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Il mondo non è banale? ░ Il linguaggio conveniente del Sublime Prefetto

¨ Sutta  (vedico: s ū tra; letteralmente: filo * ) del linguaggio conveniente del Sublime Prefetto ** Mia Nonna dello Zen così ha udito: una volta dimorava il Sublime Prefetto presso la Basilica di Sant’Antonio, nel codice catastale di Padua. E il Sublime così parlò: “Quattro caratteristiche, o mio bhikkh ū *** , dirigente dell’area del decreto di espulsione e dell’accoglienza e dirigente anche dell’area degli enti locali e delle cartelle esattoriali e dei fuochi d’artificio fatti come Buddho vuole ogni qualvolta che ad esempio si dica “cazzo di Buddha” o anche “alla madosca” o “gaudiosissimo pelo”, deve avere il linguaggio conveniente, non sconveniente, irreprensibile, incensurabile dagli intercettatori; quali quattro? Ecco, o mio dirigente che ha distrutto le macchie: un dirigente d’area parla proprio un linguaggio conveniente, non sconveniente, un linguaggio conforme alla Dottrina del Governo, non in contrasto con essa, un linguaggio gradevole, non sgradevole, un linguag

Alessandro Gaudio • La poesia visiva in Italia, 7 · La Scrittura Visuale


Alessandro Gaudio
La poesia visiva in Italia, 7 · La Scrittura Verbale

Questo factotumbook 34 è l'edizione, febbraio 1985, della copia identica del catalogo
della mostra di Franco Verdi presso J.& J. Donguy 
« Si du silence que le sein saisit, si avec l’œil tait l’impossibilité de la projection, et au-delà de la parole l’obéissance du signe décharge des fantasmes sur la scène, l’évasion d’un devenir trouve l’urgence de se taire dans une espace de solitude le mot, qui traverse l’espace, sans masque continuellement effile la vertu que l’obéissance se débite, comme une faim, en résumant le corps, peu importe de qui ou lequel, pour se défendre de l’omnipotence, subtile le corps en mouvement comme tendu mais avant fermé, écrit dans la production qui signifie, dans l’histoire de bonds en bonds se précise, se réplique, de position en position, tic tac tic tac…Franco Verdi…Franco Verdi le fantasme change de place dans la même liberté qui l’emprisonne, continue à s’effiler jusqu’au sens du comble de cet instant »[…]
(da : V.S.Gaudio, Les Implications Etroites du Fantasme, catalogo mostra di Franco Verdi da J.& J.Donguy, Paris 1985)



