Pingapa ▌PLUS▼

Il mondo non è banale? ░ Il linguaggio conveniente del Sublime Prefetto

¨ Sutta  (vedico: s ū tra; letteralmente: filo * ) del linguaggio conveniente del Sublime Prefetto ** Mia Nonna dello Zen così ha udito: una volta dimorava il Sublime Prefetto presso la Basilica di Sant’Antonio, nel codice catastale di Padua. E il Sublime così parlò: “Quattro caratteristiche, o mio bhikkh ū *** , dirigente dell’area del decreto di espulsione e dell’accoglienza e dirigente anche dell’area degli enti locali e delle cartelle esattoriali e dei fuochi d’artificio fatti come Buddho vuole ogni qualvolta che ad esempio si dica “cazzo di Buddha” o anche “alla madosca” o “gaudiosissimo pelo”, deve avere il linguaggio conveniente, non sconveniente, irreprensibile, incensurabile dagli intercettatori; quali quattro? Ecco, o mio dirigente che ha distrutto le macchie: un dirigente d’area parla proprio un linguaggio conveniente, non sconveniente, un linguaggio conforme alla Dottrina del Governo, non in contrasto con essa, un linguaggio gradevole, non sgradevole, un lin...

▌La posa del caffè e la psicanalisi ▌13

Cesena vista dalla Rocca Malatestiana
A un certo punto della mia biografia avvenne che, finalmente, riuscii a passare per Cesena, che, vista da via Zeffirino Re, è stata dentro la mia adolescenza come il quarto d’ora di Lucrezia Borgia alla Biblioteca Malatestiana, dove anch’io ho avuto, in quell’aria così rarefatta e nebbiosa degli anni sessanta, più di un quarto d’ora, essendo uno studente del contiguo ginnasio-liceo Monti. Che cosa lega Lucrezia Borgia al poeta adolescente se non il gaudio che lì lei ebbe, è questo che scrisse Ezra Pound in uno dei suoi Cantos, e che, virtù dell’analemma esponenziale, il giovane poeta raccolse nei suoi quarti d’ora tra angoscia e desiderio, e la struttura dolicocefala e longilinea ectomorfa di una ragazza che lì capitò, come il poeta ragazzo, a frequentare quella scuola. Il mare non è lontano da Cesena, ma a Cervia è di casa, e il ragazzo partiva ogni mattina, tra l’autunno e l’inverno della pianura padana, tra nebbia e neve, dentro questa penombra continua del cielo che non fu mai celeste né stellato, tanto che a un certo punto si pensò di denominarlo come il "cielo della luna nera: Lilith", se di sera e di notte, e il "cielo di Plutone", se al mattino e nel primo pomeriggio; non riesco a ricordare se, al tempo e in quell’habitat, potessi avere il concetto di crepuscolo, e nemmeno quello della controra, che, per come ne narra Jean-NoëSchifanoquello di Chroniques napolitaines, Gallimard 1984, a Napoli, invece, ha un effetto quasi patagonico, tanto è palpabile nella sua iconicità aerea. 
La posa del caffè e la psicanalisi , 13
L' imperativo di concessione  e Lucrezia Borgia adolescente
C’era dunque questa fanciulla, che un po’, anzi di più, era proprio come se fosse Lucrezia Borgia, che è per questo che mi piaceva, per il nome della sorella di Mia Nonna dello Zen, e che cosa posso dire adesso che ho fatto anche il poeta, che quella giovinetta ectomorfa così colmò il mio oggetto “a”, ma è che, quando sei puberale, sei tutto scemo e non capisci che Leopardi, o anche Petrarca, che, se vai a vedere, siamo nati quasi lo stesso giorno, con l’aquilone sopravento, che a tratti sussulta, e la coda ondeggia per un attimo, e anche per l’attimo successivo, e poi niente sprofonda nella quiete, solo gli avvoltoi che ruotano e ruotano e sfiorano lo zenit con ampi cerchi ma tu, a Cesena, stando sotto i portici di via Zeffirino Re, e con quel cielo plutonico, col cazzo che li vedi, e sono sopra il tuo aquilone, e io cosa avrei dovuto fare, guardare il mio aquilone e aspettare la luna che poi come il disco di un pendolo avrebbe oscillato sulla coda del mio aquilone? A quell’ora tardi mai un ragazzo avrebbe potuto star lì a fare il flaneur in via Zeffirino Re, anche perché un vento che scivolasse veloce lungo il pascolo e agitasse l’erba in lunghe onde io a Cesena non l’ho mai sentito a scompigliarmi i capelli. E’ questo che stavo dicendo: che non capisci che Leopardi e Petrarca non servono nemmeno alle tue battaglie dei gesuiti, figuriamoci, che cosa ci voleva per la sosia di Lucrezia Borgia? Che cosa? Ma il gaudio, letterale e somatico, quello che era il ragazzo tutto nella sua pulsione uretral-fallica. A Cesena, non c’è una foresta, né c’era casa mia, né la strada piena di polvere; poi, il ragazzo è tornato, stanco della vita, come scrive un altro poeta, e ha scoperto che, altro che frutteto svanito, nell’immobilità dell’estate ha guardato le nubi veleggianti, e cavolo quanti anni son passati, Vuesse? Trenta? Trentacinque? Quaranta ? Che stagione è questa? Che cosa ci ferisce di più ? Il più massone dei poeti che traduce una certa antologia che ci fa sentire nonostante questo ancora forti e instancabili ? O capire che il nostro cuore ha perso il ritmo perché quando batteva nel petto del più fesso dei ragazzi, questo pensava che battesse per una stella, e invece, fosse stata almeno Lilith, niente, questa qui sarebbe stata Lucrezia Borgia ? 
Piazza Bufalini│La Biblioteca Malatestiana
e, a fianco, 
c'era il ginnasio-liceo Monti 

