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Il mondo non è banale? ░ Il linguaggio conveniente del Sublime Prefetto

¨ Sutta  (vedico: s ū tra; letteralmente: filo * ) del linguaggio conveniente del Sublime Prefetto ** Mia Nonna dello Zen così ha udito: una volta dimorava il Sublime Prefetto presso la Basilica di Sant’Antonio, nel codice catastale di Padua. E il Sublime così parlò: “Quattro caratteristiche, o mio bhikkh ū *** , dirigente dell’area del decreto di espulsione e dell’accoglienza e dirigente anche dell’area degli enti locali e delle cartelle esattoriali e dei fuochi d’artificio fatti come Buddho vuole ogni qualvolta che ad esempio si dica “cazzo di Buddha” o anche “alla madosca” o “gaudiosissimo pelo”, deve avere il linguaggio conveniente, non sconveniente, irreprensibile, incensurabile dagli intercettatori; quali quattro? Ecco, o mio dirigente che ha distrutto le macchie: un dirigente d’area parla proprio un linguaggio conveniente, non sconveniente, un linguaggio conforme alla Dottrina del Governo, non in contrasto con essa, un linguaggio gradevole, non sgradevole, un lin...

La posa del caffè e la psicanalisi ♦ 26│Blondie e l’eufemismo dei visionatori

La posa del caffè e la psicanalisi 26 
 L’acqua notturna di Blondie

Oggi, col caldo che c’era, non ho potuto fare la mia passeggiata di mezzogiorno; e quindi non ho avuto pensieri morbosi. Comunque,  che cosa c’è nella ferrovia che passa qui tra il mare, a est, e la strada, a ovest, che mi turba tanto ? Io non credo che sia questione di orari, anche perché è da tempo che qui non passa più un treno; probabilmente, non essendoci più il quadro degli orari, i treni non partono né da Taranto,né da Reggio Calabria. Melnick dice che l’anima è immortale e continua a vivere anche senza un quadro degli orari dei treni aggiornato, ma se la mia anima esistesse senza il quadro degli orari dei treni aggiornato sono convinto che non riuscirebbe a prendere la coincidenza perché il corpo, naturalmente, continua a partire sempre prima. L’altro giorno, per i 70 anni di Debbie Harry, c’è stato un continuo viavai di immagini, della cantante dei Blondie degli anni Settanta, su Tumblr; me ne sono accorto dopo, e questo vuol dire che avevo perso il treno, e avendomela trovata davanti con questo sguardo ho pensato, prima, che forse era lei l’Aurélia Steiner di Vancouver, anche se non è di Vancouver, e , poi, ho pensato che, se l’avessi incontrata quella sera di marzo a Torino Porta Susa, mentre scendeva dal Canavese, avrei bruciato tutte le mie poesie e, in  primis, le Stimmung e le Lebenswelt che in quegli anni andavo producendo e le avrei dichiarato che tra eros e logos preferivo l’eros del suo sguardo e della sua bocca e, ora che te l’ho detto, taci e riprendiamo quel treno perché voglio con te partire con quel treno che va nel Canavese o, forse, aspetta, stai qui a guardare il quadro degli orari dei treni e, quando sto per mettermi dietro di te a consultare il quadro, ti giri e mi guardi così, con tutto queste verde fiume e io mi accorgo definitivamente che la mia anima  vive ormai sconnessa dal mio corpo ed è per questo che la pulsione uretrale mi fa continuamente zufolare le orecchie. Ti confesso una cosa, Debbie: io, negli anni Settanta, avrò pure ascoltato qualche volta “Blondie” ma francamente non ci ho mai fatto caso; ora che ti rivedo, e penso che era tutto pervaso il mio oggetto “a” di Françou, e qualche volta di Silvye Vartan, debbo convenire che il sistema  dei mass media aveva delle grosse pecche. So che hai  Lilith in casa XII perché anch’io ho Lilith in XII, ma il tuo sguardo è quello della Torre folgorata, dentro l’irreversibilità situazionale, una sorta di deissi del fallimento e dello scandalo, del giuramento e dell’infedeltà; una volta una zingara indiana mi disse  che questo è lo spazio della dimora lunare chiamata Jyesthe, Il più Vecchio, ed è per questo che non ti ho mai incontrata perché questo makchatra sembra predisporre a unioni con un uomo anziano, e io, che ero più giovane di te, non avrei mai potuto avere il tuo Al Calb, la chiave delle clavicole. Che , sembra da manuale, avendo Marte sotto l’orizzonte e esattamente in opposizione al mezzopunto Lilith/Ascendente, è da lì che il tuo sguardo ha dentro la potenza e la chiusura, il rinserrare, della chiave delle clavicole: tra Toro e Scorpione, l’asse dello sguardo è l’asse della Torre folgorata, dal podice alla bocca, dal culo al trapezio, l’asse della presunzione e dell’eccesso, tra esplosione e imprese chimeriche, lo sguardo della caduta, dell’impresa temeraria e del grande cataclisma, è anche il cielo lunare che calma il petto del popolo.

