La ragazza canavese
della posa del caffè e l’uretralità del poeta
Negli
anni Ottanta, eravamo appena agli inizi, facevo ancora largo uso della miscela
Leone, quando in quel di Torino vivevo la mia stagione di poeta nell’inferno
sabaudo della repubblica che, ancora, non era quella dell’amore ma poco ci
mancava, intanto stavamo a un passo dall’avvento dell’Aids, per dire che stavamo
per finire in bocca al romanticismo più crudo, basta col sesso in relazione, solo correlazioni fantasmatiche
e battaglie dei gesuiti quando l’oggetto a della nostra passione dondolava al
meridiano del desiderio. Io, a dir il
vero, rimpiangevo la posa del caffè, quella lunga estenuazione tra temporalità
e identità del pensiero in cui inzuppare il pane, fosse pure una biova; il
grissino torinese non l’ho mai preso sul serio, anche quando la mia amica
grafica mi fece partecipe di una sua discreta fornitura ad opera di un cugino a
cui aveva disegnato l’involucro per la vendita.
Un
giorno, mentre stavo leggendo le indicazioni della miscela Leone
in un
supermercato, mi si avvicinò una giovane donna e mi chiese perché bevessi
quella roba e non il caffè. Le risposi che ero un patito della posa del caffè,
tanto che, grazie ad essa, sono caduto nella psicanalisi e da allora la mia
oralità, nel diagramma delle mie pulsioni, fa un tutt’uno con l’uretralità; lei
si mise a ridere, anzi cominciò a ridere tanto che, poi, per provare a
ricomporre il suo metabolismo ideologico di norma, la invitai a bere un caffè.
Un caffè, e, camminando sotto i portici, sentivo il suo passo non al mio fianco
ma davanti, la sua posa, la posa per il caffè e, allora, mi ricordo bene, mi
fermai e le dissi: “Un giorno mi ha scritto presso la redazione di un mensile
di astrologia del "Corriere della Sera", per il quale curavo una rubrica, una
ragazza di una comunità, lei- così mi scrisse- stava in una comunità , metti
che sia quella di Damanhur a Baldissero Canavese e, mi interruppe la ragazza
sotto i portici di via Cernaia, io sono canavese, e , ah, dissi, dio che bella
canavese sei, nel canavese portate tutte i jeans così? E dipende dal caffè o
dal fatto che io per la posa del caffè fu da essa che caddi nel pentolone della
psicanalisi ed è da allora che la mia uretralità combacia con l’oralità, e la
canavese ricominciò a ridere, tanto che, per farla smettere, dovetti dirle
forte e chiaro: la ragazza di Damanhur mi scrisse che come trattavo io l’astrologia
e la psicanalisi nessuno, che ero diverso, un portento, io, mi scrisse, per te
tradirei la comunità, Vuesse, io sono pazza di te, da che cosa dipende, dal mio
o dal tuo Marte? L’amore , le risposi, così dissi alla ragazza canavese con cui
stavamo andando a berci un caffè, è piuttosto una faccenda complicata, da una parte
c’è un dispositivo, che è quello della sessualità, e dall’altra, c’è il
dispositivo dell’alleanza che, quando nella posa del caffè ci metti la dose
giusta di Ghb, non conta più un cazzo, e così il super-io o quello che quelli
della psicologia transazionale chiamano “Adulto” figuriamoci il “Genitore”;
Marte, d’accordo, è il fallo e se è questo che vuoi sappi che il mio Marte è in
congiunzione con Urano, e, stando dove stai, sai che un fallo così, intendo con
Urano, che è il pianeta dell’erezione fulminea e della verticalizzazione assoluta,
sai dove conduce? Al Gaudio Assoluto! Tanto – parola più, parola meno- le
scrissi, e fu così che mi telefonò
allora in quel di Torino e, allontanatasi dalla comunità, passammo un
pomeriggio insieme: andammo in un caffè in via Po in cui conoscevo l’addetto
alla macchina del caffè, e gli chiesi di portarci dei caffè lunghi,
lunghissimi, fino a che il crepuscolo civile scomparirà in riva al Po, e lei mi
disse che cos’è allora l’amore, Vuesse, che non ci ho capito un cazzo nella tua
lettera, ovvero ho solo capito che abbiamo Marte in connessione, tu nel segno
più fantasmagorico e patagonico, io nel segno del deretano, davvero questo
disse, e adesso che mi stai facendo trangugiare la tua posa del caffè e della
psicanalisi , di questa confessione laica degli ebrei, non me ne frega niente,
dimmi, poeta, ti tiro su qualche verso, ti faccio verticalizzare immediatamente
il tuo Marte, sta passando al meridiano del tuo oggetto a o no? Il cameriere, a questo punto,
aveva portato i caffè e feci una pausa, in cui riconsiderai la posa della ragazza
canavese, che, adesso, era seduta, e come sedeva lei, solo una canavese, mi
dicevo, può sedersi così, e la guardai e, portandomi la tazzina verso le
labbra, le sussurrai: Dio, che posa della ragazza canavese che sta al caffè! E
tu allora - mi guardò sorridente e sorniona - tu, poeta della posa del caffè che
stai al caffè a bere con la ragazza canavese in posa, davvero sei patafisico o posafisico, oh, dai, che cos’hai tu all’ascendente, Plutone? Ho questo di
patagonico, le risposi: il mezzopunto tra Sole, Ascendente e Plutone ha la spettacolarizzazione
di Giove e del Medio Cielo, per questo tu sei venuta da nord-ovest e ti
chiamerò la mia ragazza canavese del maestrale. E io ti chiamerò, così mi disse
la ragazza canavese in posa al caffè col poeta, il mio poeta del sud-est che
sei così sciroccato che con te berrei anche la posa del caffè nella tua
mansarda e la riempirei di tanto Ghb quanto ne è necessario per poter finalmente sentire l’odore del fumo autunnale
e le ghiande che cadono e l’eco nelle valli che portano sogni di vita e si
librano sopra di me, sopra di te, che sei il mio poeta patafisico con un Marte
patagonico e fantasmagorico, e la mia posa del caffè, io che son la ragazza
canavese del maestrale, nei boschi che sovrastano le acque tranquille negli
antichi frutteti nel Canavese fino in val Locana voglio essere inondata dalla
tua uretralità e l’aria è frizzante e
vorrei con te raccogliere anche le nocciole nel cuneese.