La prima volta che vidi Nettie Harris il
mio (-φ), per quanto non fosse in giornata, o
in fase critica in uno dei tre cicli del bioritmo, ebbe a impennarsi per via di
alcune azioni o schemi verbali relativi all’archetipo-sostantivo “scarpe”: tra “calzare” , “infilare”, “lustrare”,
“stringere” e “scalcagnarsi” non si può dire che il mio bell’oggetto d’amore
stesse tranquillamente passeggiando o, tutt’al più, facendo ginnastica. Nettie
Harris, se uno ci pensa, finisce sempre
che è convinto di averla vista la prima volta mentre stava allacciandosi le
scarpe.
Il mio (-φ) e le scarpe di Nettie Harris ♦
Il fatto è che, da giovane, ebbi la
ventura di aver a che fare con una tipa alla Nettie Harris, una così con quella
stessa faccia che girava con le scarpe da tennis, un po’ sfondate, insomma
senza misura e consumate, la vedi e ti fai già un’idea di come se le infili
quelle scarpe o quando se le toglie, come si mette per slacciarle, insomma la
vedi e ti chiedi, fermandoti davanti a una vetrina di una pasticceria, se una
così possa avere in testa il paradigma del “calzare bene” e dello “stringere”,
o del “tacco” se non della “tomaia” e della “suola”: senza chiodi, senza cuoio,
il punzone della sua libido calza largo ma non sforma. Quando si è dentro un determinato passaggio e
paradigma esistenziale, non hai mai un marcapunti e nemmeno una pinza o una
lesina, figurati se stai a pensare al calzascarpe o, pur vedendola camminare,
alla sua orma, all’impronta della figura che stai seguendo.
Non è di corda e non è di cuoio, questo
pensavo vedendola camminare questa tipo alla Nettie Harris: è che sa stringere
però il passo e così per come si mette le scarpe, lascia il segno sul mio
oggetto “a” e, stando così le scarpe, va a finire che me la ritrovo tra qualche
giorno che mi sta mettendo la forma al
punzone. Tanto che, di lì a poco, finì dentro un piacere singolare alla Harry
Mathews: stando così seduta, con quelle scarpe, non è a Vancouver e non sta sul
fondo di una vasca da bagno senz’acqua ma dove si trova sta sentendo l’acqua
che le pulsa sul clitoride e non ha bisogno per questo di riempire più volte il
“Water Pik” con l’acqua del rubinetto ai piedi della vasca; a meno che non sia
come quella giovane ventiseienne che a Perth si sta facendo accosciata sul viso
di un vecchio di settantanove anni, ma il bello che quella tipo di cui vi dico
e che fa tanto Nettie Harris non è a Perth,
né a Praga, anzi può darsi che fosse a Torino, dove quelle scarpe, in
quel tempo, le stavano proprio così, metti che fosse appena uscita dalla Galleria
d’Arte Moderna e che quello che hai a disposizione è il pomeriggio piuttosto
lungo quando ancora c’era la primavera anche in città, è come essere dentro la
posa del caffè in un bordello di Barcelona, e lei si sbarazza delle scarpe
scalciando, ti si mette sopra e attiva lo schema verbale dello “stringere” un
attimo prima che il tuo oggetto “a” esploda al meridiano, e tu pensi che se
fosse successo alla tua latitudine di origine, essendo la longitudine più ad
est, saresti venuto almeno dodici minuti dopo anche con quelle scarpe che hanno
sempre l’aria di essere slacciate o tanto sfondate che se ci cade dentro il
desiderio si mette a ridere di compassione per come stia annegandoci. Nella
posa del caffè del tipino alla Nettie Harris , con queste scarpe, non c’è la
profondità del mare né la sua superficie illimitata: tra “togliere” e
“slacciare”, le guardi il muso e pensi alle parti di una scarpa, la linguetta,
la bocca, l’occhiello; con quest’aria scalcagnata, poi, si fa presto a finire
al calcagno, che, forse, è proprio quella la zona e la ragione del suo
patagonico esserci senza cuoio che, quando cammina o sta seduta così, sta tra
lo “slabbrarsi” o lo “scalcagnarsi”.
Quello che non si riesce a capire,
guardandola come se fosse l’antesignana di chi poi dovrebbe socializzare la
pulsione “s” come professore di ginnastica e quindi quella che capisci che è
dentro l’erotismo sadico per come è fredda, anche dura o quantomeno ha un
eccessivo spirito di critica per caparbietà e lo spirito realista di una
manicure, di una macellaia se non di una veterinaria, tutt’al più quando stavi
a fantasmizzarla, quella F.V. del liceo che tanto a questa Nettie poteva assomigliare
, la vedevi quanto fosse feticista e anche un po’ pederasta, e allora quello
che non si riesce a capire perché ti viene di tirartela su al meridiano come
oggetto “a” dinanzi alla pasticceria, che fa un tutt’uno con la pulsione “h”
delle spie e delle ballerine, dei poeti lirici e dei dermatologi, del medico specialista
in patologia sessuale e della parrucchiera, in fondo, essendo la ragazza dell’erotismo
bisessuale si fa presto a menartelo per come la vedevi, quella F.V. della tua
adolescenza, un po’ ermafrodita, un po’ travestita, un po’ omosessuale, un po’
carrettiera, un po’ alberghiera, un po’ dentro la bolla e la sintomatologia del
prossenetismo. Nella posa del caffè, gli oggetti “a” non invecchiano, anche
come carrettiera e medico,guai, poi, al visionatore incauto che, di passaggio
anche lui in una fase sentimentale da pulsione “h”, ne vada a rinvenire la
traccia dopo la menopausa, di quella sadica scalpellina del (-φ) del poeta non c’è, adesso che è medico dentro l’Asl della
città in cui al (-φ) faceva fare ginnastica e concorsi di
salto al liceo, che un guardiano dello zoo con la faccia stanca dell’erotismo
sadico già bell’e andato del taglialegna dieci lustri dopo.