva come messaggio politico.
I
public poems dell’artista
americano sono – secondo quanto sostiene
egli stesso – «enactment[s] of
language-fluid, enmeshed in
the
real street processes»25: di fatto, si
tratta di sagome di lettere,
parole,
segni d’interpunzione, simboli grammaticali grandi come
uomini
che vengono trasportati lungo le strade da un poetry-team
(e
interpretate
dagli stessi passanti) e che sottolineano alcuni aspetti
del
tessuto (o del testo) cittadino: attraverso essi, da virtuale che
era,
il senso della città (anche quello potenziale) viene esplicitato,
portato
a livello enunciativo, realizzato. I poemi pubblici rappresentati
tra
la fine degli anni Sessanta e la metà del decennio successivo
nelle
strade di Madrid, Bruxelles, Milano, Pamplona, Amsterdam,
New
York, Bonn sono (un po’ paradossalmente) riprodotti nel fascicolo
citato
di factotumbook ed
è qui – come ammette lo stesso artista
–
che si estingue la loro carica poetica poiché, precisa, nella città
essi
dovevano fare i conti con la disattenzione e l’alienazione dei
cittadini
e, dunque, non sono mai esistiti se non all’interno del libro
e
tra questo e la strada sono destinati a oscillare.
Largamente
esemplificativo delle convinzioni di Sarenco in fatto
d’arte
è il concetto di futurgappismo26.
All’interno del secondo numero
della
rivista illustrata d’avanguardia «factotum-art» erano inseriti
quattro
comunicati, cui avrebbero fatto seguito altri due presenti sul
numero
successivo, uscito nell’agosto del ’78, che consentono di
definire
il senso di futurgappismo e
la portata di un fenomeno giocatosi
e
subito esauritosi tra le convinzioni di Sarenco e le tante contraddizioni
di
altri suoi interpreti; è indubbio, poi, che una tendenza
artistica
che, per esprimere aspirazioni o velleità nuove, si nomina
con
vocaboli risalenti a vari decenni addietro, non si può dire
che
prometta bene. Il vocabolo campeggia ed è preponderante sia
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Sarenco
Tragicamente strappato, 1974: cm 30x40 |
sul
piano concettuale sia su quello visivo su ciascuna delle sei circolari27.
Ogni
intervento diventa, così, un manifesto di denuncia che
si
oppone (già graficamente) alle logiche della grande editoria.
La
parola risale, dunque, al 25 aprile 1978, data del primo aggressivo
comunicato,
pubblicato da Sarenco sul numero 2 di «factotum-
art»:
è lui stesso a spiegare l’etimologia della ‘parola-macedonia’
futurgappismo
che, da sola, chiarisce lo spirito battagliero che
animava
tutte le attività a essa connesse: si tratta di un composto a
doppia
testa (futurismo gappista o gappismo futurista?) formato da
due
sostantivi: futurismo,
termine creato – com’è noto – da Marinetti
nel
1909 e qui inteso come «attacco culturale e fisico contro il
“passatismo”,
contro i critici d’arte, da considerare “inutili e dannosi”
»,
e gappismo,
neologismo (nessun vocabolario storico lo registra)
derivato
da gappista,
a sua volta dall’acronimo GAP (sigla dei Gruppi
di
Azione Partigiana, commandos costituiti
da partigiani guidati
dal
Partito comunista e subordinati a questo e alle Brigate Garibaldi)
e
che rimanda alla guerra di resistenza condotta in città contro
nazisti
e fascisti all’indomani della costituzione, nel settembre 1943,
della
Repubblica Sociale Italiana; questa lotta era portata avanti
cercando
di smuovere, servendosi di qualunque mezzo, l’opinione
pubblica
e nella convinzione che ogni attendismo avrebbe prolungato
il
dominio nazifascista.
Dal
canto suo, Sarenco ripropone pressappoco il modello militare
della
brigata (cui si stava rifacendo anche la “F.T. Marinetti
Brigade”
di San Francisco, nonché altri gruppi di artisti operanti
negli
Stati Uniti a New York, a Philadelphia e in California), per
minacciare
un «attacco fisico contro i criminali fascisti, contro le
spie
ed i delatori, da individuare e freddare nei loro giacigli familiari
».
