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Il mondo non è banale? ░ Il linguaggio conveniente del Sublime Prefetto

¨ Sutta  (vedico: s ū tra; letteralmente: filo * ) del linguaggio conveniente del Sublime Prefetto ** Mia Nonna dello Zen così ha udito: una volta dimorava il Sublime Prefetto presso la Basilica di Sant’Antonio, nel codice catastale di Padua. E il Sublime così parlò: “Quattro caratteristiche, o mio bhikkh ū *** , dirigente dell’area del decreto di espulsione e dell’accoglienza e dirigente anche dell’area degli enti locali e delle cartelle esattoriali e dei fuochi d’artificio fatti come Buddho vuole ogni qualvolta che ad esempio si dica “cazzo di Buddha” o anche “alla madosca” o “gaudiosissimo pelo”, deve avere il linguaggio conveniente, non sconveniente, irreprensibile, incensurabile dagli intercettatori; quali quattro? Ecco, o mio dirigente che ha distrutto le macchie: un dirigente d’area parla proprio un linguaggio conveniente, non sconveniente, un linguaggio conforme alla Dottrina del Governo, non in contrasto con essa, un linguaggio gradevole, non sgradevole, un lin...

La poesia visiva in Italia, 6 • Da Spoerri a Claudio Costa e dai public poems di Arias-Misson a Sarenco, Verdi e Miccini

Alain Arias-Misson, The public poem book, 1977: cm 21x26

ALESSANDRO GAUDIO
 · Dall' Arte Povera di Claudio Costa 
al futurgappismo di Sarenco
oppure dalla Eat Art di Daniel Spoerri 
ai public poems di Alain Arias-Misson




6. Si è accertato che la Poesia Visiva, nella sua fase iniziale,
cerchi il suo fondamento nella ricaduta sul reale. Le strade tentate
dai primi interpreti del movimento, non soltanto in Italia, convergono
verso la realtà seguendo, in fin dei conti, due strade principali,
segnate da alcune importanti esperienze artistiche, non sempre conformi,
però, a quell’impostazione anti-dadaista che sembravano voler
perseguire. La prima è praticata da artisti come Aubertin, Kolar, che
Daniel Spoerri
Le dictionnaire fixé, 1960, cm 50x50
ho già citato, ma ha un suo ascendente obbligato in Daniel Spoerri
e, in Italia, nel work in regress di Claudio Costa; essa prevede il
recupero delle possibilità estetico-figurative di oggetti materiali di
varia natura. Aubertin compie esperimenti artistici realizzando quadri
viventi che uniscano l’energia fisica del fuoco (spesso innescata
dallo spettatore stesso) al valore simbolico dell’oggetto bruciato (elenchi
telefonici, libri), al fine di prendere le distanze dalla cultura
tradizionale. L’azzeramento della tradizione lascia spazio al niente,
a uno spazio virtuale, bianco, ideale che contrasta apertamente il
recupero dell’oggetto cui mirano i poeti visivi e finisce per ribadire
un concetto di arte fine a se stessa. Kolar è un rappresentante della
poesia evidente, sinonimo – secondo Sarenco – di poesia materiale: essa
consiste nel sottrarre o aggiungere a famosi dipinti alcuni elementi
(oggetti, individui, alberi) o nell’isolare vedute particolari di una
stessa opera e di giustapporre le sue diverse versioni così ottenute
in successione, come se fossero fotogrammi di una sequenza (o parole
che compongono una nuova frase) che, però, non si sa bene da
quale fotogramma (o da quale parola) abbia avuto inizio; tale principio
di destrutturazione del linguaggio è quello tipico della poesia
concreta e mira alla creazione di uno spazio attivo all’interno del
quale ogni fruitore (così come l’autore) può operare direttamente
sul senso dell’opera, seguendo tuttavia criteri di lettura non abitua-
li. Credo che l’opera di Kolar sia per certi versi accostabile alla Eat
Art del rumeno Daniel Spoerri che, nel corso degli anni Sessanta,
aveva mosso un vero e proprio atto di sfida alla tranquilla civiltà
dell’immagine, mediante gli scherzi iconoclasti dei suoi Tableauxpiège
o dei Détrompe l’oeil: la tavola imbandita, i resti della colazione,
gli oggetti aggiunti a un ritratto anonimo, un’antica cornice si sostituiscono
alla tavolozza, capovolgendo esemplarmente il senso dell’iconografia
borghese23. Un’operazione che, come quella condotta
pochi anni dopo da Claudio Costa, c’entra poco con il passaggio
Claudio Costa
Analisi su tre oggetti dell'Agricoltura terrestre
Claudio Costa
Il buio come dimora del Mistero
Claudio Costa
Buscar duende, 1978: cm 30x30

