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Il mondo non è banale? ░ Il linguaggio conveniente del Sublime Prefetto

¨ Sutta  (vedico: s ū tra; letteralmente: filo * ) del linguaggio conveniente del Sublime Prefetto ** Mia Nonna dello Zen così ha udito: una volta dimorava il Sublime Prefetto presso la Basilica di Sant’Antonio, nel codice catastale di Padua. E il Sublime così parlò: “Quattro caratteristiche, o mio bhikkh ū *** , dirigente dell’area del decreto di espulsione e dell’accoglienza e dirigente anche dell’area degli enti locali e delle cartelle esattoriali e dei fuochi d’artificio fatti come Buddho vuole ogni qualvolta che ad esempio si dica “cazzo di Buddha” o anche “alla madosca” o “gaudiosissimo pelo”, deve avere il linguaggio conveniente, non sconveniente, irreprensibile, incensurabile dagli intercettatori; quali quattro? Ecco, o mio dirigente che ha distrutto le macchie: un dirigente d’area parla proprio un linguaggio conveniente, non sconveniente, un linguaggio conforme alla Dottrina del Governo, non in contrasto con essa, un linguaggio gradevole, non sgradevole, un lin...

La posa del caffè e la psicanalisi 38 ▌ Le galline faraone nel sottotetto a Cervia


La posa del caffè e la psicanalisi 38 L’amore del tergo Nŭmĭda e il Berg del ragazzo ginnasiale
Se tu mi amassi veramente, mi accompagneresti nel sottotetto a veder le galline faraone[i].
Fu così che , invece di dirmi : “Questa minestra l’ho fatta in una maniera nuova. Ti piace?”, e io, se mi piace, le rispondo “sì”, che altro potrei dirle?; se invece non mi piace e non temo di deluderla le rispondo “no”; però, io ero un ragazzo puberale, e se lei mi avesse chiesto qualcosa sulla sua minestra, che faceva schifo, però lei era un incanto, era più grande di me, e con quella gonna grigia è così che era entrata nella mia libido, a livello relazionale, per quella gonna, e come l’avevo vista salire i gradini per aprire la porta del suo appartamento, appena dopo l’androne del palazzo, cento volte avrei risposto “sì”, anche se poi avrei vomitato il resto della mia vita. Le galline faraone, nel sottotetto, dello stabile, in pieno centro, in una delle più famose stazioni balneari d’Italia, in quegli anni della mia pubertà, erano davvero un optional, per essere del genere uccelli galliformi, possono davvero definire il destino del tuo (-φ) o, quantomeno, produrre problemi relazionali connessi all’oggetto “a”, non solo per via del sottotetto e in una zona urbana, seppur negli anni in cui cominciò l’imbroglio del petrolio nella terra della madre affidataria del poeta, ragazzo allora.
Mi avesse detto: “La mia mamma ha fatto il brodo di faraona. Ci vieni a mangiarla stasera da noi?”, io che avrei potuto risponderle? “Certo che vengo a mangiarla da voi stasera. E’ da quando sono arrivato a Cervia che muoio dalla voglia di mangiare la faraona come la cucina la tua mamma!”
Non voleva ferirla, su per le scale, quel pomeriggio, e lei, d’altronde, a guardarla da sotto, mentre saliva, cos’era per me se non Henia nel romanzo “Pornografia” di Witold Gombrowicz[ii], e, poi, all’epoca, ragazzo com’ero e pervaso da quell’immagine, anche di notte, e sentivo quel “coccodè” egiziano  provenire dal sottotetto, che, se  l’avesse potuto sentire Freud ai tempi della sua pubertà, certo è che l’Heimlich sarebbe stata un’altra cosa, cosa avrei potuto dirle, se non sapevo nemmeno il nome, anche se, adesso che ci penso, nella mia memoria libidica quell’oggetto “a”, mentre saliva quel gradino per aprire la porta di casa sua e non i gradini per il sottotetto delle faraone, come apposizione qualcosa come Numida l’aveva[iii]. Ma forse semplicemente Ida. Num, “forse”? “Forse che”? “Se”, forse. “Forse”, è da lei che vien fuori il pollo numido, numidus pullus, che è la gallina faraona di Celio Apicio, a cui di certo non era mai successo di tenersi tutta la notte, nelle sue polluzioni notturne, nel suo sottotetto tutte quelle faraone starnazzanti. La storia del pollo in umido, o della faraona , se vogliamo, è un’altra cosa; Numida, o semplicemte: forse Ida, Num Ida, o : Se Ida, se Ida sale su con me fin lassù nel sottotetto, oh, Dio, oh, Gaudio, cosa mai potrei dirle? “Ti dispiacerebbe dire alla tua mamma che la faraona in umido mi fa impazzire? Che se, Num, tu Ida,  sia chiaro, non sei meleagris, sei faraonica, questo sei, con questo tergo grandioso che se Merleau-Ponty l’avesse visto salire quel gradino per aprire la porta come l’ho visto io l’altro giorno, avrebbe dovuto riscrivere non solo il concetto di “tergo” e di “carne[iv] ma tutta la fenomenologia della percezione!”
Ida, per la faraona, Numida, fu anche il “Berg”, come lo intende Gombrowicz[v], a farmela vedere la figlia del tabaccaio ogni volta che quelle faraone cervesi  le sentivo starnazzare nella mia libido, forse per via di ciò che entra dall’orecchio, o, se vogliamo essere più precisi, della domanda alla madre, alla madre di Ida, che non ho mai fatto perché quella benedetta donna, son  sicuro, non l’ho mai vista: come Henia, nel romanzo di Gombrowicz, Ida procedeva davanti a me, con lei le sue spalle e il collo esile da scolaretta, il modo di muoversi di lei, mentre salivamo le scale, davanti a me, era come un commento sussurrato agli spostamenti di non so chi, forse, num, se fosse stato là fuori, nella via centrale; la mano di lei, abbandonata lungo il corpo, piegata contro il corpo dalla pressione della folla, che avrebbe potuto esserci là fuori, in strada, o in piazza, sotto i portici, essa offriva questa mano premuta, l’offriva tutta alle mani di lui nell’intimità e nella moltitudine di tutti i corpi sospinti[vi].

