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Il mondo non è banale? ░ Il linguaggio conveniente del Sublime Prefetto

¨ Sutta  (vedico: s ū tra; letteralmente: filo * ) del linguaggio conveniente del Sublime Prefetto ** Mia Nonna dello Zen così ha udito: una volta dimorava il Sublime Prefetto presso la Basilica di Sant’Antonio, nel codice catastale di Padua. E il Sublime così parlò: “Quattro caratteristiche, o mio bhikkh ū *** , dirigente dell’area del decreto di espulsione e dell’accoglienza e dirigente anche dell’area degli enti locali e delle cartelle esattoriali e dei fuochi d’artificio fatti come Buddho vuole ogni qualvolta che ad esempio si dica “cazzo di Buddha” o anche “alla madosca” o “gaudiosissimo pelo”, deve avere il linguaggio conveniente, non sconveniente, irreprensibile, incensurabile dagli intercettatori; quali quattro? Ecco, o mio dirigente che ha distrutto le macchie: un dirigente d’area parla proprio un linguaggio conveniente, non sconveniente, un linguaggio conforme alla Dottrina del Governo, non in contrasto con essa, un linguaggio gradevole, non sgradevole, un linguag

Simona la Trummona

La Simona di James Blunt




Simona la Trummôna
by Blue Amorosi


Simone Dauffe vs Simona la Trummona


Quando  ascolto “Simona”<!--[if !supportFootnotes]-->[i]<!--[endif]--> di James Blunt, lo confesso, penso a Simone Dauffe e mi viene di raddoppiarle il ritornello con “Simona si’ppròprio ‘na trummòna”, che, d’accordo, visto cosa suona e come lo suona Simone Dauffe, non sarebbe proprio una virtuosa del melodico!...
Simone Dauffe, andatevi a rileggere questo post, era una ventenne ectomorfa che suonava il suo carillon a 72 colpi alla volta tanto che faceva siffler le orecchie al poeta desiderato.
La trummona del poeta, invece, può avere l’ectomorfico culo di quella Simone?
Può la Trummona farsi oggetto flottante magico?
Che in una prossemica anamorfica, o prossemica della macchia, metta in azione due campi di forza?
La Trummona prende al laccio il fantasma fallico e in quel momento diffonde l’ectomorbidezza del suo pondus?
Non lo so, non so che dirvi.
La Simona di James Blunt è, sì, momento della metafora, dono, regalo al posto del fallo ma, come Simone Dauffe, potrebbe, nell’attimo dello spostamento obliquo, enunciare “Ciò che guardo è ciò che vuole vedermi?”
Direbbe questo: “Vuoi vedermi da dove ti guardo? Ebbene, guarda, è questo!” e incitare colui a cui il quadro è presentato a deporre lì il suo sguardo?
Simona la Trummona non è un culo ectmorfico fonte zampillante dei riflessi del fantasma fallico, ma, sfavillio e rifrazione, anch’ella inonda, riempie, trabocca.
Anche se non ha la definizione che si trasferisce al gesto, ovvero più che al gesto dell’oggetto anamorfico, Simone, Simone Dauffe, non descriverebbe, né definirebbe, come lo haiku, si assottiglia sino alla pura e semplice enunciazione.
Simona la Trummona prolunga il tocco e allunga la brevità, il suo movimento non è mai così immediato, come un trombone di piazza, non è uno haiku che si avvolge su stesso:
Simona You’re getting older
Your  journey’s been etched
On your skin.

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<!--[if !supportFootnotes]-->[i]<!--[endif]--> In realtà il titolo è “1973”.