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Il mondo non è banale? ░ Il linguaggio conveniente del Sublime Prefetto

¨ Sutta  (vedico: s ū tra; letteralmente: filo * ) del linguaggio conveniente del Sublime Prefetto ** Mia Nonna dello Zen così ha udito: una volta dimorava il Sublime Prefetto presso la Basilica di Sant’Antonio, nel codice catastale di Padua. E il Sublime così parlò: “Quattro caratteristiche, o mio bhikkh ū *** , dirigente dell’area del decreto di espulsione e dell’accoglienza e dirigente anche dell’area degli enti locali e delle cartelle esattoriali e dei fuochi d’artificio fatti come Buddho vuole ogni qualvolta che ad esempio si dica “cazzo di Buddha” o anche “alla madosca” o “gaudiosissimo pelo”, deve avere il linguaggio conveniente, non sconveniente, irreprensibile, incensurabile dagli intercettatori; quali quattro? Ecco, o mio dirigente che ha distrutto le macchie: un dirigente d’area parla proprio un linguaggio conveniente, non sconveniente, un linguaggio conforme alla Dottrina del Governo, non in contrasto con essa, un linguaggio gradevole, non sgradevole, un linguag

La malanotte del lupo▐ Mario Grasso

▐ Lascia il lupo e piglia ubbrèsh! L’esortazione che vige nel Delta del Saraceno, e anche nelle altre aree di occupazione e diffusione della cosiddetta minoranza italo-albanese, ha lo stesso capovolgimento del luogo che tutti chiamavano Malanotte: quello che ti suggeriva questa particolare attenzione alla pericolosità dell’arbëresh evidenziato era un arbëresh ammašcato, nascosto, tipo la suocera del poeta, che, essendo, per via paterna, appartenente a quella minoranza, non ne ha mai esplicitato e rivendicato i benefici costituzionali…
STRANO AUGURIO DI MORTE PER IL LUPO
di
Mario Grasso
         Chissà da quali remote istanze subliminali è scaturita la frase sostenuta da un imperativo del verbo crepare (più frequente) e da sinonimi non meno espressivi di morte a carico del lupo. Il curioso prende abbrivo dalla evidente ingenerosità della locuzione rivolta a un animale colpevole di praticare la consuetudine del portare in salvo i piccoli appena nati, in un posto ritenuto sicuro. In bocca al lupo, per dire sei in una botte di ferro stando nella fauce del genitore che si preoccupa della tua incolumità e vuole, a suo modo, portarti al sicuro. E poiché si tratta di neonato ancora incapace di muoversi e orientarsi, il lupo (come i cani, i gatti e altri animali) non può che servirsi della propria bocca per trasferirli. La pietà umana è spesso così colma, pregna di tenerezza da traboccarne. E sicuramente di una tracimazione si tratta se nello stesso momento in cui  augura buona fortuna al prossimo più caro in procinto di affrontare una difficoltà, o un pericolo del genere così definito dai latini per dire esame, la straordinaria dose di altruismo umano passa dall’augurio di restare al sicuro nella bocca del lupo, a quello di istintiva difesa dal lupo, pretendendo imperativamente che questo crepi. Che muoia il lupo sul colpo, con la propria tenera creatura ancora in bocca, per la quale non solo è auspicata la più terribile disavventura, quella della morte del genitore che lo stava portando al sicuro, sostanzialmente doppia sentenza di morte il genitore e il cucciolotto incapace ancora di autogestirsi.
