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Il mondo non è banale? ░ Il linguaggio conveniente del Sublime Prefetto

¨ Sutta  (vedico: s ū tra; letteralmente: filo * ) del linguaggio conveniente del Sublime Prefetto ** Mia Nonna dello Zen così ha udito: una volta dimorava il Sublime Prefetto presso la Basilica di Sant’Antonio, nel codice catastale di Padua. E il Sublime così parlò: “Quattro caratteristiche, o mio bhikkh ū *** , dirigente dell’area del decreto di espulsione e dell’accoglienza e dirigente anche dell’area degli enti locali e delle cartelle esattoriali e dei fuochi d’artificio fatti come Buddho vuole ogni qualvolta che ad esempio si dica “cazzo di Buddha” o anche “alla madosca” o “gaudiosissimo pelo”, deve avere il linguaggio conveniente, non sconveniente, irreprensibile, incensurabile dagli intercettatori; quali quattro? Ecco, o mio dirigente che ha distrutto le macchie: un dirigente d’area parla proprio un linguaggio conveniente, non sconveniente, un linguaggio conforme alla Dottrina del Governo, non in contrasto con essa, un linguaggio gradevole, non sgradevole, un lin...

La posa del caffè e la psicanalisi 25│La ferroviera e le zucche del poeta


La posa del caffè e la psicanalisi 25 # La valigia delle zucche
In treno, la legge di Roger non esiste o, quantomeno, è inapplicabile: “Non appena  la hostess serve il caffè, l’aereo incontra una turbolenza”[i]. Intendo il treno come mezzo di trasporto per i lunghi viaggi che si potevano fare ancora nel XX secolo e in particolare negli anni Settanta e Ottanta e, parzialmente, negli anni Novanta. Poi, come si poteva presupporre con  la spiegazione di Davis(=Il caffè è la causa principale delle turbolenze in alta quota), avvenne che, non essendoci hostess addetta al caffè sul treno che, mettiamo, ti portava da Taranto a Torino o da Crotone a Milano, il caffè fu la causa principale della scomparsa progressiva dei viaggi lunghi in treno. Il caffè, se c’è una hostess addetta al caffè, in treno non sarebbe mai stato la causa principale delle turbolenze, sempre che il caffè, per il quale c’è una hostess addetta, sia quello della posa del caffè che, in relazione alla hostess, per via del sistema della moda, e il genere di Barthes relativo alla gonna di chi sarebbe stata addetta alla posa del caffè, sarebbe, invece, la causa principale delle turbolenze della libido.
Il distacco dell’anima che era molto comune intorno al 1910, specialmente in India dove molte anime pare che vagassero senza meta in cerca del consolato americano, così narra Woody Allen[ii], era addirittura il modo abituale di viaggiare su quei treni degli anni Settanta che ti portavano, anche il corpo, su fino al meridiano di Torino; spesso, o quasi sempre, prendendo il treno in campagna in Calabria alle 13.40, l’anima arrivava a Torino, se tutto era in orario, per le 8.40 del giorno dopo; non solo l’anima, a pensarci  bene, anche i bagagli, e una volta l’anima arrivò a Torino passando addirittura da Milano, con la valigia piena di cocuzze. Cocuzze. Quelle: le zucche. Non c’è nessun eufemismo. L’anima e le zucche in valigia. E un termos pieno di caffè. E ogni volta che andavi in ritirata la paura che ti potessero fregare la valigia piena di zucche e che, fosse accaduto questo, tu saresti riapparso di colpo  sul palco con i Pink Floyd mentre canti Wish you where here alla hostess che sul treno avresti voluto come addetta al caffè, alla posa del caffè.
L’anima, si sa, non pagava il biglietto, anche se viaggiavi in prima classe e potevi, se ti andava bene, pisciare anche dal finestrino, badando che quello dello scompartimento precedente non stia intanto prendendo una boccata d’aria; anche le zucche non pagavano il biglietto e, poi, una volta a destinazione, dai prova a metterti a tavola dinanzi a un piatto di minestra di zucca col pane sotto e l’uovo sopra, l’anima è allora che va in alta quota  a beccarsi le turbolenze della libido.
Questa non è la patagonica ferroviera
della posa del caffè ma una pataferroviera
della Virgin Trains del Regno Unito
che assomigliando alla nostra
patagonica ferroviera assomiglia
anche alla mia amica hostess
addetta al caffè


