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Cate Blanchett
032c photographed by Sean & Seng, Summer 2013
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Se
devo tenerlo il fiancale madido
se
devo accarezzare Guh, e tenerlo
segreto
questo raccolto che volge in gioco
che
può benissimo essere il mio battello
oppure
se uno abbia voglia di andare,ing,
muovendosi
tra il desiderio,iccha, e il gesto di
inga o ingita, con tante delicate attenzioni,
la sua
pelle fissa con il blu e il rosso,
e in
questo muoversi gridare Gu,
con la
gioia di precedere il silenzio
la
copertura del mistero,
e
questo è Guhya,
in
questa trasparenza del nome nel quale
non
posso che a lungo ammirare la graziosa potenza
splendida
e tesa del nome comune, e questo che
colora
una jolie fille, il suo Martinguhing
che
riunisce in pieno pomeriggio
tutta
l’ombra lunga del suo passaggio al meridiano
tra
gesti e sussulti e coperture
misteri,Guhya,da tenere dentro,Guh, in questa
atletica,ing,del culo
questo
Martinguhing, patagonico muoversi del
bonheur
perfettamente
visibile sotto rete
pronta
a ricevere Miss Martinguhing
il
fiancale madido del bonheur che sussulta
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Nella
forma eclittica appare doppia la linea
nella
forma eclittica in cui lei appare
nella
discontinuità del tratto che taglia corto
con
ogni affetto, questa parure
con le
pezze d’arme, la sua armure
così
concatenata e reversibile, così ciclica
che
non ha più un codice,
sconnessa
e frantumata, dépense
che ha
l’alterità radicale e assoluta
di un
altrove che ha l’eccesso dell’irriducibile
artificio
di una sottigliezza agonistica dell’apparire
patafisica
armure questo pondus biondo
che
nella banale esattezza del suo essere sotto rete
in
attesa sta aspettando di pervenire all’incanto
di
farsi macchina, oggetto, del segreto,
non un
aggettivo che non si impone,
come
la puledra con la barda di sella o di fiancale o di questa
inumana
ginocchiera-staffa,
armure
del fallo, esponenziale analemma
che si
spoglia dei suoi nomi quando è cuoio
o
entrando nella fresca elasticità che bagna la pelle
e la
tende, fa ruotare ciò che di traverso
è
tagliato dal rosso e dal blu, semplice gesto
che
sta muovendosi e rimane, sta andando
e non
si sposta, da una parte all’altra
facendo
crepitare nella polpa inumidita
la
fibra del vento più sottile e solida
inarcata
e piegata alla tenerezza
muscolatura
che la linea fissa dalla spalla
al
dosso, terreno morbido e foncé,
dove
la terra talismano ha i fiori del pesco,
alle
gambe di faccia al vento
che
getta i colori più su e lasciando la mano
o la
bocca che si bagna e la lingua che percorre
tutto
il corpo che vede in un solo tratto
così
artificiale come se le giunture, le ginocchia,
l’articolazione
delle gambe, l’incavo del culo che
sotto
il blu elastico rende più alta la sera
e fa
vedere il giorno fino al rosso,
fossero
la rete che raccoglie in lungo e in largo
la
macchia larga e soffocata di kama-salila, l’odore
di
acqua e di sudore, di limo e di sperma
che in
segreto viene sulla pelle e si gira
o si
alza, salta e doppia la linea
troppo
larga per non doverla sempre frantumare
o
bagnare