Berber-woman vs Num-Ida at Cervia
Chi oserebbe, vedendoci salire le scale per andare a vedere le galline faraone nel sottotetto, suggerire una storia d’amore tra un ragazzo puberale e una giovinetta, anche la più tenue? A guardarla da adesso, num, forse che, se la ragazza ha appena finito di pelare le patate e in questa ascesa al sottotetto, il sole sta calando e la visibilità si fa più chiara, nel punto stabilito da dove attraverso un vuoto, non andai anni dopo alla porta, a quella sua porta per infilare sotto questa lettera: “La faraona in umido non ha cambiato i miei sentimenti. Ti piace starci in quel modo e mi piace che chi ti ha preso, l’adulto, che è venuto dopo a vedere con te le galline faraone nel sottotetto,  lo sappia. Penso che a lui piacciano molto le tue mani. E il culo, naturalmente. E le gambe. E so che ti piace rinserrare. A lungo. E lentamente. A quello che le galline faraone non fanno né caldo né freddo, e che se deve andare in Egitto in Crociera, adesso che ha settanta- ottanta anni, ci va subito anche con la prostata in disordine, è che gli piace pisciare in mezzo al mare, e forse anche nel Nilo, non gliene frega niente di questa storia, sotto di te, minerale, incontenibile, irrefragabile. Non si è mai soffermato a guardare i deretani delle cavalle al trotto. A mezzanotte e mezzo in punto andremo su a vedere le galline faraone addormentate, su per la scala, scalzi, e anche nudi. Che momenti indimenticabili  in questa clandestinità così comprensibile in cui tu, Num, forse, se, Ida, leggera, disinvolta, un gradino dopo l’altro, davanti, io dietro, quel nostro camminare felino in cui se tu sei Ida, allora, sei la meta dei mie passi del desiderio, anche se in quel momento, è l’uccisione della gallina faraona che mi preoccupa, il passo della giovinezza che calpesta un atto orrendo e vi passa come se fosse una folata d’aria fresca, tutta questa naturale innocenza introdotta in quest’avventura per riverire l’adulto, conquistarlo, per civettare con lui, c’era il fremito della carne, l’ebbrezza di un accordo in cui c’è la necessità intima di Ida, è così che ti chiamo, adesso so che sei nel mio Berg “Num-Ida”, per via della gallina faraona, so che vuoi servire il poeta che un giorno sarò, un delitto così grave e vi si nascondeva la più stupenda bellezza del mondo, la consapevolezza che ero stato io a ispirare quelle gambe, nell’oscurità, quei due s’erano lasciati sviare dalla meta prefissata, s’erano abbracciati dimentichi di tutto e di tutti cercavano nell’oscurità i loro corpi proibiti, nell’oscurità delle scale, ansando, tu con l’abricot mouillé, il damasco mojado , io il glande teso e unto, lucido e brillante nell’oscurità. Vedevo la mano di Henia che rinserrava l’asta del ragazzo, nel romanzo di Witold Gombrowicz e pensavo che lei fantasmasse che fosse la mia nerchia, e poteva anche darsi che, Num, se Ida, fossi stata tu, o eravamo troppo giovani per poter trattenere il silenzio, afferrare il fallo e rinserrarlo, come avresti saputo  fare, menandolo fino a farlo cannoneggiare come un Parrott da 30 libbre e 4,2”[vii]. Dovevamo quindi arrivare fino al pollaio, e afferrare una faraona e farla uccidere da tua madre. La nostra clandestinità inebriante con quel nostro peccato che avanzava in punti di piedi, le nostre gambe concordi e segrete, le labbra dischiuse, il respiro Heimlich e proibito fino a gustare il sapore del delitto giovanile, vergine e faraonico.”
