¨ Sutta (vedico: s ū tra; letteralmente: filo * ) del linguaggio conveniente del Sublime Prefetto ** Mia Nonna dello Zen così ha udito: una volta dimorava il Sublime Prefetto presso la Basilica di Sant’Antonio, nel codice catastale di Padua. E il Sublime così parlò: “Quattro caratteristiche, o mio bhikkh ū *** , dirigente dell’area del decreto di espulsione e dell’accoglienza e dirigente anche dell’area degli enti locali e delle cartelle esattoriali e dei fuochi d’artificio fatti come Buddho vuole ogni qualvolta che ad esempio si dica “cazzo di Buddha” o anche “alla madosca” o “gaudiosissimo pelo”, deve avere il linguaggio conveniente, non sconveniente, irreprensibile, incensurabile dagli intercettatori; quali quattro? Ecco, o mio dirigente che ha distrutto le macchie: un dirigente d’area parla proprio un linguaggio conveniente, non sconveniente, un linguaggio conforme alla Dottrina del Governo, non in contrasto con essa, un linguaggio gradevole, non sgradevole, un lin...
La posa del caffè e la psicanalisi ♪ 28 ▌Il tocco agonistico di Joan Thiele
Blink è lampeggiare, il baleno, anche lo
sguardo rapido, l’occhiata, il battere le palpebre, il guizzo di luce, financo
l’ammiccare, della linea diritta, hot
line, che c’è nella controra, di
solito, e nella posa del caffè. La musica non è un dato fisico o fisiognomico,
un qualcosa, un dettaglio, che sarebbe il “punctum”, l’accordo e il tocco, la
battuta come un frammento semantico e l’evidenza perfetta della sensualità
circolare dentro la sua diagonalità frattale, ancora nell’orbita dell’anonimato
e della segretezza.
La posa del caffè e la psicanalisi ♪28 v L’ Hot-line Blink di Joan Thiele e l’ipogramma con il poeta
C’è questa musica, questo sfregamento circolare, la ruota,
la battuta come il tocco agonistico della ragazza di Göteborg[i], la densità del toccare e
l’occhiata, e qui il sussurro del tocco di Joan Thiele, che mantengo ancora anonima
e segreta, non mi interessa andare a svelarne la banalità del paradigma
geografico o di quello socioeconomico e fatalistico, sta in questa vertigine
dello scintillio dell’essere, o meglio: di questo suo Dasein, in questa metafisica
di una piazza che potrebbe essere uno slargo periferico di Taranto o
anche di Cosenza, nella metafisica sottentra, essendo la fessura dell’oscuro, il bagliore
didonico, che è quello della patafisica dello gnomone e via, si ritorna
alla posa del caffè o alla controra, in quel “tra” che è qui che suona ed è lì
che la sento, una spaccatura, quel suo “bhid”,
che era la tensione fessa della ragazza di Göteborg che evocava la Bibi Anderson di cinque lustri
prima, e lei era più prossima, come assetto morfologico, alla patafisica del
podice alla Ingrid Bergman, sto parlando dell’oscurità e dello sguardo rapido,
dell’inconscio fisico e dell’anima del poeta, e dell’animus della ragazza di Göteborg che adesso ha
il tocco agonistico, il colpetto dell’istinto che ha Joan Thiele, che ha questo
naso e questo valore diffuso dell’assetto inquieto e la fessura del brivido, ma
, adesso che ci penso, è, la cantante, nel paradigma nervoso, e.nA.p.[ii], a vederla che suona e
canta, e a sentirla sospende l’affettività nascosta del paradigma sentimentale,
e.nA.s[iii], guardatela e statela a
sentire in questa lunga posa del caffè, che ci prende nella sua fenditura
assoluta del senso, quel qualcosa che
è tra, che, di solito, sospeso, è
tenuto nell’anima del pondus, invece lei lo suona con la sua band, e lo canta, teneramente
potente, così dolce e profondo, con tutta la sua elastica pesantezza del tatto-canto agonistico.
