Il cappello bianco, quello che
avevo quando ci guardammo, io e Lady D, quella volta che venne a Bologna, avrei voluto averlo molti anni prima, per
Françoise Hardy, che, lo so, adorava vedermi col cappello bianco e avrebbe
detto senz’altro : Mon Dieu, Vuesse, ça , c’est très joli!
Quello che mi piaceva di quella
giovane donna era tutto, intendo tutto il corpo e la voce, e quella faccia, e
il naso, le gambe, il culo, mi piaceva il culo di Françou, le cul-Françou, così
lo chiamavo e lei arrivava al meridiano attorno al mio oggetto “a”, a volte non
lo dicevamo nemmeno, né lei, né io, sapevamo di esserci, e c’era un non so che
di, come dire, c’era una sorta di mistico bonheur nel suo canto che mi
prendeva, e pensavo sempre che fosse mia moglie, con cui aveva questa
assonanza, non della voce, ma dello stato apparentemente ectomorfo del corpo,
che faceva pulsare la mia pulsione narcisista, d’altronde era stato sempre
evidente, non facevo che prediligere oggetti fallico-narcisisti, per via della
pulsione uretrale, forse, e della posa del caffè.
Il cappello
bianco, il circo, “Astra”, le vent-hardy e le cul-françou
Una volta, ho saputo che Françou
sapeva d’astrologia e allora, quando ero uno dei più grandi esperti mondiali di
“Astra”, pensavo che un giorno o l’altro avrei trovato, nella posta che mi
arrivava in via Scarsellini dov’era la sede dei periodici del Corriere della
Sera in quel tempo, una sua lettera, e chissà che non mi abbia davvero scritto,
e la lettera non mi è stata data, come tante altre d’altronde, per via della
psicanalisi e della posa del caffè, e del
punctum Mercurio/Plutone che un po’
mi fa poeta e un po’ mi fa il portatore del mistero assoluto, e delle
sottrazioni subite. C’è qualcosa di forte tra me e Françou: lei ha la
congiunzione Marte/Urano al Medio Cielo e io, che son più giovane e, già
adolescente, avrei voluto possederla o, quantomeno, passeggiarci sotto i
portici di via Roma a Torino, mano nella mano dentro la sua canzone più in
voga; dicevo, io, la congiunzione Marte/Urano ce l’ho in un altro segno ma ha
la stessa valenza, è quella del
fallo uranico, che, in quegli anni, alla radio
è con la sua voce che passava al meridiano dell’ascoltatore e del poeta; c’è
che ha il Sole complementare al mio Sole, e Lilith e Chirone attorno
all’Ascendente che lambisce la mia Venere in Vergine, su cui agisce la
congiunzione Marte/Urano.
Anni fa ho visto un video di una
sua canzone fatto dentro una giostra, e allora vedete che è per questo che
avrei voluto il cappello, ogni volta che c’è la giostra un poeta ha bisogno del
cappello, e anche quando c’è il circo, una volta, ero un ragazzo, una mia zia,
che era originariamente una zingara, mi portò al circo in piazza, e, questo lo
ricordo perfettamente, la cassiera disse non so che parola sul mio aspetto,
qualcosa che, non è una parola, è una sorta di
punzone semantico che, poi,
resta nel tuo fantasma e, per l’eternità, sai che quella donna, quando il suo
oggetto “
a” verrà agitato e fatto fremere al meridiano del suo fantasma, non
farà che ungerti di gaudio il tuo
(-φ),
benedetto sia Lacan!
|
Il fantasma del cappello bianco del poeta |
Non so se, in quel tempo, ero
dentro la bolla di Françou, forse no, ma è che andai al circo senza cappello e
Dio che scappellamento mi fece fare quella buona donna, che non era per niente
del tipo ectomorfo alla Hardy, anzi non cantava nemmeno e figuriamoci se quello
che verbalizzò come punzone del suo desiderio per il gaudio del mio
(-φ) potesse essere espresso con la
voce chiamata Françou.
