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Il mondo non è banale? ░ Il linguaggio conveniente del Sublime Prefetto

¨ Sutta  (vedico: s ū tra; letteralmente: filo * ) del linguaggio conveniente del Sublime Prefetto ** Mia Nonna dello Zen così ha udito: una volta dimorava il Sublime Prefetto presso la Basilica di Sant’Antonio, nel codice catastale di Padua. E il Sublime così parlò: “Quattro caratteristiche, o mio bhikkh ū *** , dirigente dell’area del decreto di espulsione e dell’accoglienza e dirigente anche dell’area degli enti locali e delle cartelle esattoriali e dei fuochi d’artificio fatti come Buddho vuole ogni qualvolta che ad esempio si dica “cazzo di Buddha” o anche “alla madosca” o “gaudiosissimo pelo”, deve avere il linguaggio conveniente, non sconveniente, irreprensibile, incensurabile dagli intercettatori; quali quattro? Ecco, o mio dirigente che ha distrutto le macchie: un dirigente d’area parla proprio un linguaggio conveniente, non sconveniente, un linguaggio conforme alla Dottrina del Governo, non in contrasto con essa, un linguaggio gradevole, non sgradevole, un linguag

Cristiano De Gaetano ░ La bellezza come dono


«il pongo mi interessa perché legato alla precarietà 
costante della mia ricerca: 
fragile e corruttibile come la natura umana, 
rimanda all’oblio ma anche alla vitalità»
lo Studio d’Arte Fedele (Monopoli, via Mazzini 47)
presenta la mostra di Cristiano De Gaetano
LA BELLEZZA COME DONO
Inaugurazione Venerdì 20 Dicembre 2013
ore 19,00
La mostra è visitabile fino al 28 febbraio 2014 (dal lunedì al sabato: 10,00-12,00; 16,00-19,00).
in collaborazione con la rivista Incroci



Cristiano De Gaetano, artista tarantino nato nel 1975, è scomparso prematuramente lo scorso maggio. 
Artista esuberante, noto sul territorio nazionale, utilizzava la cera pongo nei suoi lavori. 
Sull’ultimo numero di «incroci», in uscita in questi giorni, scrive di lui Francesco Giannoccaro
(il testo viene qui pubblicato , gentilmente concesso dall'autore)
e vengono pubblicate alcune sue opere.
locandina

Cristiano de Gaetano
La bellezza come dono

La primavera appena trascorsa si è portata via, ad appena 37 anni, Cristiano de Gaetano, senz’altro l’artista più originale e completo del nuovo millennio in terra di Puglia. Siamo certi che il tempo sarà galantuomo nel tributargli ciò che il suo breve passaggio non gli ha ancora reso.


