Come l’inventore della
cicogna-porca, che non è detto che debba essere per forza un poeta malinconico,
che di rado si toglie il cappotto, e che debba per forza partecipare al rito
dell’uccisione del porco, nonostante viva in un universo tutto obliquo ma essenzialmente con l’asse
tra estetica e piaceri singolari, il piatto di Mia Nonna dello Zen è stato
quello delle melanzane ripiene, che, a guardarlo, adesso, da lontano, non si
può non avere gli occhi colmi di affettuosa malinconia. Lo sanno tutti che non abito
sulle rive di un lago, e quindi non aspetto con tenera ansia l’apparizione
dell’unica cicogna-porca esistente, e non aspetto nemmeno che venga l’inverno,
quel dopo Natale per il rito del porco, che, in verità, essendo così rosso e
untuoso, ha sempre dentro qualcosa di una vicenda amorosa se non turpe
oltremodo lussuriosa e porca.
La vicenda amorosa turpe e porca è sempre ebbra, non
fosse altro per la giusta dose di Ghb, con cui viene riempito il
poeta affinché sodomizzi con la dovuta resistenza la troia di turno, che, per
via delle melanzane di Mia Nonna dello Zen, ha sempre una linea mediterannea
nella somatologia se non un aspetto del tutto fallico-demoniaco, per quanto
asserisca Manuel Vázquez Montalbán, in merito al paradigma della melanzana nera
in uso per le “Melanzane all’alessandrina”.
La posa del caffè e la psicanalisi |40 ♦ Le melanzane di Mia Nonna dello Zen e della Lode del Mare
Marisa Aino ░ Melanzane
d’Aino © 2016 |
La melanzana, anche
quella di Mia Nonna, si sa, non sta in mezzo, tra la carne e la verdura, né tra
la flora e la fauna del Mare Nostrum, anche se, a mangiarla ripiena, non
conviene mangiarla nelle mattinate di nebbia, per questo quando stavamo in
Romagna io me ne tornavo giù in Culabria a gustarne, dentro la pulsione
fallico-uretrale, il suo particolare sapore di aver-perduto-l’inesistente.
Fosse stato il piatto
tipico qualcosa come la tentazione di
Jansson che, tra patate, cipolle e acciughe, non è per niente impossibile
laggiù in Culabria, il poetino che sarei diventato avrebbe forse più concupito oggetti d’amore e troie con carni fredde e
pelli bianche, e pelo rosso. O almeno biondo, per via
del pesce salato, anche se col baccalà viene meglio, sia il gaudio del palato
che quello polisensoriale che serve a caricare l’orza. La melanzana ripiena ha
qualcosa del languore solitario ma anche una persistente, invisibile e
irraggiungibile, tenerezza, per le lente e lunghe navigazioni, i corpi più
amorevoli e maliziosi, più temibili e dolcissimi, come se si fosse dentro il
deposito dell’infelicità del mondo, almeno quando tramonta il sole, e il gaudio
che comincia a venir di nuovo a farti navigare sopravvento come il sole
s’innalza.
