«Avevo più corna io di un alce
svedese»
Filippa
Lagerback
Mia
Nonna dello Zen:
1. L’ideale della
bellezza romantica e il canone finanziario di Thorstein Veblen
Filippa sembra
non essersi resa conto che il fatto che avesse più corna di un alce svedese
fosse imputabile all’ideale della bellezza femminile che comprende – secondo Thorstein
Veblen[
Cato,
Wisconsin, 30 luglio 1857-3 agosto 1929] – “le caratteristiche che
si suppone derivino oppure s’accompagnino con una vita di agiatezza imposta
continuamente”
[i].
Il risultante ideale cavalleresco o romantico della
bellezza tiene conto principalmente del viso e indugia sulla sua delicatezza e
sulla delicatezza delle mani e dei piedi, sulla figura snella e specialmente
sulla vita sottile.
Il medesimo ideale – aggiunge Veblen[ii] –
“vige tuttora in mezzo a una parte notevole della popolazione delle comunità
industriali moderne”[iii].
Insomma, è presto detto:
“la classe agiata superiore ha accumulato tanta ricchezza
da porre le sue donne al di sopra di ogni attribuzione di lavoro volgarmente
produttivo”[iv]
e, aggiungo io, volgarmente super retribuito.
Per questo, Filippa viene tradita: come il partner s’avvede
che non è più nell’ideale, non è più sotto tutela perpetua e non è più
scrupolosamente esente da ogni lavoro utile, o, in epoca postmoderna, non ha
più una retribuzione da precaria, lui va a cercare una bellezza romantica, , un
tipo delicato e diafano, pericolosamente gracile, con mani e piedi piccoli, la
vita sottile, senza alcuna super retribuzione, tutt’al più qualche percezione da
prestazione momentanea e a tempo determinato, se non ridotto.
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Thorstein Veblen, La teoria della classe agiata,
ed.it.Einaudi 1971 |
2.Troppa
Flepa…mi rifaccio con Catarina…
Tutti sanno che il furb.ven.friul. filipa si connette all’arcev. Filippa,
prima sillaba nominis vulgaris adhibita, al gerg.piem. filiberta ‘id.’ < filippa
+ berta , tarom filibustela ‘id.’, arcev. Francesca
‘id.’ <fresca.
Il linguista Bruno Migliorini nel suo Dal nome proprio al nome comune, Olschki
editore 1927, nel nome di tipo B, quello da evocazione, per le parti del corpo muliebra
enumerava: bernarda, berta , catarina, giorgia, giovannina, peppinella, marfisa, filippa, lippa, filiberta, simona, etc.
A fronte di questa frontalità di significante e di
significato del nome proprio che si fa nome comune, il partner, vedendo tutta
questa espressiva ed espressa, come dicono gli emiliani, flepa, stanco, oppresso ed impotente, si rivolge a Catarina, o a Bernarda,
Francesca, o a Berta, a Giorgia, a Giovanna, a Filiberta, a Marfisa, financo a
Giordana!
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Bruno Migliorini, Dal nome proprio al nome comune,
ed.anastatica del 1968 |
[i]
Thorstein Veblen,
I canoni finanziari del
gusto, in: Idem,
La teoria della
classe agiata[©1899], trad.it. Einaudi Torino 1971: pag.114.
[ii]
Che di alci svedesi qualcosa ne sapeva anche lui, visto che i nonni paterno e
materno erano in origine piccoli proprietari terrieri in Norvegia.
[iii]
Th.Veblen, op.cit.:pag.115.