Agostino
Tulumello at Klasan Galerie
Artist: Agostino
Tulumello
Exhibition Title: Il tempo di sempre
Venue: Klasan Galerie, Vienna
Date: May 04-29, 2015
Al
di qua del linguaggio
La concezione scritturale dell'opera
di Agostino Tulumello
Già all'inizio
degli anni Cinquanta si viene a sviluppare nell'arte di tutta Europa (e, con
grande vitalità, anche in Italia) un uso del segno pittorico non significante,
fatto di intrecci cromatici e calligrafici che non rimandano a un senso, ma guardano
piuttosto − diceva Roland Barthes a proposito di Cy Twombly − al gesto, inteso
come supplemento di significato che non mira necessariamente a produrre qualche
cosa; non ha, si potrebbe affermare, un oggetto come residuo perché il resto,
ovvero ciò che c'è al di là del segno e del messaggio, rimane interamente nel
gesto. Se si compie un passo ulteriore e, all'opposto, si finisce per accordare
a questo segno un valore semantico che si somma a quello estetico allora, dalla
pittura-scrittura, si arriva alla poesia visiva. Lo stesso Cy Twombly,
americano ma romano d'adozione (così come anche Gastone Novelli, tanto per
restare in ambito italiano), considerava la duplice valenza, di forma e di
significante, del segno linguistico. Tra i nuovi fenomeni d'avanguardia, molti
hanno dovuto fare i conti in quegli anni con questi due principi, spesso non
optando esclusivamente per uno di essi, ma schiudendosi a entrambi.
è al primo principio che Agostino
Tulumello sceglie
di attenersi, propendendo per un'idea d'arte che si basi su una concezione
scritturale materiale, ma asemantica. L'oggetto, parola o numero che sia, è,
dunque, svincolato dal linguaggio e assunto nella sua afunzionalità, secondo
un'attitudine che riafferma alcuni motivi neodadaisti: ci si riferisce, in
particolare, a quelli legati alle regole di composizione, straordinariamente
ferree, all'elementarità del gesto pittorico e al bilanciamento tra volontà
dell'artista e caso nella determinazione del senso. Si è detto dello spazio
gremito di materia: ad esso Tulumello annette la nozione di un tempo fatto di
una impenetrabile rete di attimi che si susseguono orizzontalmente in maniera
incessante. Anche quando sembrano proporre una scansione (elemento che più di
ogni altro è stato sottolineato dagli esegeti della sua opera), che parrebbe
indicare una frattura o una distanza, in realtà i lavori di Tulumello prospettano
una continuità: quella che passa da una disposizione, ordinata o no, di
elementi regolari, giustapposti per semplici associazioni, che, però, non
possono essere compitati né, tantomeno, letti.
Per
ritrovare un impianto fondato su segni portatori di un senso meramente visivo e
disposti con grande gusto grafico sulla pagina bianca come, ad esempio, quelli
presenti sui rotoli di carta lucida
di Tulumello, si può cercare tra le tele realizzate da Paul De Vree tra la fine
degli anni Sessanta e l'inizio del decennio successivo: specialmente in quelle
(come Revolutie del 1968, Ode à Stockholm del 1970 o Demain une vie nouvelle del '71) in cui
il grande artista fiammingo rompeva l'ordine sequenziale delle parole nel tentativo
di preparare il campo a uno spazio anticonvenzionale e di lotta che mirasse a
rivoluzionare i sistemi estetici e comunicativi del tempo. Quella carica politica
antiborghese (che in De Vree non è, comunque, mai del tutto mirata alla
semplice purificazione formale del linguaggio), allora così pronunciata, non è
ovviamente presente nei lavori di Tulumello ma, sempre in quegli anni, le scritture bianche di Mark Tobey, le
prove di nuova scrittura (di Roberto
Comini, ma non solo) e, in particolare, i pittogrammi
di Franco Verdi (o anche le onde
dell'artista veronese) si prestano a
chiarire meglio i concetti che l'artista di Montedoro ha desunto da quella
stagione così feconda della poesia concreta e visiva, filtrandoli nella sua
proposta.