L’adolescenza, dentro
una città estremamente povera, in cui i personaggi hanno rinunciato a
modificare la propria condizione, e vivono una vita solitaria, esclusa,
taciturna, segregata, quasi come se fosse emigrata, è fatta di pugnette e melanzane
ripiene: le case sono vecchie e costruite con materiale che già ora rivela i
segni di una continua, ormai precipitosa decadenza; in più, saranno sempre
fuori o a lato delle regole di calcolo
dell’equo canone, anche per via del fatto che non appartengono alla popolazione
originaria del luogo ma ai temibili ambulanti della carbonella, i cosiddetti
Ombroni, che non sanno leggere e son tutti grossisti del fumo e dell’ogliarola ma poi amministrano
il territorio, dalla giustizia all’esazione delle tasse, istituiscono la tassa
della salute solo per il poeta, altrimenti se non paga sarà a poco a poco
avvelenato, e prima ancora ingiuriato ed espropriato, vilipeso e torturato,
anche per bocca dei pazzi oracoli destinati alle famose cliniche della vigna e
della posta, e gli sarà tolto quanto dovrebbe spettargli per eredità e stato di
famiglia, anche se gli hanno inventato il cognome. C’è una ragione di Stato in
tutto questo, come c’è in quella che era, e continua ad essere, la Banda
Pignatelli, o quello che potrebbe essere l’omaggio al bandito del separatismo
con il secondo nome imposto, si presuppone alla fonte battesimale, al futuro
poeta, e futuro mangiatore delle melanzane ripiene di Mia Nonna dello Zen,
quella che, avendo quella grande vigna, la vignarula, e la vigna è
semplicemente l’aranceto, mai o quasi mai, essa uscì per strada, e quando aveva
bisogno della sarta, essendo le monete lise e illeggibili, e non essendoci
ancora l’euro e nemmeno la moneta di Malta, si metteva a piovere, e allora si
usciva tutti in strada e senza ombrelli stavamo a cantare e a correre, non
potevamo giocare a palla, perché non avevamo la palla, figurati il pallone, o
le scarpe, essendo della stirpe degli Scalzacani e dei Senzaruota, tanto che il
ragazzino che mangiava le melanzane ripiene non poteva pensare che per amare
avrebbe amato chi aveva nel nome l’elogio
del mare, e, sebbene poi leggerà libri d’amore e trattati di filosofia e
fenomenologia dell’andatura e dello Zahir
nei piaceri singolari e perfino Matrimonio
e Morale di Bertrand Russell, e Pornografia
di Witold Gombrowicz, Il Mondo Nuovo
di Aldous Huxley e anche Giallo Cromo,
Henry Miller, Alain Robbe-Grillet, in un luogo senza desiderio e senza amore,
in cui i matrimoni vengono convenzionati per l’Ordine della Ruota e dello Ior,
dei Catari e degli Ombroni, della Santa Ammašcatura dei Cugini e degli Zingari,
come avrebbe potuto mai presupporre che
per le melanzane ripiene nessuno in questa città avrebbe mai potuto conoscere e coltivare l’amore, tanto
che, poi, una volta che il secolo dopo fu avviato e percorso per anni, venne
fuori un solo uomo, un sordo che aveva l’impressione che si trattasse di una
città-ombra, ed era arrivato con un circo che, per due giorni, si esibì gratis
nella piazza del Municipio, e non venne nemmeno il prete, e solo quel sordo,
che poteva essere il campanaro, credette
di assistere a una cerimonia funebre, intanto che tutti gli altri cittadini
rimasero alcuni chiusi in casa, soffrendo intensamente di quei fragori
lussuosi, e tutti gli altri si nascosero nei loro paesi d’origine, a nord, a
sud e ad ovest, mentre da est, dal mare,lanciavano bombe, nel mare, quelli
della Confraternita del Petrolio di Sant’Arcangelo, nel nome della madre
affidataria del poeta che mangiava nell’adolescenza le melanzane ripiene di Mia
Nonna dello Zen.
Questo è il punto, non
c’è e né mai ci sarà il cavaliere che ucciderà il drago, fosse pure Cilistaro,
si tratta semplicemente di melanzane ripiene, questo ebbe a dire la zingara
ragazza quel 5 gennaio, che tutto è scritto nelle melanzane ripiene di tua
Nonna dello Zen, e, guardandolo e tenendogli la mano, quel lunedì proprio sui
binari al passaggio a livello del casello 107: “Oh, Trunante altissimo, tu che
sei d’u jurnusu vrušente, e hai questo segno che è il segno della madre che non
c’è e hai questo che è il segno della tua donna che sarà tutto il tuo mondo e
ha il nome della lode del mare per quanto tu abbia nel tuo palato il gusto
delle melanzane ripiene, che è il piatto che fa nascere e rinascere l’amore
uguale per misura e corpo a te, e allora intanto che venga ad allietarti
l’anima e il fallo, che ne dici di fušcare un po’ con me così che, andando in
giro per il mondo, il tuo spirito con tutto quel tuo amore che ti verrà dalla
tua amata che è l’elogio del mare e del genere maschile sarà sempre il mio
gaudio?”