La linea propugnata da «factotum-art», pur cogliendo qualche
spunto
terminologico dal Boccioni di «Lacerba», dal Carrà di
Guerrapittura
o dai chimismi di Soffici, si sviluppava autonomamente
secondo
problematiche prevalentemente visuali, sorte – come si è
già
accennato – negli anni della seconda guerra mondiale e che
superavano
di molto le ‘parole in libertà’ o l’’aeropoesia’28.
Così, alla
base
del Futurgappismo («sintesi
di due “movimenti”»), sembra esserci
una
marcata intenzione ossimorica (voluta o inconscia?): da un
lato,
il futurismo, con tutto il suo rivoluzionarismo, che dal punto
di
vista politico era ben di destra, tanto che si amalgamò benissimo
con
il fascismo; dall’altro, il gappismo che, al contrario, era di sinistra.
Pur
non disdegnando il riferimento anche frequente alla storia
dei
movimenti artistici, esso (esplosiva conciliazione di opposti estremismi)
diventa
«un modo di operare degli artisti rivoluzionari contro
le
mafie culturali (chiara espressione del governo culturale nazionale)
per
l’instaurazione della dittatura delle avanguardie artistiche
proletarie».
Sarenco si schierava dalla parte di tutti gli artisti
marginali
(ma non «così emarginati da ritenersi sconfitti») e, in
particolare,
perorava la causa dei poeti visivi accomunati dallo spirito
battagliero
del periodico che guidava: tra gli italiani, non è
possibile
non citare Eugenio Miccini (alcune sue azioni “futurgap-
piste”
comparvero sul quinto fascicolo di «factotum-art») e ancora
Franco
Verdi, entrambi particolarmente dinamici nel proporre giustificazioni
teoriche
al loro modo di intendere l’arte e valutazioni
mai
compiacenti nei confronti degli operatori della Neoavanguardia
meno
motivati e, soprattutto, dei mediatori della cultura di massa.
22
R. Apicella, Alla
scoperta della idoglossia semantica o pseudoasemantica,
Pieghevole
della
mostra personale omonima, Venezia, il Canale, 1977.
23
Per tutti i riferimenti agli autori citati in questa sezione si
rimanda a
Bernard Aubertin, factotumbook 5, Calaone-Baone, factotum-art, settembre 1978,
Jiri Kolar, factotumbook 9, Calaone-Baone, factotum-art, ottobre 1978, Claudio Costa.
Work in regress, factotumbook 13, Calaone-Baone, factotum-art, gennaio 1979
e
Daniel Spoerri. L’arte in trappola,
factotumbook 29,
Calaone-Baone, factotum-art,
marzo
1981.
24
Cfr. [Intervista di Sarenco a Claudio Costa, rilasciata a
Genova il 22 dicembre
1978], in Claudio Costa, cit.
25 A. Arias-Misson, The Public Poem – Prologue, in Alain Arias-Misson. The
public poem book, factotumbook 11, Calaone-Baone, factotum-art, dicembre 1978.
26
Sul movimento e la fortuna della parola, si veda anche A. Gaudio, Futurgappismo.
Il
futuro mancato del futurismo in una parola, cit.
27
I manifesti vennero riprodotti sul fascicolo 21 di factotumbook,
intitolato
Futurgappismo
1, curato da Vittore Baroni e Carlo Battisti e pubblicato nel
giugno
del
1979.
28
Cfr. C. Belloli, Poesia
visuale, oggi, in Segni
nello spazio, cit., p. 10
· [da: A. Gaudio, Mai bruciati dalla Cosa. Parole, figure e oggetti dell’inattualità
alle origini della poesia visiva in Italia, «Critica Letteraria», a. XXXIX, fasc. III,
n. 148, settembre 2010, pp. 592-611] ·
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Alain Arias-Misson, The public poem book |
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Alain Arias-Misson, Freude! |