La spaccatura dell’interno, c’è questo
nei suoni, nelle battute, nei colpetti, nei bagliori, nel guizzo di luce, il
bagliore didonico della controra: se fosse un indicatore globale di Abraham A.Moles, di quelli che lui usava per definire
l’immagine, ma qui dobbiamo guardare i suoni e il canto, questa spaccatura
sarebbe tra la pregnanza e l’iconicità, che era il culo dell’anima
tesa di Bibi Anderson ai tempi di The
Touch, e che, come l’Amy Bellette-Anne Frank di Philip Roth[iv] ha una libido della quadriga, il cui schema verbale, che è
anche lo schema melodico, è rinserrare le redini, tenerle tese, per la cadenza che non conosce colpi mancanti, mistura
di dolcezza e strisciate (se non strusciate del vento) toccando il meridiano e invischiate della ruota, senza
che si esca dal perno: nella controra di questa posa del caffè c’è una sorta di
deterritorializzazione lenta che sposta il senso da una longitudine all’altra,
prima ho posizionato la piazza a Taranto, e adesso la sposterei a Torino, e
Joan con la sua band è da tutt’altra parte e non voglio saperlo, non ha senso
indicare il posto, oppure ne avrà per poterlo
indicare come punto dell’analemma esponenziale, il fatto è che sei
dentro la spaccatura tesa di Joan Thiele
e in questa deterritorializzazione lenta della posa del caffè e ti accorgi che
è lei che ne perverte la differenza o il resto, se poi pensiamo in termini di
latitudine, e quindi la nostra biografia che va sopra e sotto, non è detto che quando ritorni la nostra
libido non stia tornando sotto, nel tempo, indietro.
La formula del détour, l’ho imparato, non esiste, e non è nemmeno inconscia,
suggerisce Baudrillard: la chiave è definitivamente perduta. La perdita dell’enunciato
e il tempo perduto a ritrovarlo: è questo il détour, che è “infinito nel testo poetico, perché qui non si può
trovare nessuna cifra, nessuna decifrazione è possibile, ma solo un significato
che metta fine al ciclo”[v]. Il poema rimanda a
qualcosa, e sempre a nulla; l’intensità
che c’è nell’ipogramma temporale di questo Blink in linea diritta, teso come
una freccia dall’orizzonte, suonato e cantato, è come se fosse un
riassorbimento senza residuo, senza traccia, di un atomo di significante e attraverso
questo dell’istanza stessa del linguaggio, che ha comunque un valore pieno e
fallico, e questo è nello schema verbale, nella cadenza, del suono e del tocco,
la patagonistica dell’anatema; sono sicuro che se mi mettessi a cercare notizie,
comunicati stampa e profili più o meno standardizzati di Joan Thiele , l’anatema
sarebbe risolto e quell’ipogramma sonoro
non correrebbe più sotto il suo nome, e la posa del caffè tra la linea diritta
dell’orizzonte e il blink patagonico non avrebbe più il suo doppio artificiale,
né il poeta potrebbe più entrare nel suo irredentismo oggettuale: in questa
obbligazione simbolica, questa forma enigmatica di connessione e di
sconnessione, il poeta è come se ponesse
il proprio desiderio tra la posa del caffè e la voce e le mani di qualcun altro
che attiva il bagliore didonico in linea diritta, un colpo, un suono, una
girata, una sfregata, un sussurro,gemiti modulati, richiami e lo
sguardo rapido tra orecchio e il battere le palpebre, l’ammiccare fino a che il
gaudio ascende al meridiano; sconnesso il video, cosa è successo? vbyv.s. gaudio
vQuesto patafenomeno, comunque, è stato recentemente (ieri, soltanto ieri) segnalato
da Radio DeeJay.
[ii] Sono i fattori del
carattere “nervoso”, così come è
codificato dalla caratterologia francese:”e” è l’emotività; “nA”, è il fattore negativo dell’attività; “p” corrisponde alla primarietà,
come sensorialità espressiva e immediata.
[iii] Sono i fattori del
carattere “sentimentale”, che è,
appunto, emotivo, non-attivo, secondario; quest’ultimo fattore, il contrario di “primario”, come
abbiamo visto nel carattere “nervoso”, affina una risonanza più continua e
affina il potenziale emotivo con la riflessione e la durata, anche dei dati
percettivi e sensoriali.
[iv] Philip Roth, Lo scrittore fantasma, trad.it. Einaudi,
Torino 2004.
[v] Jean Baudrillard, La sterminazione del nome di Dio, in:
Idem, Lo scambio simbolico e la morte,
trad.it. Feltrinelli, Milano 1990: pag.223.