7. Questa panoramica sui motivi che caratterizzarono le origini
della Poesia Visiva in Italia può concludersi, così come era iniziata,
da un testo di verifica semiologica (ma non solo) dell’attentissima
Rossana Apicella. In un testo del 1979, pubblicato su un’altra rivista
molto sensibile ai lavori di cui ci si è occupati qui, la studiosa tira
le somme del movimento al termine di un decennio importantissimo
per le sorti delle Neoavanguardie: la Poesia Visiva, legata al
divenire dei tempi, appare, già nel ’79, frutto di una rivoluzione
(quella dadaista, esplosa col Maggio Francese) fittizia e inconcludente.
Dal 1977 in poi, infatti, sull’utopismo che ha caratterizzato
quella stagione prevarrebbe la realtà (che, a dire il vero, si era posta
sin dai primi anni Settanta come riferimento concettuale obbligato
degli esperimenti più consapevoli). In questa nuova fase, fattori
quali la morsa economica, il futuro incerto e la precarietà dei mezzi
di sussistenza e di benessere avrebbero indotto l’universalità della
rivoluzione a frantumarsi – sostiene la Apicella – «in una casistica
di sopravvivenza personale»29.
Con tutto ciò, sarebbe rimasto acceso un barlume di quell’impeto
di urto e di partecipazione: la Poesia Visiva, uscita dalla necessità
dell’engagement politico, ha potuto operare la rivoluzione più vera e
duratura, che la Apicella decreta debba coincidere con quella del
linguaggio poetico. Nel sostenere ciò, la semiologa ribadisce, comunque,
la necessità di non restare estranei al proprio tempo e
contrappone a una deprecabile parvenza di nuova poetica (quella, ad
esempio, propria del discorso di Pasolini sul recupero degli stilemi
dialettali, dei proverbi, del motto), che resta nell’ambito della confessione
privata, una auspicabile realtà di nuova poetica, che manterrebbe
una dimensione pubblica.
Il fattore che ha condotto alla fine della Poesia Visiva è legato
alla sua progressiva chiusura in un gruppo di potere che ha cercato
di spegnere ogni voce autonoma, ricadendo – secondo l’Apicella –
negli errori del metodo dei Novissimi30: la Poesia Visiva, superata la
sua fase di lotta di gruppo (che ha avuto nel futurgappismo il suo
stadio più aggressivo), deve dunque rifiutare qualsiasi implicazione
politica e realizzarsi nella Poesia per la Poesia, con lungimiranza
riconosciuto come ambito di riferimento per la nuova Scrittura Verbale.
Ma questa nuova rivoluzione si pone come superamento, che
mantenga in ogni caso rapporti con la temperie precedente, o piuttosto
come suo deciso rifiuto?
La Apicella sembra propendere per questa seconda ipotesi, anche
perché l’a-semanticità che caratterizza la Scrittura Verbale si
contrappone alla necessità di immediatezza e di chiarezza del tipo
di messaggio caro ai poeti visivi (un po’ strumento illuministicopopulistico,
un po’ propaganda politica). Si chiude la fase utopistica
e, con essa, il mito della praxiglossia: «i poeti – dichiara la studiosa –
non fanno altra storia che quella individuale, personale, autobiografica
»31. Lo scacco della Poesia Visiva coinciderebbe, insomma, con il
fallimento di tutta la Neoavanguardia, al quale sembra essere connessa
l’origine di una lunga fase di crisi dalla quale, ancora oggi, si
sta cercando di uscire: «la Scrittura Visuale nasce da questa crisi di
un mondo e di una ricerca, dalla disgregazione di una storia poetica
implicata da una storia civile»32.
Rossana Apicella ha colto con intelligenza la fase di mutamento
che si stava originando in quegli anni nella cultura occidentale;
tuttavia, avrebbe potuto essere maggiormente accorta nel decretare
la fine della Poesia «a messaggio aperto» (liquidata frettolosamente
come utopistica), liberando di fatto il campo a un tipo di scrittura,
«a messaggio chiuso», Poesia Totale, sì, ma nuovamente monoglossica,
e vicina agli echi del Futurismo, da un lato, e del Dadaismo
(definito, in più occasioni, negazione della storia, proposta di quiescenza,
gioco di carnevale, scherzo da seminario e commedia goliardica),
dall’altro, e che, seppur ancora lontana dai manierismi di
un decadentismo fatiscente, avrebbe perso la carica di azione, di
originalità e di senso che la Apicella stessa era stata così brava a
individuare nei lavori di Sarenco, di Verdi e di Pavanello (e di
pochi altri). Tutti artisti che, seppur consapevoli che sarebbe stato
inutile continuare sui binari di quel bios politikos che contraddistingueva
i momenti più eversivi della prima fase neoavanguardistica, stavano
sperimentando autonomamente la possibilità di opporsi
al conformismo sociale proprio della cultura italiana della fine
degli anni Settanta e – che è la medesima cosa – all’inutilità di una
poesia che indugi esclusivamente sulla parola o, ancora peggio, sul
segno insignificante e lo stavano facendo mediante una forma privata,
individuale, ma mai isolata o meramente contemplativa, di
prassi intellettuale.

29 R. Apicella, Poesia Totale come nuovo sviluppo della singlossia, «Zeta. Rivista
internazionale di poesia», I (1979), n. 1, p. 12.
30 Ivi, p. 16.
31 Ivi, p. 17.
32 Ivi, p. 18.

 · [da: ALESSANDRO GAUDIO, Mai bruciati dalla Cosa. Parole, figure e oggetti dell’inattualità alle origini della Poesia Visiva in Italia, "Critica Letteraria" n.148, fasc. III 2010, Loffredo editore, Napoli ·
Paul De Vree, Beiroet
Franco Verdi, "Colonne" 1967
Franco Verdi, "Verbal-dama", 1968,
scultura-oggetto-gioco,
cm 240x240x1

Il catalogo della mostra di Franco Verdi
presso la galérie J.& J. DONGUY, Paris mars 1985:
cfr.sopra il factotumbook 34