“Conoscevo una ragazza bellissima con gli occhi bendati e moltitudini ogni mattina qui in piazza Bufalini passando davanti a lei verso di lei alzavano i volti imploranti, e nella mano sinistra impugnava una spada e brandendola lei colpiva tutti, e quando io passavo si metteva un berretto rosso e io, il cielo era velato a Cesena, avanzavo nell’oscurità, e così presi ad andarmene per via Zeffirino Re ogni mattina nonostante fossi stato eletto, da tutte le ragazze della mia classe, il capoclasse, e fu per te allora che costruii quella mia mappa del desiderio, e dunque ti sei fermata poi ad invecchiare qui, non eri venuta da Brescia, non eri la mia biondina lombarda che nella notte al mare, a proposito dell’anima, mi spinse a imparare a memoria tutta la grammatica greca fino all’aoristo, ai modi finiti nelle proposizioni indipendenti e alle forme nominali, dal participio sostantivato a quello predicativo, dal participio congiunto al participio assoluto, ai modi finiti nelle proposizioni dipendenti, alle proposizioni dipendenti, causali, finali, consecutive, temporali, ipotetiche, al riepilogo dell’ uso di ὡς . Che mi piaceva con l’ottativo desiderativo, o forse no, forse con il superlativo. E adesso è una preposizione con l’accusativo: dove ti sei persa, fanciulla della mia pubertà, che cosa è successo alla dinamica della tua anima? E quando hai avvertito i primi cambiamenti, gli scricchiolii?” Non riuscivo a capire perché, invece di perdere tempo a mandare a memoria la grammatica greca,  non avessi invece imparato a memoria  l’Enciclopedia Britannica! Che cosa c’è nella nostra libido che ci prende così da presso e siamo nell’orbita della battaglia dei gesuiti e di Leopardi, con quel suo passero solitario, e quell’altro del canzoniere, mentre l’altra che un po’ assomigliava a questa fanciulla venuta da Brescia a rompermi l’assetto fallico, che era la cantante che veniva da Venezia e sviluppava tensioni uretrali con quella sua voce, che, una volta che ti entrava dall’orecchio, e  tu, che non potevi concepire, che cosa concepivi se non l’ascesa, insieme all’oggetto “a”, al meridiano del tuo fantasma fallico-narcisista, non fosse altro per quel ragazzo triste che un po’ c’era e un po’ se la tirava?

