Quello de
La mosca fenocopica di Barthes,
che è la parte iniziale di
Sindromi
Stilistiche (Forum QG 1978), e la mosca è già nel primo testo, del 10
gennaio 1974, morta, sul nome di Barthes, è stato un caso paradigmatico della “posa del caffè e la
psicanalisi”: intanto è un doppio archetipo, sostantivo ed epiteto, quasi con
uno schema verbale per quanto immobile e gelido. Venne, mi sembra a Torino, un
letterato a dirmi, in un reading di poesia non so dove, che era stato preso
dalla mia “mosca fenocopica di Barthes” di cui aveva letto in un numero di “Tuttolibri”,
che, all’epoca, usciva autonomo e non come supplemento de “La Stampa”; il fatto
è che quel numero di “Tuttolibri” il poeta non è mai riuscito a scovarlo: era
dunque una copia del diavolo quella letta dal tal letterato o, semplicemente,
essendo dentro la temporalità della posa del caffè e della miscela Leone
sabauda, era come l’oggetto “a”, che è sempre invisibile a chi lo guarda dall’esterno
ma che, dentro la libido del visionatore, proprio nel momento più denso della
sua invisibilità sta facendo passaggi intensivi e perversi al meridiano di chi
lo dondola?
La posa del caffè e la psicanalisi, 12 ░
▐ La mosca fenocopica di Barthes, la Mouche di Beckett, la copia del diavolo e l’apparizione di Sandra Alexis
In questi giorni, sto rileggendo
spesso , tra le
Poesie in francese
1937-39 di Samuel Beckett,
La Mouche,
così un semplice archetipo-sostantivo: entre la scène et moi/la vitre/ vide
sauf elle, anche questa “ventre à terre”, ferma, ma non morta, sotto il
pollice, la mosca fa rovesciare la mer et le ciel serein; e la mia mosca era
pur’essa nel mare, per via di S.Pierre, l’isola di cui non restava che una
statua di donna: senza traccia, la parola cancellata/transfert di amnesie,/ su
scale senza fine, la durata, il fenomeno demiurgico/al disopra del testo/
ancora sui geni, la mutazione, diremo/come in avanti è necessaria nell’habitat/che
niente è del caso/ l’espressione/che segna qualcosa, che è sequenza di suoni,/è
chiusa/nell’estensione dell’essere, l’equazione depositata/appunto su Barthes
la mosca gela,/lì/trovata, solitaria verticalmente appiccicata/mosca non di una
storia/mitica, la sua solitudine delle profondità/l’allusione
[i].
E poi ritorna l’archetipo-sostantivo come “mosca in economia sfinita, ridotta
in silenzio” in un altro testo di quella sezione di
Sindromi Stilistiche.
I poeti non esistono, o sono
invisibili; le mosche no; come quel “Tuttolibri” che non fu trovato nemmeno in
una capillare ricerca fatta all’emeroteca della Biblioteca Civica di Mantova, c’erano
con il poeta, a sostenerlo nella ricerca, mi ricordo, Alberto Cappi e, forse,
Frediano Sessi.
La mosca, forse è questo il senso
che viene dalla posa del caffè, questa
mosca fenocopica è come il “pesce
tipografico”, la parola mancante, che, spesso, attraversa invisibile e non si
stampa nelle copie del diavolo, che, è risaputo, non è per la posa del caffè,
che richiede tempo e il diavolo, per quanto sia diabolicamente saturnino, non
sa aspettare, per esempio si narra che, quando vidi il passo di Sandra Alexis
in via Micca a Torino, il diavolo, stanco di aspettare, se n’era andato un
attimo prima che lei mi apparisse, l’ansa dell’ansia, l’ansa del mutamento,
nella sinuosità il codice socializza la mutazione, il consenso o quel che resta
della mosca di Barthes, anche, ancor prima, la donna di S.Pierre in blocco, è
la statua che resta, replicata, ed è Sandra Alexis, in una totalità di sensi, è
un segno immediato e una quantità assoluta, impiantata, affondata, un segno
senza sfondo, è lì, la sera precedente era lì al 50%, l’incantesimo del giorno
dopo, è terribile, la sera precedente era lì soprattutto verticale in
masturbazione, un segno immediato
[ii]
che il diavolo, lui: che roba bevi, Vuesse, 'sta posa del caffè, perché cazzo
non ti fai un Lavazza?
Io non voglio dire che il
diavolo, non posso esserne sicuro, se ne fosse davvero andato un attimo prima, l’insieme
del campo, e la singolarità della differenza, non c’era uno specchio in strada,
ma Dio, l’andatura di Sandra Alexis, leggera, laterale in avanti, di bolina stretta, solo Dio , col poeta, può averla vista! Ma, per come fendeva l’azzurro
e faceva rovesciare il cielo sereno di novembre e il mare, che a Torino anche
in via Micca lo senti che viene giù da via Po sotto i portici di Piazza
Castello ed è sostanzialmente l’acqua del fiume, non posso non considerare che
Samuel Beckett anche lui fosse un cultore della
posa del caffè, se non altro,
in quegli anni della mouche francese, un ossessivo consumatore di miscela Leone
o cicoria tostata e orzo di qualsivoglia marca!
[i]
Cfr. V.S.Gaudio,
La
mosca fenocopica di Bartthes, in : Idem,
Sindromi
Stilistiche, Forum QG 1978: pag.9.