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Il mondo non è banale? ░ Il linguaggio conveniente del Sublime Prefetto

¨ Sutta  (vedico: s ū tra; letteralmente: filo * ) del linguaggio conveniente del Sublime Prefetto ** Mia Nonna dello Zen così ha udito: una volta dimorava il Sublime Prefetto presso la Basilica di Sant’Antonio, nel codice catastale di Padua. E il Sublime così parlò: “Quattro caratteristiche, o mio bhikkh ū *** , dirigente dell’area del decreto di espulsione e dell’accoglienza e dirigente anche dell’area degli enti locali e delle cartelle esattoriali e dei fuochi d’artificio fatti come Buddho vuole ogni qualvolta che ad esempio si dica “cazzo di Buddha” o anche “alla madosca” o “gaudiosissimo pelo”, deve avere il linguaggio conveniente, non sconveniente, irreprensibile, incensurabile dagli intercettatori; quali quattro? Ecco, o mio dirigente che ha distrutto le macchie: un dirigente d’area parla proprio un linguaggio conveniente, non sconveniente, un linguaggio conforme alla Dottrina del Governo, non in contrasto con essa, un linguaggio gradevole, non sgradevole, un linguag

■Il mondo non è banale?■ A sbagliare la storia del Venditore di Pesce in Sudamerica ■


Quel vecchio gioco "a sbagliare le storie"

- C’era una volta un Venditore di Pesce in Sudamerica che si chiamava…
- No, un Giornalista Professionista che era l’Editore di un Giornale di un Partito che c’era e non era più tornato e adesso non si sa se c’è ancora e se il Giornale era scritto nella Lingua Franca di quel paese da cui chi era partito non era più tornato.
- Ah, sì, un Giornalista Professionista. Dunque, la sua Azienda del Pesce lo manda a Santa Lucia…
- Ma no, non la sua Azienda del Pesce, era la sua Cooperativa editoriale.
- Giusto. Lo chiama e gli dice: va’ a Santa Lucia e vedi un po’ com’è che la casa di Montecarlo è registrata come quelle che ti sei registrato tu in quell’isoletta dei Caraibi…
- No.Lo chiama e gli dice: va’ a Santa Lucia…e vedi di restarci…che qui le cose e le  case cominciano ad accatastarsi!
Eccetera.
Questo lo schema di un vecchio gioco “a sbagliare le storie” che può nascere in ogni casa, fosse pure a Montecarlo o in provincia di Viterbo in un Castello o nell’aia, ereditata, da un altro editore bootleg della manomorta, da un nonno che era andato in Argentina a comprarsela da un suo compaesano.
E’ un gioco più serio di quanto non sembri a prima vista. Ma bisogna giocarlo al momento giusto.
I bambini, ma devi vedere gli adulti, quanto a storie e a case, sono abbastanza a lungo conservatori, anche in materia di pesci, specialmente se vengono dai paesi del Pollino, che di montagne si tratta. E incartano sempre. Per questo prendono i giornali.
A un certo punto – forse quando il Venditore di Pesce all’Ingrosso in Sudamerica non ha più molto da dire loro, quando sono pronti a separarsene come da un vecchio giocattolo esaurito dal consumo – accettano che dalla storia nasca la parodia, e quindi il Venditore di Pesce diventa Giornalista Professionista e anche Editore di un Giornale che gli ha lasciato in eredità il Grande Compagno del Partito dalle cui ceneri sono nati i Partiti, e anche le Associazioni Culturali e le Cooperative tutte, della Libertà e del Catasto di Santa Lucia.
I bambini, e gli adulti nelle cui vesti appaiono, non giocano più tanto con Venditore di Pesce all’Estero quanto con se stessi: si sfidano ad affrontare la libertà senza paura, ad assumersi, si fa per dire, rischiose responsabilità. Bisogna allora essere preparati a un sano eccesso di aggressività(es.:”Ritorno e ti spacco il c…”), a salti smisurati nell’assurdo.
In qualche casa, il gioco avrà una sua efficacia terapeutica. Aiuterà il bambino a sbloccarsi da certe fissazioni dovute al Monopoli. Il gioco sdrammatizza Santa Lucia, svillaneggia il Catasto Nazionale, fosse pure quello lunare dell’Enel o l’altro marziano degli albanesi, ridicolizza lo Stato, stabilisce un più netto confine fra il mondo delle cose vere(fatte con mattoni, pietre e calcestruzzo, fili elettrici e tubi idraulici) – dove il partito della Libertà non sarebbe possibile ma inspiegabilmente accatasta e si intesta- e quello delle cose immaginarie- che, in realtà, viene ormai debitamente surclassato dall’impossibile accatastato.
Un altro aspetto serio del gioco consiste in questo, che chi vi partecipa, prima o poi(certo, non prima che si sia accaparrato  e intestato tutto il possibile in un mondo così libero e così fiscalrassi), finisce a Poggioreale e non è detto che non compia, a livello d’intuizione, una vera e propria analisi della fiaba.
Egli stesso,adesso che ha tempo per giocare e fantasticare, può scomporre e ricomporre(anche spaccare) i nodi significativi, fare interventi operativi, non astrattamente logici ed economici.
Ne risulterà un’invenzione “puntilistica”- così la definisce Gianni Rodari – che raramente conduce a una nuova sintesi, con una sua nuova logica, ma piuttosto favorisce, aggiunge Rodari, un vagabondaggio senza meta precisa tra i temi fiabeschi, tra l’ Etruria, la Maremma, il Parco del Pollino, Positano(dove il poeta militare vomitò un’intera bottiglia di sambuca al caffè provocando disgusto in un commilitone di origine lucana come il Venditore di Pesce all’Estero, convenuto lì in gita insieme alla moglie, cugina della farmacista del paese jonico da cui proveniva il poeta rigettante), Santa Lucia, San Biagio, San Vincenzo, i polli da spennare, San Giuliano, gli editori che vendono pesci, i pesci incartati col giornale. E’ uno scarabocchiare, più che un disegnare. Ma ormai conosciamo bene l’utilità dello scarabocchio.
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A sbagliare la storia di mia zia Gnesa Lavitola che col notaio di Civita mi ha fregato la casa che  mio nonno ha registrato al Consolato in Argentina nel 1921 quando qui in Italia nacque il figlio che poi avrebbe sposato la discendente dei Lavitola…