(...)che ancora torna per quelle gambe e il
podice della figlia del tabaccaio(...):aveva
lo stesso sguardo di questa berber woman?
La domanda della madre, avrei scritto dentro un saggio per Morselli, una volta divenuto adulto  e ancora dentro la retorica dell’oggetto “a” della gallina faraona e del Berg Num-Ida,  piacere singolare, non è più il tempo delle pugnette, semplicemente  e puberalmente manuali, che ancora torna per quelle gambe e il podice della figlia del tabaccaio, la domanda della madre - scrissi- “che per quanto possa essere vergine, nella struttura della pulsione, si presenta col seno tagliato, cosicché inganni il lettore, che non capisce che non è questo taglio a conferire il suo valore di significante, ma è il taglio della funzione sfinterica che valorizza e accenta l’oggetto anale, non semplicemente in quanto dono ma in quanto identità. Ecco perché il fantasma(…), ed è $ rispetto ad a, assume così un valore significato dall’entrata del soggetto in questa dimensione statica, la quale lo riconduce a quella catena indefinita di significazioni che si chiama destino. A cui, d’accordo, si può sfuggire in definitivamente ma allora in che modo il soggetto è entrato in questa faccenda del significante? Ma è chiaro, non l’avete capito?, per la domanda della madre che si è riservato il posto di questo vuoto(…), da lì lei taglia l’oggetto a e nello stesso tempo nel determina il valore, l’accento, l’identità e il destino.”[viii] Come dire che , non avendomi fatto alcuna domanda, dissi al mio Berg Num-Ida, sulla faraona numida meleagris, tua madre mi ha tagliato come oggetto “a” e quindi per me, alla tua tavola, non ci fu alcun valore, alcun accento, nessuna identità, anche di comodo, nessun avvenimento fatalistico lì tra il sottotetto delle galline faraone e la pulsione uretrale del ragazzo puberale.
Se tu avessi voluto farmi veramente almeno una pugnetta, prima di farmi la domanda delle galline faraone nel sottotetto, avresti dovuto farmi fare la domanda della madre,ovvio: anche della madre della Numida Meleagris: la mano, quando ripiegavi, come Henia, la camicetta, la tua mano sul tavolo, la tua mano aperta, impeccabile, ordinata sotto ogni aspetto, del resto forse anche ginnasiale, come ginnasiale ero io, ma tu eri di più, la mano è proprietà di babbo e mammina,e nello stesso tempo è priva di indumenti, completamente nuda, nuda della nudità di una mano o di un ginocchio che sfugge alla gonna ma anche di una minchia e con quella tua mano , per me che ero ginnasiale, ginnasialmente libertina, anche se tu avevi fatto le magistrali, con questa tua mano, ricordi?, bussasti alla  porta. Toc, toc, toc. Toc, toc, toc! “Sono io” in quanto oggetto puro, non eri identificabile, e nemmeno io, figurati, non avevo nemmeno finito il ginnasio,tua madre non mi avrebbe mai fatto la domanda : “Num-ida Meleagris?”: “Forse Ida , Meleagro?”. Non ero io quell’argonauta, Meleagro, uccisore del cinghiale Calidonio, e d’altronde, come avrei potuto venire  a vedere uccidere le galline faraone, Meleagrides, se, a differenza di Meleagro, io non avevo sorelle[ix]?