Il segno, o il doppio
segno, da cui traeva il vaticinio quel portento di giovane zingara era, non sol
perché fosse il 5 gennaio, nel segno del Capricorno, come segno solare e anche
di Mercurio e del Fondo Cielo, e della madre e dell’amore assoluto di chi porta
il nome dell’elogio del mare, ancorché il mare fosse nel paradigma della Luna
nei Pesci, sia nella madre che nella “donna che sarà tutto” che, per aver
mangiato le melanzane ripiene di Mia Nonna dello Zen, non poteva che essere la
“lode del mare”, questo corpo greco e saraceno, paralongilinea ectomesomorfa, che, tra l’adolescenza e la maturità,
avrebbe avuto l’indice costituzionale prima nell’orbita del 50 e, poi, del 53 e l’indice del pondus, prima, quasi medio tra 31 e 27 e, poi, fattasi madre anch’ella, tra 26 e 20, medio-alto, quasi al primo grado del
valore alto; che son numeri questi della matematica del corpo e delle melanzane
ripiene, che, va da sé, non potresti mai mangiare nei ristoranti delle province
altamente urbanizzate e avanzate, per questo il poeta, una
volta maritatosi con la donna dell’elogio del mare, fu spedito nella città da
cui il Custode dell’Ordine della Ruota monitorava tutto il popolo steso al sole
e all’ombra, città in cui non avrebbe potuto gustare quelle melanzane ripiene
di Mia Nonna dello Zen che solo la donna vaticinata dalla zingara sapeva
cucinare come se fosse la tentazione dell’elogio del mare e del genere
maschile, che non ha niente del filtro amoroso che possa eccitare le
immaginazioni più marmoree ma che è costituita per l’esclusivo
uso del poeta che, come aveva predetto la zingara, farà vagare in eterno il suo
(-φ) sempre nell’orbita
del suo oggetto “a” assoluto, quello che ha il nome dell’elogio del mare e del genere maschile. Nessun endocrinologo è mai
riuscito a spiegare la ragione di questa attrazione eterna e la connessione
genetica con le melanzane ripiene, che, seppure sia nell’ambito della pulsione uretral-fallica del poeta e dell’amore
suo infinito, resta misteriosa e veneziana come il segno della madre perduta
nella mano del giovane poeta.
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La copertina di un numero del mensile
"GM" ,
The Walt Disney Company Italia,
Milano maggio 1995,
con la rubrica di
Marisa G. Aìno:
"Cucina da campo"
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Melanzane
della Lode del Mare e del genere maschile ♦
by Maris’Aino
4 melanzane
1 cipolla di
Tropea
500 gr. Pomodori
di stagione pelati
Basilico
4 cucchiai di
parmigiano
6 cucchiai di
mollica di pane
2 uova
Pepe
Sale
Olio di oliva
- In una teglia mettete l’olio e la cipolla
tagliata finemente, fatela soffriggere senza farla annerire e aggiungete i
pomodori freschi pelati e una parte del basilico e un po’ di sale;
lasciate cuocere a fuoco lento per 10 minuti circa.
- Lavate
le melanzane, tagliatele a metà e lessatele leggermente in acqua salata;
scolatele e cavate la polpa all’interno di ogni metà. In una ciotola
versate la polpa, dopo averla schiacciata con la forchetta; aggiungete le
uova, la mollica di pane, il formaggio, un po’ di basilico e un po’ del
sugo preparato precedentemente; spolverate con pepe e sale e impastate.
Prendete le coppe vuote delle
melanzane e riempitele con questo composto.
- Allungate
il sugo nella teglia con acqua, portatelo ad ebollizione e aggiungete le
melanzane ripiene. Fate cuocere a fuoco lento per 20 minuti, prima con la
teglia coperta e poi senza coperchio.
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La zingara catalana: "Sì...E' Vinum Sabbati l'antica bevanda che si usava nei riti orgiastici.
Sotto il suo effetto, sono possibili piaceri inimmaginabili...ma con essi giunge la corruzione...":
da Martin Hel: Nuptiae Sabati, di Robin Wood e Angel Fernandez, Eura Editoriale, Roma 1995. |