- C’era una volta mia zia Gnesa Lavitola, che vendeva il pesce in piazza…
- No, non vendeva il pesce, era il marito che vendeva le bare…
- Ah, sì, perciò mia zia Lavitola se ne andò a Santa Lucia a prendere il testamento olografo falsificato di mio nonno e lo portò al notaio del Saraceno che disse: “Ah, ma questo è della Galassia…e che pesce sarebbe?”
Il culo di Gnesa
[da: Giulio Palange,
La regina dai tre seni,
Rubbettino 1994]
- Giusto, questo disse. Ma c’era uno che era un prete e non era il cugino di mia zia che di mestiere fa il prete e non si chiama Padula, che, quando vide Gnesa che andava a riempire l’orcio, esclamò:”Madonna mia, o’Gnèsa che culo che hai!”[$1) la-leggenda-delle-ntrocchje-ammascanti 2) il-kamasutra-equino-di-giovanna-i] e finì diritto diritto nel girone della lussuria.
- Intanto, però, tua zia lo vendeva il pesce in Sudamerica visto che il testamento era della casa che tuo nonno dice che comprò in Argentina e andò a Buenos Aires, da Rosario, a registrarlo al Consolato perché l’aveva acquistata da uno di Albidona che teneva la catapecchia alla marina delle Trebisacce, che era il paese dove tuo nonno, insieme alla moglie Petrone, che si chiamava così anche la madre di Gnesa Lavitola, teneva tutto? E il ciuccio di quello dell’Albidona poi dove lo attaccava quando scendeva dal suo paesino in montagna al mare delle Trebisacce? Andava a Casalnuovo(così si chiamava prima Villapiana), ch’era il paese originario di Gnesa Lavitola oppure finiva diritto diritto sulla statale appenninica 92 da Villapiana a Noepoli, dove c’erano gli altri Lavitola che, quelli sì, avrebbero venduto di lì alla generazione successiva il pesce, e che pesce, in Sudamerica?
Eccetera.
Questo lo schema di un vecchio gioco “a sbagliare le storie” che può nascere in ogni casa, fosse pure a Montecarlo o in provincia di Viterbo in un Castello o nell’aia, ereditata, da un altro editore bootleg della manomorta, da un nonno che era andato in Argentina a comprarsela da un suo compaesano, tanto  poi, per fare lo strumento, si prende il notaio di quel paese dei dimenticati di De Seta, che, se erano dimenticati, com'è che redigevano atti notarili sul nome presunto di mio nonno delle Trebisacce?