«il pongo mi interessa perché legato alla precarietà
costante della mia ricerca:
fragile e corruttibile come la natura umana,
rimanda all’oblio ma anche alla vitalità»
lo Studio d’Arte Fedele (Monopoli, via Mazzini 47)
presenta la mostra di Cristiano De Gaetano
LA BELLEZZA COME DONO
Inaugurazione Venerdì 20 Dicembre 2013
ore 19,00
La mostra è visitabile fino al 28 febbraio 2014 (dal lunedì al sabato: 10,00-12,00; 16,00-19,00).
in collaborazione con la rivista Incroci
Cristiano De Gaetano, artista tarantino nato nel 1975, è scomparso prematuramente lo scorso maggio.
Artista esuberante, noto sul territorio nazionale, utilizzava la cera pongo nei suoi lavori.
Sull’ultimo numero di «incroci», in uscita in questi giorni, scrive di lui Francesco Giannoccaro
(il testo viene qui pubblicato , gentilmente concesso dall'autore)
e vengono pubblicate alcune sue opere.
Cristiano de Gaetano
La bellezza come dono
La primavera appena trascorsa si è portata via, ad appena 37 anni,
Cristiano de Gaetano, senz’altro l’artista più originale e completo del nuovo
millennio in terra di Puglia. Siamo certi che il tempo sarà galantuomo nel
tributargli ciò che il suo breve passaggio non gli ha ancora reso.
Queste righe appaiono con quasi dieci anni di ritardo. Sarà bene
cominciare da capo, da una serata di marzo del 2004, quando, presso la Galleria Fedele di Monopoli, diverse volte
citata su queste pagine e nostra partner in varie iniziative, si tenne la
mostra di un giovane artista tarantino, già da tempo nel mirino dei suoi
insegnanti d’Accademia, e successivamente dei critici più accreditati di casa
nostra. La stessa non era un omaggio alle sue ascendenze locali per parte di
madre, quanto piuttosto un atto di cortesia verso un mio parente -di fiuto
buono verso i giovani artisti di qualità- che ce l’aveva caldamente segnalato.
In verità, sin dalla prima visita alla sua casa-laboratorio nel borgo antico di
Taranto, di fronte alle tele che andava realizzando -con imperdonabile ritardo
sull’impegno assunto- ci rendemmo conto, con l’amico gallerista, di essere al
cospetto di un artista compiuto nonostante la giovane età, di mano ferma e idee
chiare, supportate da un vario background culturale. In quel tempo, Cristiano
era reduce dalla collaborazione, in qualità di scenografo, con il regista
Winspeare, giustappunto per un film girato nella città dei due mari e, per
alcune scene, addirittura a casa sua. Il giovane, quindi, non disdegnava di
cimentarsi in vari ambiti.
Francamente, l’aspetto un po’ metal,
quel porgersi scanzonato e irridente con alcune uscite ruspanti, potevano
suscitare riserve e perplessità nell’interlocutore affettato. Un po’ ci
cascammo anche noi. Salvo a ricrederci non appena la frequentazione ebbe
superato i convenevoli.
La mostra ebbe grande successo: di pubblico, di critica, e anche di
vendite. Per l’occasione, Fedele mi aveva chiesto una breve testimonianza per l’invito.
La stessa non riscontrò il gradimento dell’artista, che trovò il modo di
farmelo capire. Forse non vidi ciò che voleva, o forse non capì lui. Non nacque
amicizia, insomma, tra il talentuoso ragazzaccio
e il suo borghese estimatore, e d’allora non ci siamo più visti. Anche
l’articolo che avevo pensato per lui su incroci
non vide la luce. Tutta qui la storia di un incontro andato male.
Un’altra storia, che esula da rapporti personali, si offre però all’attenzione di un pubblico
sempre più ampio. Quella di un instancabile artista di talento, che nel breve
volgere di un quindicennio ha calcato anche palcoscenici internazionali, ma che
molto, davvero tanto, ancora aveva da rivelare. Non ci sono infatti aspetti
dell’arte che Cristiano abbia lasciato
inesplorati nel suo pur breve percorso, in virtù di una curiosità
bulimica, con esiti sempre sorprendenti.