Col
cappello, quando finalmente lo presi da Barbetti a Bologna, avrei voluto
andarci, ma anni prima, al circo con Françou e avrei voluto che lei sentisse il
punzone semantico della cassiera, hai visto che non mentivo, Françou, c’è una
spiegazione a tutto questo, le avrei detto, no, non sta nella faccenda di
“Astra” né nel tuo Marte/Urano al Medio Cielo, sta nel mio Mercurio/Plutone, è
da lì che si affila il punzone, nessuno può farci niente, è per questo che sono
Enzù, per via di questo punctum affilato da Marte/Urano, che è più maledetto
del tuo, perché ha una potenza soprannaturale, che deriva dalla posa del caffè,
e, certo, le avrei detto, c’è anche la ragione e la riflessione e la potenza
duratura, il rigore di Saturno, come anche in te d’altronde, ma mi dici che
cos’è allora che mi fa impazzire per te?
E
tu avresti detto, con tutto il rigore e la serietà del tuo stato ectomorfo, non
sei la Dea Eriu in un testo che avrei scritto lustri e lustri dopo la posa del caffè per la voce, le gambe e la
faccia della mia adolescenza?, senza nemmeno sorridere un po’: “C’est le
cul-Françou, Enzou!”
Senza
che ti passasse per la testa che un giorno, per la somatologia della tua
immagine, il poeta ti avrebbe messo dentro l’esagramma del farsi incontro, e tu
per questo sei la dea celtica Eriu, la più casta di tutte le donne, e le tue
gambe che ordiscono un complotto contro la tua virtù, e fu così che Dagda prese
Eriu e quando ti sei svegliata sotto il cielo di Parigi, e il poeta scrisse che
era il trigramma che condensa la tua iconica polisemia e la tua polisemica
complessità, ti mettesti a cantare per il mio oggetto “a” che passava al
meridiano del tuo fantasma degli anni sessanta: “Tous les garçons…”, “Le temps
de l’amour”, “Tu verras”, e così le tue gambe, non era il tuo culo allora, con
l’intensità del respiro, ti facevano un cavallo magro, un buon cavallo, e il
vento alto e lungo, e la strettezza indicibile di quello che il monaco Severino
trovò a Justine in Sade, questo sì, c’era sotto il cielo e sotto il tabu del
fantasma nella libido di un poeta adolescente, insomma è così che poi capimmo
che si trattava del vent-Hardy, che, Françou, adesso che siamo cresciuti e non
abbiamo più pudore, si può dire che quel monaco di Sade sapeva riconoscere il
soggetto del canto del vento, e, che dire?, è colpa del cappello che non avevo
o della posa del caffè se non sono riuscito a definire il cammino della mia
libido, e mi sono anche smarrito lungo la strada, anche se sei stata sempre
dentro una massa lenta e ritmica che esisteva, e non so se può esistere ancora,
tu dici che il poeta ha raggiunto la fine del desiderio guardandoti ancora
dentro i tempi lunghi della posa del caffè in quelle tue immagini patagoniche e
assolute tra gli anni sessanta e settanta, in cui l’isomorfismo aria-canto, è
questo che avrei scritto lustri dopo, rinvia alle tecniche simboliche della
purificazione attraverso l’aria, tanto che tra respiro del vento e verticalità
del cielo, è qui il senso di Marte/Urano che rinserrano la barra del tuo Medio
Cielo, è qui la strettezza indicibile di cui al rinvio di quel monaco sadiano,
tanto che la castità di Eriu-Hardy
somatizzava la metafisica del puro
che sei tu Françou, che avevi il ni,
che è il çakra dell’anima, sì nella testa ma era invisibile, perché stava
appunto a sud, al Medio cielo, ni na klé,
scriverò nel futuro lontano dalla posa del caffè, “l’anima che sale e scende”
per essere il vento, il respiro delle gambe, forse anche, aggiungo adesso
Françou, la strettezza indicibile per il gaudio di Enzu(vë)…
Quel
vent-Hardy, con quella benedetta posa
del caffè e la patagonica delle tue
immagini, così invisibile, vuoi vedere che soffia in direzione
dell’Enzuvë? E lo si potrà anche denominare le vent-Françou, o le vent-Franzuvë(↔Françouvë)
? E lo si percepisce per l’aroma lungo e casto della posa del caffè? ▐ by v.s.gaudio
|
La Wordle del Twitter per Françou |