Portici in via Zeffirino Re

Su, la vita tardi è passata, laggiù finita inespressa e di nuovo sei comparsa, questo s’aspettava che le cantassi, con quanto da dire, avanti, ancora ridilla, e testa, oh mani, il naso e la bocca, le tue mani, tenetemi, accarezzatemi, disgiungete le mie mani, lungo tutta la piazza fino alla fine del giorno, i passi, i tuoi passi fin quando si fermano, allora nessun luogo lungo tutta la piazza fin tanto che io arrivo da via Zeffirino Re a lungo nessun suono, poi i tuoi passi , le gambe, riprendono unico suono lungo tutta la piazza fino alla fine del giorno, allora là, allora là, allora sei di nuovo là, di nuovo quell’autunno e quell’inverno per così tanto poco qualcosa lì, lì fuori, fuori che cosa, qualcosa , la testa, le mani, le gambe finché infine giungendo più nulla nuovamente lo serri, così talvolta, è questo che vuoi sentirti dire, da qualche parte lì fuori proprio come se qualcosa che afferri, di fuori, è così tenero ed è il mio oggetto “a” venuto da Brescia che nuovamente lo serra da qualche parte lì in piazza, qualcosa, qualche volta, come un qualcosa, ti ricordi?, la lunga trascorsa adolescenza tutta nel buio del cielo di Cesena, scintillante scissura, fremito di tremore fino a quando quante volte irruppe a lungo sigillato così prima che a lungo quiete a lungo niente una scissura, oh fremito tremi, menamelo ancora F., fremi così sulla superficie di fuori si spanda vasto unica macchia nel cielo d’inverno che c’è a Cesena, testa, sfera, oh mani, un fievole fremito, finché di nuovo in quiete l’occhio risigilli subitanea e liscia scintillante scissura, meno chiacchiere, fanciulla, ὡς  quando ha l’accento (=ὤς ) è avverbio dimostrativo e significa così, andiamoglielo a dire a quella strega che ci fa greco ed è stata mandata qui per così tanto poco marzo allora non ci sarò più a scuola né in piazza Bufalini, per così tanto poco ho imparato prima di tutti tutta la grammatica greca anche quella dell’anno che verrà e io non verrò allora là con questa vecchia megera che viene da Mantova e, ti ricordi F., voi tutte le ragazze, mi avevate fatto capoclasse e lei mi impose di dimettermi per così tanto poco, laggiù la vita del fanciullo finita inespressa per la vecchia strega di Mantova che era venuta a farci il greco e io venivo dalla Magna Grecia, e, oh, testa, oh mani, le tue, tenetemi, disgiungetemi, dai, mio aoristo, fammi venire meglio sul tuo culo avrei voluto che sui piedi né floscio sul dorso che sull’uno e sugli altri, chiedi al pensiero quante volte hai pensato al tuo ragazzo così triste per inciderlo in cielo sulla soglia fin tanto lo rinserri al meridiano finché, a volte, ammettilo, ti viene il gaudio in faccia!
E poi, una volta che siamo usciti dal tunnel temporale della pulsione sunnominata, ci si guarda attorno e quella che era dentro lo schema verbale dell’ottativo desiderativo , che cosa è? Non che cosa è diventata. Che cosa è, perché era così com’è adesso, solo che eri dentro il buco delle allucinazioni, come se qualcuno, ogni mattina, ti desse, oltre alla posa del caffè, anche lì a Cervia, Ghb alla Leopardi o alla Petrarca, che c’era un qualcosa che ti portava su al meridiano quel bagaglio di merda e tu vedevi una dolicocefala ectomorfa che, se mi dice qualcosa, e mi entra dall’orecchio, ascolto Lucrezia Borgia e quella che mi canta “Ragazzo triste”…”Ragazzo triste”: come me? Mia cara compagna di classe, non sia mai detto, io non sono come te, che vuoto cuore colmo di sozzura che sei,  tu non sei Lucrezia Borgia  e quei quarti d’ora lì al ginnasio in piazza Bufalini fa conto che erano per tua cugina, che, ne sono più che certo, ne avrai una e sarà cento volte meglio di te, lei sì che era ectomorfa da farmi rizzare il pelo, lei sì che aveva il pelo biondo, lei sì che era una patita della posa del caffè come me, lei sì che, ragazza triste come, mi allietò e mi colmò di gaudio la pulsione uretral-fallica , e oggi, lo vuoi proprio sapere?, son tornato a Cesena per lei, per tua cugina, quella che quando mi guardava mi insufflava nell’orecchio la delizia  e il gaudio  che stava rinserrando in quel momento con la sua macchina dello shummulo! Quella che l’ottativo, con o senza ἄν, me lo realizzava nei tre modi, desiderio realizzato, concessivo e potenziale del presente, anzi la tua giovane parente era fissata con la concessione imperativa, mi diceva: è il modo finito che amo di più nelle proposizioni indipendenti, e chi cazzo gliel’aveva insegnato se lei faceva ragioneria? Οὔτως  ἐχέτο : sia pure così. Così qualche volta come un qualcosa, talvolta, lì fuori da qualche parte lì fuori di fuori, fuori che cosa, la testa, le sue mani, la testa che cos’altro, e le gambe, l’occhio apre spalancato finché infine lo serra giungendo colà, per così tanto poco, di nuovo per così tanto poco, marzo allora via di là, alla fine dell’inverno i tuoi passi unico lungo suono nel cielo e nei portici di Cesena, allora nessun suono, non riprendono più, lungo tutta la piazza, la vita tardi trascorsa laggiù è finita inespressa mio caro fanciullo, di nuovo sei venuto con quanto da dire, avanti, ancora ridilla, testa, oh mani, gambe, tenetemi, disgiungete, finiscila, mia cara fanciulla: Οὔτως  ἐχέτο: sia pure così!