Non so se è per via del caffè, di
certo, ma anche per via del mese di maggio che, ormai è risaputo, è pur sempre
il mese proclamato di quelli che Harry
Mathews chiamò piaceri singolari, fatto
sta che l’oggetto “a” del poeta, ma anche del visionatore meno trascendente e
astratto, è volato davvero alto al meridiano nel primo week-end del mese del
gaudio; sarà stato anche il naso e i pantaloni rossi e quella faccia, per non
parlare della mano che le si prende per decodificarle che cosa se non la
pulsione “k” che le sprizza dappertutto? Che cosa è la pulsione “k” se non la
coscienza della propria identità di percezione, questo dare posa e caffè alla
propria isteria di conversione rattenuta e sublimata, o questo incanto di
ipocondria che, socializzato, è quasi
patagonico per come sospende l’estetica e il feticismo. L’amore della forma,
che c’è in questa ragazza, questo predominio della ragione, il realismo e lo
spirito rigido, tipiche sublimazioni del carattere dell’economista, del
politico, dell’insegnante, del soldato, del geometra e dell’impiegato alle
poste, e anche del tipografo e di chi amerebbe far furto con scasso o
vagabondare, fuoriesce sostanzialmente dalla pulsione k+ che potenzia il
narcisismo tanto è intrisa di introversione, freddezza e aridità. L’amore della
forma speculare alla forma amorevole, come se questa fosse assoggettata alla
monotonia e alla meticolosità. D’altronde, lo si capisce dal naso e da come
beve il caffè, il feticismo sta nei calzoni rossi, e la transchiromante , che è
dal lato della transestetica, per come ne indicava i tratti Jean Baudrillard, nel
prenderle la mano non fa che impadronirsi del desiderio di potenza e del
conseguente bisogno di conoscere. Dio, bisogna inseguirlo l’oggetto “a” e, poi,
prenderle la mano e, una volta che questo possa avvenire, che ci siano dei
fotografi a immobilizzare la scena, il patagonismo nasce così, che cosa c’è
lassù che passa al meridiano e ti percuote l’oggetto “a”, tanto che ogni volta
che il visionatore la guarda si dice ma che cos’è, il mese di maggio è davvero
il mese del gaudio o quello che gli ammašcanti chiamano il periodo del
furguwune, ma è mai possibile che si possa essere trattenuti in questo
incantesimo da una che sta elaborando gli ideali possessivi e di sicuro finirà
col consegnarli integralmente alla pulsione k-, tra negazione, rimozione e
distruzione? Quando Jean Baudrillard parla dell’inseguimento dell’ attrattore
strano è a Venezia che ne ambienta la scena; a Livorno, il narcisismo primario
di chi è portatrice dell’attrattore strano ha anche qui la materialità liquida,
e la distruzione dell’io, lo sappiamo, trova nella posa del caffè la giusta
tendenza ad adattarsi alla rimozione,
anche se qui il fattore sistolico non è prolungato, ma intanto che la guardate
per come beve il caffè e poi per come le prende la mano la transchiromante,
tra naso, bocca e pantaloni rossi che cosa le fareste alla nostra giovane donna
catatonica e narcisista, facendo finta di non sapere che ruolo amministra, che
amministrazione del suo io materiale e dell’avere(quel corpo che ha) le fareste
con il semplice tocco della mano?
Con la pulsione “k”, l’io prende
posizione e avete visto come beve il caffè? Afferma la posizione dell’avere, è
quasi incerta e sorridente nel suo ammiccare catatonico, per questo le
prendiamo la mano e , sarà che è il mese di maggio e c’è questa aria che tira il
gaudio a Livorno, una delle meraviglie della natura, se non la più notevole, è
questo che vorreste dirle, è quella sospensione sistolica del podice che hai
che mi tiene su al meridiano, e, complici i tuoi calzoni rossi, Dio, ti tengo la
mano e il mio narcisismo primario si riempie del tuo, c’è un travaso di libido,
è come se la tua isteria di conversione fosse speculare alla mia nevrosi
ossessiva, ed è tutto dentro una regola matematica che è anche estetica e
metafisica, un po’ come se tu che hai lo spirito che si assoggetta all’ordine
catatonizzi lo spirito rigido del mio oggetto “a”; così, al livello
filogenetico, siamo dentro la stessa bolla dell’identità di percezione, è
questo allora il gaudio di maggio?
Quello che hanno gli occhi , fece
in una Mirlitonnades Beckett, mal visto di bene le dita lasciano filare di
bene: come socchiude e tiene stretti gli occhi, e le dita, la mano, che lascia
filare e stringe per bene, le dita gli occhi, Dio, una delle meraviglie della
natura è questo che le bien revient en mieux, il bene va in meglio, e le
bonheur allora, quello hanno gli occhi e le dita stringono per bene mal visto,
così tenuto dentro il bonheur. Il visionatore immagina se questo un giorno
questo un bel giorno immagina se un giorno il caffè, la posa un bel giorno
questo cessasse o fosse accaduto, immagina questo, per questo le prende la
mano, che è il silenzio così che ciò che fu prima potrà mai essere ancora e di
più quante volte soltanto dal bisbiglio lacerato una parola la mano che tocca
lieve e il naso in capo a quale torretta l’occhio questo limite del niente
davvero fa solo nella tua testa? Tutto sommato, tirate le somme, bevuto il
caffè, un bel quarto d’ora senza contare il tempo perduto, quella là, dunque
quella o anche quella là pur nell’esserci in cui è già, fosse qua sabato o un
altro giorno sempre a maggio, perché è dentro il mese che la luna nera maneggia
tanto che fa notte e lei implora l’alba intanto che la notte di grazia e di
gaudio addosso le si posa, e, fattosi un altro caffè, preso per mano il (-φ) del poeta, niente,
nessuno, sarà stato, per niente, tanto è stato, dentro la posa del caffè,
niente, nessuno, quello che hanno gli occhi mal visto di bene, le dita lasciato
di bene filare, stringe per bene il bonheur, le dita gli occhi, così bene, il
bene-bonheur va in meglio, è là che si tiene, la mano dapprima di piatto sul
duro lo preme, la destra o la sinistra, di piatto, poi, sulla destra o la
sinistra, infine, sul tutto, gli occhi, la testa, il naso, la bocca, fa sosta,
ammicca la faccia da tosta, fa suo il poeta e la posta.