dall’oggetto alla sua definizione linguistica. Nel caso del Work in
regress di Costa non si può più parlare di tendenza a un uso ironico
o straniante dell’immagine, in quanto i suoi lavori mirano al recupero
della funzione ancestrale dell’oggetto materiale. Il tentativo di Costa,
che si rifà comunque al ready made duchampiano e fruisce degli
approdi dell’Arte Povera, è finalizzato al superamento dell’avanguardia
per l’avanguardia che, a partire dall’inizio degli anni Sessanta,
è piuttosto incline al work in progress. Restando nell’ambito dell’idea-
invenzione, inventando cliché fini a se stessi, essa non riuscirebbe
ad agganciarsi al tempo storico. La proposta dell’artista genovese
(ma, come detto, nato a Tirana), «pratica e coerenza di vita» e
invito a studiare il passato, consisterebbe in un tentativo di prendere
coscienza, attraverso il recupero dell’oggetto materiale (argilla,
legno, badili, picconi, madie per il pane, corni, letame), che esiste
un’origine delle idee, così come un’origine dell’uomo24.
La seconda strada è quella percorsa da Sarenco; mentre all’estero
è Alain Arias-Misson il principale interprete di questa vena artistica
che privilegia l’impiego della poesia visiva come messaggio politico.
I public poems dell’artista americano sono – secondo quanto sostiene
egli stesso – «enactment[s] of language-fluid, enmeshed in
the real street processes»25: di fatto, si tratta di sagome di lettere,
parole, segni d’interpunzione, simboli grammaticali grandi come
uomini che vengono trasportati lungo le strade da un poetry-team (e
interpretate dagli stessi passanti) e che sottolineano alcuni aspetti
del tessuto (o del testo) cittadino: attraverso essi, da virtuale che
era, il senso della città (anche quello potenziale) viene esplicitato,
portato a livello enunciativo, realizzato. I poemi pubblici rappresentati
tra la fine degli anni Sessanta e la metà del decennio successivo
nelle strade di Madrid, Bruxelles, Milano, Pamplona, Amsterdam,
New York, Bonn sono (un po’ paradossalmente) riprodotti nel fascicolo
citato di factotumbook ed è qui – come ammette lo stesso artista
– che si estingue la loro carica poetica poiché, precisa, nella città
essi dovevano fare i conti con la disattenzione e l’alienazione dei
cittadini e, dunque, non sono mai esistiti se non all’interno del libro
e tra questo e la strada sono destinati a oscillare.
Largamente esemplificativo delle convinzioni di Sarenco in fatto
d’arte è il concetto di futurgappismo26. All’interno del secondo numero
della rivista illustrata d’avanguardia «factotum-art» erano inseriti
quattro comunicati, cui avrebbero fatto seguito altri due presenti sul
numero successivo, uscito nell’agosto del ’78, che consentono di
definire il senso di futurgappismo e la portata di un fenomeno giocatosi
e subito esauritosi tra le convinzioni di Sarenco e le tante contraddizioni
di altri suoi interpreti; è indubbio, poi, che una tendenza
artistica che, per esprimere aspirazioni o velleità nuove, si nomina
con vocaboli risalenti a vari decenni addietro, non si può dire
che prometta bene. Il vocabolo campeggia ed è preponderante sia
Sarenco
Tragicamente strappato, 1974: cm 30x40
sul piano concettuale sia su quello visivo su ciascuna delle sei circolari27.
Ogni intervento diventa, così, un manifesto di denuncia che
si oppone (già graficamente) alle logiche della grande editoria.
La parola risale, dunque, al 25 aprile 1978, data del primo aggressivo
comunicato, pubblicato da Sarenco sul numero 2 di «factotum-
art»: è lui stesso a spiegare l’etimologia della ‘parola-macedonia’
futurgappismo che, da sola, chiarisce lo spirito battagliero che
animava tutte le attività a essa connesse: si tratta di un composto a
doppia testa (futurismo gappista o gappismo futurista?) formato da
due sostantivi: futurismo, termine creato – com’è noto – da Marinetti
nel 1909 e qui inteso come «attacco culturale e fisico contro il
“passatismo”, contro i critici d’arte, da considerare “inutili e dannosi”
», e gappismo, neologismo (nessun vocabolario storico lo registra)
derivato da gappista, a sua volta dall’acronimo GAP (sigla dei Gruppi
di Azione Partigiana, commandos costituiti da partigiani guidati
dal Partito comunista e subordinati a questo e alle Brigate Garibaldi)
e che rimanda alla guerra di resistenza condotta in città contro
nazisti e fascisti all’indomani della costituzione, nel settembre 1943,
della Repubblica Sociale Italiana; questa lotta era portata avanti
cercando di smuovere, servendosi di qualunque mezzo, l’opinione
pubblica e nella convinzione che ogni attendismo avrebbe prolungato
il dominio nazifascista.
Dal canto suo, Sarenco ripropone pressappoco il modello militare
della brigata (cui si stava rifacendo anche la “F.T. Marinetti
Brigade” di San Francisco, nonché altri gruppi di artisti operanti
negli Stati Uniti a New York, a Philadelphia e in California), per
minacciare un «attacco fisico contro i criminali fascisti, contro le
spie ed i delatori, da individuare e freddare nei loro giacigli familiari
». La linea propugnata da «factotum-art», pur cogliendo qualche
spunto terminologico dal Boccioni di «Lacerba», dal Carrà di
Guerrapittura o dai chimismi di Soffici, si sviluppava autonomamente
secondo problematiche prevalentemente visuali, sorte – come si è
già accennato – negli anni della seconda guerra mondiale e che
superavano di molto le ‘parole in libertà’ o l’’aeropoesia’28. Così, alla
base del Futurgappismo («sintesi di due “movimenti”»), sembra esserci
una marcata intenzione ossimorica (voluta o inconscia?): da un
lato, il futurismo, con tutto il suo rivoluzionarismo, che dal punto
di vista politico era ben di destra, tanto che si amalgamò benissimo
con il fascismo; dall’altro, il gappismo che, al contrario, era di sinistra.
Pur non disdegnando il riferimento anche frequente alla storia
dei movimenti artistici, esso (esplosiva conciliazione di opposti estremismi)
diventa «un modo di operare degli artisti rivoluzionari contro
le mafie culturali (chiara espressione del governo culturale nazionale)
per l’instaurazione della dittatura delle avanguardie artistiche
proletarie». Sarenco si schierava dalla parte di tutti gli artisti
marginali (ma non «così emarginati da ritenersi sconfitti») e, in
particolare, perorava la causa dei poeti visivi accomunati dallo spirito
battagliero del periodico che guidava: tra gli italiani, non è
possibile non citare Eugenio Miccini (alcune sue azioni “futurgap-
piste” comparvero sul quinto fascicolo di «factotum-art») e ancora
Franco Verdi, entrambi particolarmente dinamici nel proporre giustificazioni
teoriche al loro modo di intendere l’arte e valutazioni
mai compiacenti nei confronti degli operatori della Neoavanguardia
meno motivati e, soprattutto, dei mediatori della cultura di massa.