Una volta venne a controllarmi il biglietto una donna ferroviera, con la sua bella mise da ferroviera, tanto che la si prendeva per una hostess, se non fosse stato per il fatto che una hostess non ti fora il biglietto, semmai ti chiede l’autografo appena scopre che sei un poeta e non canti. La ferroviera, invece, quella, si mise seduta, dopo avermelo chiesto, lo scompartimento era tutto vuoto, e mi disse che mi conosceva, non per avermi visto in tv o per via della mia patagonica foto su “Astra”, no, disse che mi conosceva perché avevamo fatto a piedi insieme via Sparano a Bari nel 79, mi disse: tu stavi andando alla libreria Laterza a vedere se c’era “Carte Segrete” che non so cosa c’era di tuo; io, invece, stavo andando per i cazzi miei, e tu mi dicesti: mi accompagni fino alla Libreria e poi prendiamo un caffè insieme?
Di solito, si passeggia bene per via Sparano, anche allora: certo, le dissi, guardandola così seduta, certo, ora ricordo. E? fece lei . E’ che , se questo si può dire, non si può tacere sul fatto che lei assomiglia in modo terribilmente aderente a una mia amica hostess. Per via di che cosa? Per via delle scarpe, penso, e della gonna, per il taglio anche dei capelli, e per come si è messa a sedere, e le gambe; anche il berretto mi fa pensare che non c’è male come modo di viaggiare, anche se ho una valigia piena di zucche.
-Come una valigia piena di zucche? Fece lei sorridendo.
-Eccola, è lì, pesante che non ti dico; tu pensa come farò a portarmela su in mansarda, senza ascensore negli ultimi due piani!
-E come farai a mangiartele tutte!
-Beh, mangiarle non sarà un problema; alcune dovrò regalarle; anzi, ne vuoi una?
-La più grossa!...O, forse, è per quella tua amica hostess?...
-Pensa, le dissi, avevo un nonno che suonò come violino di spalla per  ventisette anni…e che non aveva mai avuto il piacere di suonarlo per una ferroviera come te; mio nonno amava molto quel piatto di zucca, con il pane sotto e l’uovo sopra, e…aveva la satiriasi, e una volta riapparve di colpo, mentre faceva il bagno, fra i violinisti dell’Orchestra Sinfonica di Vienna, e quella volta erano tutte violiniste e, a vederselo davanti così  con lo strumento così teso, tutte smisero all’unisono di suonarlo il violino, e ,quel che più mi strabiliò, il direttore d’orchestra, che, non si sa come, era quella volta una donna, ma una donna che aveva qualcosa della hostess addetta al caffè, quella che ti assomiglia così tanto che ogni volta che la vedo è a te che penso, e ogni volta penso a mio nonno per via della transustanziazione, non dell’anima, ma del corpo e dello strumento, che è essenziale, se riappari dove c’è da suonare, tu pensa se fosse riapparso mio nonno lì tutto nudo in mezzo all’Orchestra e senza strumento? Cosa avrebbero fatto le violiniste e la direttora? Avrebbero smesso di suonare intanto che lui accordasse lo strumento? No; avrebbero semplicemente esclamato all’unisono: cosa pensa di fare qui senza il suo strumento!
-Si, disse la ferroviera, che zotiche…quelle della Sinfonica son tutte strane, e non penso che amino il caffè e le zucche…e poi la direttora…non credo che mi assomigliasse tanto.
-Non ti assomigliava, aveva qualcosa della mia amica hostess, penso, almeno così pensavo sempre, per via dei dettagli di mio nonno che…
-Era affetto da satiriasi, davvero?
-Davvero.
-E tu? …Non so, non è ereditaria la satiriasi?
-Una volta con la mia anima andai a Parigi, prendendo il treno da Torino, era per un weekend, si viaggiava di notte, non pagava il biglietto, non aveva alcun documento, e mi dava un gaudio che non ti dico.
-Per via della satiriasi?
-Si. Al mattino a Parigi lungo la Senna, lì è notevole la posa del caffè…
-Con la tua amica hostess addetta al caffè? …E se scendiamo a Termoli, che non è Parigi ma ha il meridiano giusto per il passaggio del tuo oggetto “a” , che dici? …
-Un caffè?
-Una posa del caffè. E ti lascio la valigia delle zucche.
-Meridiano, orto o deposito bagagli?
-Hai visto come fanno nei fumetti? Non stanno a farsi tante domande. Prendono la valigia, scendono dal treno…
-E chi s’è visto s’è visto?
-No. Se ne vanno  dentro il gaudio all’unisono al meridiano a Termoli. Se fosse vero, invece, che dirti? C’è quello che l’hanno mandato su Marte, adesso che è tornato indenne, lo vogliono far fuori, allora lui scappa, e trova sempre qualcuno che lo aiuta anche se come dice che viene da Marte tutti a ridere, ma intanto, giacché lo devono far fuori, lui si difende e scappa, e tutti quelli che lo aiutano li fanno fuori e dicono che è stato lui, e son tutti comprensivi, quelli che lo aiutano, e hanno una casetta, sconosciuta al fisco e alla polizia, in Normandia, e poi, quando arrivano in Normandia, tutti ad aspettarli, è bello perché tutti hanno gli strumenti che ci vogliono, il suv, la bugatti, l’elicottero, il mitra, la pistola, la casa in Normandia…e non prendono il treno. E mai a fermarsi  per la posa del caffè…
-E non hanno la valigia piena di zucche…
-E non incontrano una ferroviera come te che gli dice che hanno fatto via Sparano insieme solo per vedere se è poi vera la storia della satiriasi di mio nonno e se, a sentir le balle che raccontano in giro, è vero che è ereditaria…
-E non hanno mai un’amica hostess addetta al caffè che…
-Ha una caffettiera che non ti dico!
D'accordo, non è la mia amica hostess addetta al caffè
ma come hostess ferroviaria è proprio dentro
la patafisica della posa del caffè, non trovate?

