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Il mondo non è banale? ░ Il linguaggio conveniente del Sublime Prefetto

¨ Sutta  (vedico: s ū tra; letteralmente: filo * ) del linguaggio conveniente del Sublime Prefetto ** Mia Nonna dello Zen così ha udito: una volta dimorava il Sublime Prefetto presso la Basilica di Sant’Antonio, nel codice catastale di Padua. E il Sublime così parlò: “Quattro caratteristiche, o mio bhikkh ū *** , dirigente dell’area del decreto di espulsione e dell’accoglienza e dirigente anche dell’area degli enti locali e delle cartelle esattoriali e dei fuochi d’artificio fatti come Buddho vuole ogni qualvolta che ad esempio si dica “cazzo di Buddha” o anche “alla madosca” o “gaudiosissimo pelo”, deve avere il linguaggio conveniente, non sconveniente, irreprensibile, incensurabile dagli intercettatori; quali quattro? Ecco, o mio dirigente che ha distrutto le macchie: un dirigente d’area parla proprio un linguaggio conveniente, non sconveniente, un linguaggio conforme alla Dottrina del Governo, non in contrasto con essa, un linguaggio gradevole, non sgradevole, un lin...

░ La posa del caffè e la psicanalisi, 7

La posa del caffè e il gran lasco di Tia a Porta Susa

Il bagliore ainico di Tia
come quello di 
Aurélia Steiner d'Ajacciu

La posa del caffè nel canavese ha i suoi godimenti particolari, non v’è dubbio, ma anche gli effetti collaterali non sono da meno. La ragazza canavese del maestrale, quel pezzo di gnocca sabauda, d’accordo è estensivo il termine, ma vi rendete conto cosa accadde allora sul finire degli anni di piombo, stava per arrivare l’edonismo reaganiano e noi poeti a prenderla in culo per via dell’effetto Aids artatamente inalberato dalla macchina mondiale della società dello spettacolo e della chiacchiera infinita da stampare ogni giorno?! Tia , che è l’acronimo della ragazza del maestrale, siete sicuri che l’abbia davvero conosciuta per via della miscela Leone e non, piuttosto, perché, nella sera lunga di un marzo ancora chiuso nell’inverno più rigido e duro sotto i portici di via Cernaia nella direzione in cui, se ci fosse stato il vento là sotto, è verso Porta Susa che il suo podice aveva l’allure della Julie trentenne di Honoré de Balzac, col vento in poppa in fil di ruota, Tia teneva non solo il mio aquilone sopravento e gli avvoltoi in cerchi ampi in un cielo reso scivoloso dal ghiaccio e dall’erba che, fuori della città, sapevo bagnata in lunghe onde, e così come un uomo che scrolla le spalle e la coda ondeggia per un attimo e poi sprofonda nella quiete, gli avvoltoi sfiorano lo zenit con ampi cerchi sopra il mio aquilone e il culo di Tia, e le colline dormono: “E’ una fattoria, bianca come neve, che spunta tra i verdi alberi, in lontananza, quel podice – questo, ricordo, mi dissi sotto i portici- e io guardo il mio aquilone, e metti che ci sia la luna in questo cielo quassù in cui non si vede niente fra poco , è sicuro, si accenderà, e poi oscillerà come il disco di un pendolo e come il mio aquilone sulla coda del tuo aquilone che, Dio, è immenso, ma che podice da gran lasco ha questa ragazza canavese che sta andando in stazione a prendere il treno!” Alcuni uomini, anche nel secolo scorso, corrono in fretta di qua e di là in caccia di moscerini e di farfalle, e molestano le ragazze , nel buio dei portici di via Cernaia, alcuni stanno lì solenni a grattare per vermi, altri stanno lì ad aspettare che qualcuno getti il mangime, ah se non ci fossero i poeti, che non sono nel codazzo di seguaci della politica, così cavallereschi ed eroici, ma anche metafisici e ribelli, oh, Vuesse, che ci vuole a dire al codazzo “State tentando di scandagliare l’esoterismo di un uomo o la merda delle galline nella città savoiarda?” e la tua voce è quella del poeta, patagonica che a volerla afferrare nessuno vi riesce, è il tuo aquilone d’altronde, e c’è l’aquilone di Tia che quando ti sorride la tua anima vola alto per diecimila miglia. Il segreto ultimo dell’esistenza, tu che te ne stai partendo per il Canavese e sei la mia ragazza canavese del maestrale e hai un podice che, come l’olmo ombroso, misurando a occhio i suoi rami generosi, amorosamente le sue foglie gioiose si carezzano l’un l’altra, e penso – così mi dissi nella stazione buia di Porta Susa in quel marzo – che il terreno della collina non può che trattenere per sé la sua sostanza, arricchita dalla pioggia, e poi dalle radici succhiata e incanalata come la posa del caffè, lì dove la brezza prendeva vita e cantava. Insomma, per farla breve, ricordi Tia che ti dissi? Ti dissi: “Come potrebbe l’anima di un uomo essere più lunga e più estesa della posa del caffè che ha preso per tutta la sua fanciullezza e adolescenza?” E tu cosa mi rispondesti, così tutta dentro la tua sostanza, arricchita dalla pioggia, eri bagnata, inzuppata, mi avresti confessato dopo: “Amo gli alberi e i fiori”? O “Abito sottoterra e il mio aquilone quando vengo su è la mia anima che vola in cielo”? Oppure “Le mie radici sono cresciute larghe e profonde, così, poeta, irrorami con la tua posa del caffè, declamami un carme unto e vigoroso”? 
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