Un po’ come quella dei Pretenders (Chrissie Hynde, che non è per niente bionda, quella della Wrong-Stimmung) Debbie, è evidente, a guardarla adesso nella patagonica delle inquadrature del suo assetto normoectomorfo quasi brevilineo, che ne ha fatti  di passaggi come oggetto “a” al meridiano di non si sa quanti visionatori, non fosse altro per la pulsione uretrale che, come punto elastico tra Lilith, Luna, Sole e Mercurio, li bagna all’infinito per come li guarda, e anche per come appare( appariva) loro all’orizzonte, sulla scena, sul palco; chi sta sul palco e tira su così tanti (-φ), se vai ad analizzare il suo cosmogramma, ha sempre un vettore fallico che si agita all’orizzonte e ha il bagliore didonico, l’aria crepuscolare, del tempo in cui il calendario dell’emisfero nostro ha posto il mese di maggio, il mese del gaudio. Blondie ha , l’abbiamo visto, Marte un po’ sotto il Discendente e tende il mezzopunto Lilith/Ascendente producendo quell’aria di ineffabilità gaudiosa che innalza sempre l’oggetto “a” di chi la guarda a verticalità assolute e celestiali.
La chiave delle clavicole e il bagliore didonico, nel cielo, quel bagliore didonico a ovest, dentro la zona crepuscolare della zona di maggio e del gaudio, e nonostante questo Debbie non appare nella nostra posa del caffè, nonostante ci sia l’acqua, e l’epifania dell’infelicità del tempo, una sorta di clessidra definitiva; l’acqua notturna, che c’è negli occhi di Blondie, per via della sua Luna, di Lilith, del Sole saturnino e denso di acqua, è come un divenire carico di spavento e ha affinità isomorfe, dice Durand, col cavallo e col toro, ed è per questo il tempo, che pian piano, o a tratti, sempre che conduca il nostro oggetto “a” nella profondità del regime notturno, tenuto su dalla belva del tuono e dal furore dell’acqua; come  a Tarascona, a Poitiers, a Bordeaux, il mostro divorava una vergine al giorno, Blondie divorava, una sorta di belva dalla fuga rapida, quanti oggetti “a” dei visionatori al giorno?
Venuta dentro la posa del caffè quando ormai non era più tempo della posa del caffè, Blondie, come ogni mito, tra carattere discorsivo e ridondante, comporta strutture sintetiche, nella profondità del regime notturno; d’altra parte ogni mito è una ricerca del tempo perduto, e soprattutto è lo sforzo comprensivo del poeta o del visionatore di riconciliazione con un tempo eufemizzato in cui lei era passata nel quadro di altri visionatori omettendo di trasmutare il suo sguardo in avventura paradisiaca del poeta. Il viaggio del fantasma come discesa nel mito non è una semplice passeggiata, per di più se a mezzogiorno, il demone Blondie ritorna all’orizzonte trionfante sotto forma di fuga, è diacronico, sarebbe stato un fidanzamento difficile, e si è visto per il makchatra del “più vecchio”, e per quel ponte col Canavese non so che dirvi, e nemmeno sulla connessione con Auréliure, l’Aurélia Steiner di Vancouver.

Cosmogramma di Debbie Harry│© astrotheme
All’orizzonte è il (-φ) che , come fallo trionfante, cala a ovest nel luogo femminile del mistero, così la semplice apparizione in scena della cantante aggiunge al senso proprio l’aura, l’alone dello stile e la retorica, quel suo step-style, si incammina verso la poesia, che è equivoca, sta sotto l’orizzonte, tra metonimia, sineddoche, autonomasia e catacresi, e Blondie come oggetto “a” del visionatore ritorna al di là del senso proprio, come un residuo dell’evoluzione linguistica, trasmuta incessantemente la lettera in spirito. Insomma, il pleonasmo delle strutture diairetiche e geometriche, fors’anche l’iperbole, scivola come l’ombra dell’angoscia e si fa sintassi o, meglio, prossemica della doppia negazione, è lo spirito biondo di Lilith, che non è alto, non è immenso, non sta in cielo né in cima, si sta levando ma come se discendesse, è un corpo-simulacro normolineo ectomorfo al grado più leggero e più crepuscolare, più intimo e più visibile.