Un uccello di Venere, come la colomba, per quanto questa possa essere anche l’uccello dello Spirito Santo, la parola della madre di lassù, la Sofia, che sublima il fallismo dell’uccello: il fallismo della potenza, della verticalizzazione, della sublimazione. Durand[iii] dice che l’uccello in generale è puro simbolo dell’Eros sublimato, l’angelismo del volo ma anche l’ala del falco o dello scarabeo fino all’arcangelo Michele. Ma la verità è che, più che il volo, la mia libido era dentro il paradigma della freccia, tra balistica e trascendenza: tendi l’arco con un tuffo mentale nel sentimento dell’unità e penetra nell’Eterno come se tirassi a un bersaglio; nella Mundaka, la sillaba OM è l’arco e l’anima è la freccia, che, l’abbiamo visto, viaggia in treno, fino all’eterno dell’esemplare unico sabaudo. Tanto che non chiesi mai alla ferroviera se fosse del Sagittario o, quantomeno, e in modo più profondo, per via delle antisci, del Capricorno, non tanto per via del fatto che i cabalisti assimilano il Sagittario alla lettera ebraica vau, la luce, lo splendore, la limpidezza ma, aggiungo io, per via del Capricorno, il bagliore didonico, che sta vicino all’arcobaleno e all’immanenza ascensionale che la ferroviera e la mia amica hostess proiettano, o lanciano, grazie alla proporzione didonica che c’è, nel loro soma, tra indice costituzionale e indice del pondus.
La valigia non è per niente l’inferno degli amanti concepito da William Blake, è l’asse di sviluppo del principio del piacere, anche se, anche per via del peso delle zucche e delle zucche stesse, è la riduzione microcosmica del Tartaro tenebroso e dei meandri infernali, non solo della ferrovia, l’abisso eufemistico che concretizza, se è il caso, anche  episodi incresciosi afferenti alla pulsione sadica.
Il ventre della valigia e della zucca, con cui il poeta si lancia verso il meridiano di Torino, ha il peso edonistico della discesa felice, la discesa viscerale, tra complesso di Novalis e complesso di Giona[iv] fino all’Angelus di Millet, per quanto e per come lo interpreta Salvador Dalí[v]: d’altronde, gli elementi ci sono tutti, dalla copulazione con la terra alla carriola, o al treno. O come il vaso che si situa  nell’immaginario tra ventre digestivo e sessuale e liquido nutritivo dell’elisir di vita , di giovinezza e di gaudio.il vaso che è la caffettiera e la valigia insieme e anche la zucca; il treno, o la ferrovia, come viaggio, è sì ascensionale ma non è uranico, vai a vedere è plutonico, perché è nella gioia di navigare che si fa lo shummulo e l’arca è un cofano che contiene come lo schema verbale di “arceo”(io contengo) e l’archetipo sostantivo di “arcanum”(segreto). La costellazione isomorfa del contenente, la valigia e il podice della ferroviera,  sta tra l’angolo del fuoco e la gerla, tutto si richiude perfettamente, come una caverna adorabile, negli attimi infiniti della posa del caffè con la ferroviera che viene quando vuole a far partire il treno segreto della valigia delle zucche.




[i] Murphy’s Law Book Two, © 1980.
[ii] Cfr. Woody Allen, Distacco dell’anima, in: Idem, Breve introduzione ai fenomeni medianici, © 1972.
[iii] Cfr. Gilbert Durand, Le strutture antropologiche dell’immaginario, © 1963.
[iv] Non sarebbe stato gentile alludere , per quanto riguarda la ferroviera, al complesso della Sandraccia, di cui al Torracchione desolato di Corsini(seconda metà del XVII secolo):
“Fu sempre la Sandraccia una merlotta
che al mondo altro di far non dilettossi
che con questo e con quello a zucca rotta”.
D’altra parte la “zucca rotta” rinvia un po’ alla “fiepa” triestina, che, essendo il seme della zucca, indicherebbe la vulva.
[v] Che, adesso, per via delle zucche in treno, potrebbe essere anche reinterpretato come complesso di Clelia, per via della Clelia di Libera nos a Malo(1963) di Luigi Meneghello: “Nudo in un orto spiando la Clelia, acquattato tra i gambi alti delle foglie di zucca, con le zucche del sesso appoggiate per terra tra le altre, squarciando la salvia fragrante e il rosmarino”; che ratificherebbe l’assetto plutonico del viaggio in treno, essendo Plutone il pianeta dei testicoli e, perciò, delle zucche.
Nessun complesso di cui alle note potrebbe mai riguardare questo 
patagonico esemplare normomesomorfo di ferroviera della Virgin Trains