   Queste righe appaiono con quasi dieci anni di ritardo. Sarà bene cominciare da capo, da una serata di marzo del 2004, quando, presso la Galleria Fedele di Monopoli, diverse volte citata su queste pagine e nostra partner in varie iniziative, si tenne la mostra di un giovane artista tarantino, già da tempo nel mirino dei suoi insegnanti d’Accademia, e successivamente dei critici più accreditati di casa nostra. La stessa non era un omaggio alle sue ascendenze locali per parte di madre, quanto piuttosto un atto di cortesia verso un mio parente -di fiuto buono verso i giovani artisti di qualità- che ce l’aveva caldamente segnalato. In verità, sin dalla prima visita alla sua casa-laboratorio nel borgo antico di Taranto, di fronte alle tele che andava realizzando -con imperdonabile ritardo sull’impegno assunto- ci rendemmo conto, con l’amico gallerista, di essere al cospetto di un artista compiuto nonostante la giovane età, di mano ferma e idee chiare, supportate da un vario background culturale. In quel tempo, Cristiano era reduce dalla collaborazione, in qualità di scenografo, con il regista Winspeare, giustappunto per un film girato nella città dei due mari e, per alcune scene, addirittura a casa sua. Il giovane, quindi, non disdegnava di cimentarsi in vari ambiti.
   Francamente, l’aspetto un po’ metal, quel porgersi scanzonato e irridente con alcune uscite ruspanti, potevano suscitare riserve e perplessità nell’interlocutore affettato. Un po’ ci cascammo anche noi. Salvo a ricrederci non appena la frequentazione ebbe superato i convenevoli.
   La mostra ebbe grande successo: di pubblico, di critica, e anche di vendite. Per l’occasione, Fedele mi aveva chiesto una breve testimonianza per l’invito. La stessa non riscontrò il gradimento dell’artista, che trovò il modo di farmelo capire. Forse non vidi ciò che voleva, o forse non capì lui. Non nacque amicizia, insomma, tra il talentuoso ragazzaccio e il suo borghese estimatore, e d’allora non ci siamo più visti. Anche l’articolo che avevo pensato per lui su incroci non vide la luce. Tutta qui la storia di un incontro andato male.
   Un’altra storia, che esula da rapporti personali,  si offre però all’attenzione di un pubblico sempre più ampio. Quella di un instancabile artista di talento, che nel breve volgere di un quindicennio ha calcato anche palcoscenici internazionali, ma che molto, davvero tanto, ancora aveva da rivelare. Non ci sono infatti aspetti dell’arte che Cristiano abbia  lasciato inesplorati nel suo pur breve percorso, in virtù di una curiosità bulimica,  con esiti sempre sorprendenti.
   Rivado alle tele esposte a Monopoli: figure spesso ricavate dall’album famigliare o dall’autobiografia, in contesti però insoliti e spiazzanti, attentamente studiati, pregni di una calda metafisicità. Immagini colte al volo come fotogrammi di un film, le sue tante storie da raccontare. Se non fossimo stati testimoni, mai avremmo creduto che Cristiano potesse realizzare un corpus pittorico così vasto e complesso, con certosina attenzione verso ogni dettaglio, in un lasso di tempo tanto breve.
   Sembrò quello, sulle prime, un approdo stabile della sua ricerca, una piattaforma sicura sulla quale vivere di rendita per gli anni a seguire. Nulla di tutto questo. In un recente libro-intervista Michelangelo Pistoletto afferma che “universale è la differenza, non l’uniformità” soprattutto in tempi di “omologazione economico-culturale”. Pensiero che fa riflettere.
   Ebbene, nel corso della sua rapida parabola, il nostro ha spaziato instancabilmente, rifuggendo l’uniformità, avendo piuttosto la forza di osare, di cominciare da capo. Infatti, la sua attività artistica ha proceduto parallelamente su più piani, quasi senza pause, dalla pittura alla scultura, dall’installazione  ai video.
   Il passaggio dalla pittura alla cera pongo -materiale tanto caro alla memoria collettiva, perché legato alle esperienze artistiche scolastiche- l’esito più felice e riconoscibile del suo iter creativo, e che gli ha riservato più ampi consensi, avvenne quasi naturalmente. Nell’arco di alcuni anni,  Cristiano è andato collezionando volti assorti di bambini come di adulti, quindi mezzi-busti, quindi scene di vita quotidiana, lavorando la pongo su sagome di legno. Una scoperta per lui entusiasmante che lo portava a cimentarsi in intarsi raffinati, puntando su lievi scarti di tonalità e creando così un rapido alternarsi di luci e ombre su volti che sanno comunicare pur nella loro attonita fissità. “È il pongo, nella sua capacità di registrare ogni minimo dettaglio”, aveva dichiarato. Sì, quel dettaglio mai lasciato al caso, posato su ogni piega  o inseguito quasi ossessivamente nei colori dei vestiti, arabeschi che testimoniano, tra l’altro, quanto fosse sensibile a certe suggestioni del passato, soprattutto sul versante miniaturista rinascimentale. Con le  sagome più grandi e composite, poi, egli giunse ad assemblare gruppi, interni, approdando, quasi naturalmente, alla tridimensionalità, frutto anch’essa, chissà, di reminiscenze illustri.
   Ma la cera pongo non gli è stata funzionale solo al versante figurativo. C’è una serie di opere, infatti, meno numerose e anche meno note,  improntate al puro astrattismo: alcune caratterizzate da irruenze cromatiche, altre affidate a riflessioni geometriche, dove la pongo viene sapientemente spianata fin quasi ad azzerare il suo connotato materico. Speriamo che questa produzione non sfugga a una corretta e rigorosa catalogazione.
   In margine alla sua lunga collaborazione con una nota Galleria milanese, nelle sue improvvise e mai preannunciate incursioni a Monopoli -città di suo nonno, per lui una scoperta- Cristiano aveva affidato all’amico Fedele alcune sculture per l’ammirazione dei suoi ospiti, ivi compresi alcuni artisti, abitualmente parsimoniosi di consensi. L’amico le ha volute a casa sua tra i beni di famiglia. Mi limito a citare due busti, entrambi maschili, diversamente strutturati. Il primo, qui riprodotto, è una terracotta col volto ingegnosamente invecchiato praticandovi delle crepe (quante ne pensava!), così vere da sembrare naturali. La seconda, di una statica solennità, verniciata di nero pece, a cui l’incidenza della luce dona effetti cangianti.
   Nel corso di uno degli ultimi passaggi, Cristiano lasciò in Galleria, senza nulla aggiungere, tre piccole maschere funerarie di terracotta smaltata. A ripensarci adesso, ciò suona come un presentimento della fine che incombeva, della fine della sua avventura. Ci dicono, poi, che abbia continuato a lavorare fino all’ultimo, cocciutamente, benché stremato nel fisico e nella speranza.
   Il grande Antoni Tàpies disse un giorno che “l’arte non insegue la bellezza, ma in ogni caso la riceve in dono.” Un dono ampiamente meritato, caro Cristiano.




                                                                                        Francesco Giannoccaro