Rivado alle tele esposte a Monopoli: figure spesso ricavate dall’album
famigliare o dall’autobiografia, in contesti però insoliti e spiazzanti,
attentamente studiati, pregni di una calda metafisicità. Immagini colte al volo
come fotogrammi di un film, le sue tante storie da raccontare. Se non fossimo
stati testimoni, mai avremmo creduto che Cristiano potesse realizzare un corpus
pittorico così vasto e complesso, con certosina attenzione verso ogni
dettaglio, in un lasso di tempo tanto breve.
Sembrò quello, sulle prime, un approdo stabile della sua ricerca, una
piattaforma sicura sulla quale vivere di rendita per gli anni a seguire. Nulla
di tutto questo. In un recente libro-intervista Michelangelo Pistoletto afferma
che “universale è la differenza, non
l’uniformità” soprattutto in tempi di “omologazione
economico-culturale”. Pensiero che fa riflettere.
Ebbene, nel corso della sua rapida parabola, il nostro ha spaziato
instancabilmente, rifuggendo l’uniformità,
avendo piuttosto la forza di osare, di cominciare da capo. Infatti, la sua attività
artistica ha proceduto parallelamente su più piani, quasi senza pause, dalla
pittura alla scultura, dall’installazione
ai video.
Il passaggio dalla pittura alla cera pongo -materiale tanto caro alla
memoria collettiva, perché legato alle esperienze artistiche scolastiche-
l’esito più felice e riconoscibile del suo iter creativo, e che gli ha
riservato più ampi consensi, avvenne quasi naturalmente. Nell’arco di alcuni
anni, Cristiano è andato collezionando
volti assorti di bambini come di adulti, quindi mezzi-busti, quindi scene di
vita quotidiana, lavorando la pongo su sagome di legno. Una scoperta per lui
entusiasmante che lo portava a cimentarsi in intarsi raffinati, puntando su
lievi scarti di tonalità e creando così un rapido alternarsi di luci e ombre su
volti che sanno comunicare pur nella loro attonita fissità. “È il pongo, nella sua capacità di registrare ogni minimo dettaglio”, aveva
dichiarato. Sì, quel dettaglio mai lasciato al caso, posato su ogni piega o inseguito quasi ossessivamente nei colori
dei vestiti, arabeschi che testimoniano, tra l’altro, quanto fosse sensibile a
certe suggestioni del passato, soprattutto sul versante miniaturista
rinascimentale. Con le sagome più grandi
e composite, poi, egli giunse ad assemblare gruppi, interni, approdando, quasi
naturalmente, alla tridimensionalità, frutto anch’essa, chissà, di reminiscenze
illustri.
Ma la cera pongo non gli è stata funzionale solo al versante figurativo.
C’è una serie di opere, infatti, meno numerose e anche meno note, improntate al puro astrattismo: alcune
caratterizzate da irruenze cromatiche, altre affidate a riflessioni
geometriche, dove la pongo viene sapientemente spianata fin quasi ad azzerare
il suo connotato materico. Speriamo che questa produzione non sfugga a una
corretta e rigorosa catalogazione.
In margine alla sua lunga collaborazione con una nota Galleria milanese,
nelle sue improvvise e mai preannunciate incursioni a Monopoli -città di suo
nonno, per lui una scoperta- Cristiano aveva affidato all’amico Fedele alcune
sculture per l’ammirazione dei suoi ospiti, ivi compresi alcuni artisti,
abitualmente parsimoniosi di consensi. L’amico le ha volute a casa sua tra i
beni di famiglia. Mi limito a citare due busti, entrambi maschili, diversamente
strutturati. Il primo, qui riprodotto, è una terracotta col volto
ingegnosamente invecchiato praticandovi delle crepe (quante ne pensava!), così
vere da sembrare naturali. La seconda, di una statica solennità, verniciata di
nero pece, a cui l’incidenza della luce dona effetti cangianti.
Nel corso di uno degli ultimi passaggi, Cristiano lasciò in Galleria,
senza nulla aggiungere, tre piccole maschere funerarie di terracotta smaltata.
A ripensarci adesso, ciò suona come un presentimento della fine che incombeva,
della fine della sua avventura. Ci dicono, poi, che abbia continuato a lavorare
fino all’ultimo, cocciutamente, benché stremato nel fisico e nella speranza.
Il grande Antoni Tàpies disse un giorno che “l’arte non insegue la
bellezza, ma in ogni caso la riceve in dono.” Un dono ampiamente meritato, caro
Cristiano.
Francesco Giannoccaro