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Il mondo non è banale? ░ Il linguaggio conveniente del Sublime Prefetto

¨ Sutta  (vedico: s ū tra; letteralmente: filo * ) del linguaggio conveniente del Sublime Prefetto ** Mia Nonna dello Zen così ha udito: una volta dimorava il Sublime Prefetto presso la Basilica di Sant’Antonio, nel codice catastale di Padua. E il Sublime così parlò: “Quattro caratteristiche, o mio bhikkh ū *** , dirigente dell’area del decreto di espulsione e dell’accoglienza e dirigente anche dell’area degli enti locali e delle cartelle esattoriali e dei fuochi d’artificio fatti come Buddho vuole ogni qualvolta che ad esempio si dica “cazzo di Buddha” o anche “alla madosca” o “gaudiosissimo pelo”, deve avere il linguaggio conveniente, non sconveniente, irreprensibile, incensurabile dagli intercettatori; quali quattro? Ecco, o mio dirigente che ha distrutto le macchie: un dirigente d’area parla proprio un linguaggio conveniente, non sconveniente, un linguaggio conforme alla Dottrina del Governo, non in contrasto con essa, un linguaggio gradevole, non sgradevole, un lin...

V.S.Gaudio ░ La pensosità pittorica di Loredana Cerveglieri

"L'anello Damiani" cm. 46x62 2002 (Particolare)
· La pensosità pittorica di “Vs. la pop art” di Loredana Cerveglieri


L’anello Damiani mi fa ripensare al trofeo di Thorstein Veblen di cui a “Isabella Rossellini, l’immagine-Zen…”[i] per la campagna pubblicitaria per quella azienda di gioielli con le immagini, prima, di Fabrizio Ferri e, poi, di Dominique Issermann.
Il gioiello, dato come punctum, supplemento, “quello che io aggiungo alla foto e che tuttavia è già nella foto”, che, in quella campagna pubblicitaria, aveva una qualità aggiuntiva: la pensosità, tanto che la pensosità cinematografica espressa dall’immagine della Rossellini fotografata da Fabrizio Ferri, coinvolgeva tanto il punctum da rendere la foto erotica.
Ora, io penso che ogni qualvolta ci sia un oggetto in primo piano, regola fondamentale della pop art, l’oggetto ha sempre dentro, ma potrebbe essere benissimo anche dietro, il pieno del dispendio, che è una profondità assente, e un’emozione concentrata tra silenzio e ineffabile che è il vuoto del dispendio. Fosse anche, l’oggetto, una penna stilografica o degli scarponcini gialli.
Il pieno del dispendio , qui, nella “Vs. la pop art” di Loredana Cerveglieri non può essere costituito dalla concretezza dell’oggetto, e nemmeno il vuoto può apparire per rendere speculare l’emozione concentrata del visionatore all’oggetto visionato.
La pop art agisce demoltiplicando l’immagine con il primo piano o l’ingrandimento, e la rilevanza del dettaglio. Sarebbe(ro) l’Indicatore Globale che Abraham Moles chiama complessità. Poi procede con la retorica dell’ambiguità connotativa, l’Indicatore Globale della polisemia.

La stilografica Montegrappa cm. 46x62 2002

La “vs. la pop art” di Loredana Cerveglieri sospende il senso senza operare su di esso alcuna effrazione: è come se, nella foto di Ferri della Rossellini-Damiani, l’attrice fosse senza accessorio, per cui avremmo una proiezione affettiva di “disponibilità appetibile” ma non “preziosa” e un punctum di “pensosità” ma non di “pensosità erotica”.
Voglio dire questo: la pensosità pittorica del punctum nella “vs. la pop art” di Loredana Cerveglieri è come se desse corporeità all’oggetto raffigurato: un po’ come nel manga, dove tanto è innocente, ingenuo e candido il viso, tanto è perverso, vizioso e immorale il corpo; la delicata sospensione del senso , che c’è in questa operazione di Loredana Cerveglieri, illumina una disponibilità quasi intima e profonda, che non è dell’oggetto ma  che è del senso sospeso che l’oggetto investe nel socius.
La “vs.pop art” è la trasmutazione del trofeo di Thorstein Veblen che è mostrato senza il corpo-alto dell’attrice che espone il trofeo con le parti esposte ed esponibili(polso, dita, collo, petto, orecchie), ma è mostrato e reso visibile, delicatamente pop, con il tasso di complessità e di polisemia innalzato non dall’agio somatico di un portatore-indossatore dell’oggetto ma dal trofeo che, senza lo “sciupìo vistoso” del corpo della classe agiata, allude frontalmente a una sua autonoma “fierezza dell’agio”, indossata di volta in volta da portatori che il visionatore fantasmatizza per il suo oggetto a .

"Un paio di scarponcini gialli" cm. 46x62 2002

Difatti, di questi tempi, può capitare che gli scarponcini gialli siano portati, che so?, da Miele di Milo Manara e l’anello Damiani sia infilato al dito di un personaggio sconosciuto sorpreso in una foto Flickr mentre mangia lenticchie cucinate all’Auvergnese, tanto che, essendo a Péronne in Picardie, la chiamammo (Len)Tille Péronne, pensando che fosse la cugina di Aurélia Steiner, il personaggio nostro e di Marguerite Duras. E le scarpe con i fiori? Ma da Madonna che, adesso in menopausa o quasi , ne decanta la verticale fallicità, ammesso che a portarle sia la Madonna di qualche lustro fa. La penna stilografica è talmente pensosa nella sua pittoricità che la vedo impugnata da chi forse a malapena riesce a vergare le iniziali del suo nome, ma anche da chi non fa espressamente l’elogio del pesante come Jean Cau ma di chi è virtuoso scrivente della corrente industria culturale, un bel romanziere del new-pop alla faccia e in barba di qualsiasi intemerato (e controstorico?) novello Guido Morselli.
"Due scarpe a fiori" cm. 46x62 2002





[i] Cfr. V.S. Gaudio, Isabella Rossellini. L’immagine-zen e il trofeo di Thorstein Veblen, in “Zeta”, rivista internazionale di poesia e ricerche, n.79/80, Campanotto editore, Udine giugno 2007.