Ora, Tulumello
individua un elemento visuale primigenio (un segmento lineare, un ordito a
maglie, un tratteggio, una partitura, un supporto da srotolare, una
cancellatura, una lettera o un numero) che, scelto come detto per la sua
elementarità, possa rinviare a uno spazio di creazione sovrasemiotico e
semicosciente all'interno del quale si preparano le relazioni tra gli elementi,
le gradazioni pittoriche, la prospettiva: è come se, prima di mettersi davvero all'opera,
l'artista riconoscesse l'incomparabile ricchezza espressiva e linguistica che
dispone il segno sulla tela e decidesse di comunicare la matrice (semplice e, a
un tempo, complessa, ovvia e ottusa) di tale assunto. In questo modo,
l'immagine che ne deriva deve essere letta in senso contrario rispetto a quello
seguito da De Vree o da Verdi: se questi muovevano verso l'al di là della parola, per corromperne la norma in forme nuove e
inusitate o contestare il sistema sociale che la accoglie e la usa, Tulumello
resta al di qua, sulle prime soglie
del verbale. Tuttavia, non si trattiene nel vuoto o nel silenzio: la sua opera
dà conto già di un pieno indicibile, brulicante, crepitante, dal quale, di
tanto in tanto, iniziano a riconoscersi alcuni elementi che poi precipiteranno
nella figurazione. Mediante l'agglutinazione di simboli si perviene alla
composizione dell'immagine, seguendo una catena fluttuante dei significati da
scegliere o da ignorare. Dunque, il processo semiotico di genesi di qualsiasi
linguaggio (non soltanto di quello pittorico o poetico) comincia proprio nel
luogo digitale che mostra Tulumello,
laddove gli interventi delimitanti e repressivi operati dalla retorica non sono
ancora né visibili, né attivi. Si tratta, così, di un processo semiotico che si
concentra sul negativo del linguaggio cogliendolo nel momento in cui non è
sottoposto ancora alle privazioni e alle cancellature che ne impregnano il
livello intellegibile: si potrebbe parlare di un territorio oggettivo ma, come
si è già ribadito, privo di oggetti, privo di resto, e allora virtuale e del tutto
innocente.
Si ha
l'impressione, per di più, che Tulumello abbia intenzione di mostrare la genesi
anche di quei processi semiotici che falliscono, ovvero di quelli che non
producono alcuna immagine, alcun oggetto-segno, perché ad essi se ne sono
preferiti altri. è ovvio che degli
effetti di questa preferenza non è dato sapere, dato che gli elementi usati da
Tulumello (o, se si vuole, le funzioni strutturali che recupera) non sono
ancora polarizzati: essi, infatti, sono colti prima dell'attimo in cui tra di
essi si inserisce quel tratto di discontinuità che li reifica e li sottrae
definitivamente a quel mondo del senso totale, dotato di un paradigma a tal
punto condensato.
Tutte le
unità figurative presignificanti sono poste sullo stesso piano e considerate
come i dati bruti dell'attività produttrice. Tulumello ottiene un effetto di condensazione sottoponendo queste unità a dispositivi di
coordinazione e di ricorsività che, reiterati all'infinito, non segnano il
verso di una espansione; danno luogo, bensì, a una totalità integrale, una
grandezza intera colta nella sua indivisibilità. Questa totalità costituisce il
punto di intersezione delle catene associative, il posto di raccolta delle
energie creative (e anche di quelle inconsce). Così, la condensazione copre
l'intero percorso creativo fino a tracimare nell'opera stessa, finendo per
mostrare esplicitamente tutte le forze che partecipano simultaneamente alla sua
formazione. Insomma, la grande sfida perseguita con continuità da Tulumello non
consiste nel contestare il modo in cui il linguaggio viene utilizzato; piuttosto,
si pone come obiettivo quello di mostrarne la struttura primordiale, il
reticolo della semiosi che conduce il suo progetto artistico sino a quel grado
di condensazione.
░ Il testo di Alessandro Gaudio è tratto dal
catalogo della mostra di Tulumello at Klasan Galerie ▬