Ourilah la Kabyle vs Num-Ida
delle sorelle di Meleagro di Cervia?
[i] Cfr. Paul Watzlawick, Se tu mi amassi veramente, mangeresti volentieri aglio, in: Idem, Istruzioni per rendersi infelici,  trad.it. Feltrinelli, Milano 1984.
[ii] Witold Gombrowicz, Pornografia, trad.it. Bompiani editore, Milano 1960.
[iii] Si tenga per sé che Nŭmĭda possa anche essere “nomade”: il tergo nomade, nella visione puberale sulla riviera romagnola, potrebbe mai essere quello della figlia del tabaccaio? Va, in ogni modo, precisato che la figlia del tabaccaio e il tabaccaio stessi non erano della Numidia, erano del popolo romagnolo di Cervia-Milano Marittima.
[iv] Va da sé che Numida dens è anche l’avorio.
[v] Cfr. Witold Gombrowicz, Cosmo [1965], trad.it. Feltrinelli, Milano 2004. Che cos’è dunque il berg? E’ un allotropo, dunque un elemento che esiste in forme fisicamente diverse tra di loro? Il berg fa coesistere due diversi esiti di uno stesso significante? E’ la funzione della nuova rappresentazione che c’è nella Lebenswelt, il genere creato da V.S.Gaudio negli anni settanta? .Cfr. V.S.Gaudio, L’eterotopia dislocata. La libido ubiquista delle mule irlandesi e la finestra di Morselli, in “Morselliana”, a cura di Alessandro Gaudio, Rivista di Studi Italiani, anno XXVII, n.2, 2009.

[vi] Cfr. V.S.Gaudio, La Lebenswelt con W.Gombrowicz sull’erotismo polacco inferiore al valore, in: Idem, HENIA’S GAME □ Semidissertazione su “Pornografia” e Lebenswelt con W.Gombrowicz , ebook Issuu 2015.

[vii] Ibidem.
[viii] V.S.Gaudio, Il remedium non viene in Vaticano; la domanda della madre, in: Idem, L’eterotopia dislocata, loc.cit.
[ix] Mĕlĕāgrāĭdes, um, f.pl., sorelle di Meleagro, trasformate in galline faraone.