22 R. Apicella, Alla scoperta della idoglossia semantica o pseudoasemantica, Pieghevole
della mostra personale omonima, Venezia, il Canale, 1977.
23 Per tutti i riferimenti agli autori citati in questa sezione si rimanda a
Bernard Aubertin, factotumbook 5, Calaone-Baone, factotum-art, settembre 1978,
Jiri Kolar, factotumbook 9, Calaone-Baone, factotum-art, ottobre 1978, Claudio Costa.
Work in regress, factotumbook 13, Calaone-Baone, factotum-art, gennaio 1979
e Daniel Spoerri. L’arte in trappola, factotumbook 29, Calaone-Baone, factotum-art,
marzo 1981.
24 Cfr. [Intervista di Sarenco a Claudio Costa, rilasciata a Genova il 22 dicembre
1978], in Claudio Costa, cit.
25 A. Arias-Misson, The Public Poem – Prologue, in Alain Arias-Misson. The
public poem book, factotumbook 11, Calaone-Baone, factotum-art, dicembre 1978.
26 Sul movimento e la fortuna della parola, si veda anche A. Gaudio, Futurgappismo.
Il futuro mancato del futurismo in una parola, cit.
27 I manifesti vennero riprodotti sul fascicolo 21 di factotumbook, intitolato
Futurgappismo 1, curato da Vittore Baroni e Carlo Battisti e pubblicato nel giugno
del 1979.
28 Cfr. C. Belloli, Poesia visuale, oggi, in Segni nello spazio, cit., p. 10


· [da: A. Gaudio, Mai bruciati dalla Cosa. Parole, figure e oggetti dell’inattualità 
alle origini della poesia visiva in Italia«Critica Letteraria», a. XXXIX, fasc. III, 
n. 148, settembre 2010, pp. 592-611] ·

Alain Arias-Misson, The public poem book
Alain Arias-Misson, Freude!