 2 –  “Crepi il lupo!” e senza distinzioni, caso mai a qualcuno venisse in mente quello del bosco di Gubbio, che stando alle agiografie del santo di Assisi, qualche chiacchierata col suo amico gli era capitato di farla. Ma Francesco d’Assisi era una bizzarria ambulante sotto forma umana, quindi qualche dubbio residua anche in quelli di buona volontà,  i quali anche se non hanno mai letto l’Asinaria di Plauto non esitano a sciorinare la battuto del remotissimo commediografo latino “Homo homini lupus”. Locuzione che si rende credibile, in barba al titolo dell’opera nella quale si trova scritta, Asinaria, appunto, perché viene tirato in ballo l’uomo, il quale una coscienza se la scopre spesso, specialmente nei momenti di pericolo. E il lupo pericoloso lo è, forse più dell’uomo. Prove non mancano e il buon Fedro delle favole ne ha lasciato traccia indelebile con quella sua descrizione del lupo che beveva l’acqua del fiume a monte e del povero agnello che beveva la stessa acqua a valle. Poteva  avere ragione l’agnello, anche se questo particolare Fedro lo tace, ma le cose si questo mondo si sa come sono andate da sempre, infatti quando la forza contrasta con la ragione vince sempre la forza, perché le ragioni non saranno mai sufficienti per imporsi. E l’agnello quanto a forza poteva esprimerla, al suo massimo, in un belato. Insomma, il lupo è lupo, non per nulla i greci antichi definivano lupon il male? Né si potrebbe dire che da quella volta è passato tanto tempo quindi il lupo può aver cambiato il proprio comportamento. E no! infatti anche i bambini sanno che il lupo cambia il pelo e non il vizio.
3 – Come se Plauto e Fedro non fossero stati abbastanza espliciti e forse anche per colmare un aspetto che poteva fare invocare l’eccezione per la femmina del lupo, la lupa, ecco l’onnisciente Alighieri che riporta papale-papale una testimonianza incisiva e indelebile per chi abbia letto la Divina Commedia: “Ed una lupa che di tutte brame / sembrava carca nella sua magrezza”. Lo spavento del poeta fu tale che un momento dopo confesserà a Virgilio che la semplice visione della lupa gli aveva fatto “tremar le vene e i polsi”. Ed ecco il rincaro della dose nella risposta di Virgilio: “ … questa bestia per la qual tu gride, / non lascia altrui passar per la sua via, / ma tanto lo ‘mpedisce che l’uccide; / e ha natura sì malvagia e ria / che mai non empie la bramosa voglia, / e dopo il pasto ha più fame che pria (…)” . Ed ecco l’informazione che in seguito farà coniare il detto “fame da lupo”.
4 – Sia lecito a questo punto chiedersi e chiedere: quale genio della trovata d’altura ha coniato la frase che significa il contrario di quello che dice? Certo che costui doveva avere una tale perfetta conoscenza del pecoreccio umano da offrirgli in pasto una battuta schizofrenica da adoperare come augurio per chi è in procinto di affrontare prove importanti, a volte decisive per sempre: “In bocca al lupo”, rappresentazione del momento di tenerezza del genitore (o della genitrice lupa, ignorata perché la frase nacque in tempi di maschilismo imperante), che, come detto prima, porta in luogo sicuro i cuccioletti appena nati. Una figura dolce e delicata, subito fulminata dalla risposta sconcertante del destinatario dell’augurio. “Crepi il lupo!”. Ma guarda tu che miracolo di contraddizione modello: da una parte chi augura di procedere verso il sicuro in bocca al lupo che di sicurezza  è garante, dall’altra il beneficiario dell’augurio reagire auspicando imperativamente la morte subitanea del lupo: “Crepi!” a costo di vanificare la propria fortuna. Il lupo fulminato e il cucciolotto che finisce di vivere anch’esso destinato a crepare di maledizione. Eppure alla base di tutto c’era un cordiale augurio di bene. Ma è così la vita. Ce lo aveva detto persino il Manzoni descrivendo i due soli “raggianti” in rappresentanza di un luogo che tutti chiamavano Malanotte. “Sur una vecchia insegna che pendeva sopra l’uscio, era dipinto da tutt’e due le parti un sole raggiante; ma la voce pubblica, che talvolta ripete i nomi come le vengono insegnati, talvolta li rifà a modo suo, non chiamava quella taverna che col nome della Malanotte.” (Cfr. I promessi sposi - cap. XX)