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▐ Lascia il lupo e piglia ubbrèsh! L’esortazione che vige nel Delta del Saraceno,
e anche nelle altre aree di occupazione e diffusione della cosiddetta minoranza
italo-albanese, ha lo stesso capovolgimento del luogo che tutti chiamavano
Malanotte: quello che ti suggeriva questa particolare attenzione alla pericolosità
dell’arbëresh evidenziato era un arbëresh ammašcato, nascosto, tipo la suocera
del poeta, che, essendo, per via paterna, appartenente a quella minoranza, non
ne ha mai esplicitato e rivendicato i benefici costituzionali…
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STRANO AUGURIO DI MORTE PER IL LUPO
di
Mario Grasso
Chissà da quali remote istanze subliminali è scaturita la frase sostenuta da un
imperativo del verbo crepare (più frequente) e da sinonimi non meno espressivi
di morte a carico del lupo. Il curioso prende abbrivo dalla evidente
ingenerosità della locuzione rivolta a un animale colpevole di praticare la
consuetudine del portare in salvo i piccoli appena nati, in un posto ritenuto
sicuro. In bocca al lupo, per dire sei in una botte di ferro
stando nella fauce del genitore che si preoccupa della tua incolumità e vuole,
a suo modo, portarti al sicuro. E poiché si tratta di neonato ancora incapace
di muoversi e orientarsi, il lupo (come i cani, i gatti e altri animali) non
può che servirsi della propria bocca per trasferirli. La pietà umana è spesso
così colma, pregna di tenerezza da traboccarne. E sicuramente di una
tracimazione si tratta se nello stesso momento in cui augura buona
fortuna al prossimo più caro in procinto di affrontare una difficoltà, o
un pericolo del genere così definito dai latini per
dire esame, la straordinaria dose di altruismo umano passa
dall’augurio di restare al sicuro nella bocca del lupo, a quello di istintiva
difesa dal lupo, pretendendo imperativamente che questo crepi. Che muoia il
lupo sul colpo, con la propria tenera creatura ancora in bocca, per la quale
non solo è auspicata la più terribile disavventura, quella della morte del
genitore che lo stava portando al sicuro, sostanzialmente doppia sentenza di
morte il genitore e il cucciolotto incapace ancora di autogestirsi.
2 – “Crepi
il lupo!” e senza distinzioni, caso mai a qualcuno venisse in mente quello
del bosco di Gubbio, che stando alle agiografie del santo di Assisi, qualche
chiacchierata col suo amico gli era capitato di farla. Ma Francesco d’Assisi
era una bizzarria ambulante sotto forma umana, quindi qualche dubbio residua
anche in quelli di buona volontà, i quali anche se non hanno mai letto l’Asinaria di Plauto non esitano a sciorinare la
battuto del remotissimo commediografo latino “Homo homini lupus”. Locuzione che
si rende credibile, in barba al titolo dell’opera nella quale si trova
scritta, Asinaria, appunto, perché viene tirato in ballo l’uomo,
il quale una coscienza se la scopre spesso, specialmente nei momenti di
pericolo. E il lupo pericoloso lo è, forse più dell’uomo. Prove non mancano e
il buon Fedro delle favole ne ha lasciato traccia indelebile con quella sua
descrizione del lupo che beveva l’acqua del fiume a monte e del povero agnello
che beveva la stessa acqua a valle. Poteva avere ragione l’agnello, anche
se questo particolare Fedro lo tace, ma le cose si questo mondo si sa come sono
andate da sempre, infatti quando la forza contrasta con la ragione vince sempre
la forza, perché le ragioni non saranno mai sufficienti per imporsi. E
l’agnello quanto a forza poteva esprimerla, al suo massimo, in un belato.
Insomma, il lupo è lupo, non per nulla i greci antichi definivano lupon il
male? Né si potrebbe dire che da quella volta è passato tanto tempo quindi il
lupo può aver cambiato il proprio comportamento. E no! infatti anche i bambini
sanno che il lupo cambia il pelo e non il vizio.
3
– Come se Plauto e Fedro non fossero stati abbastanza espliciti e forse anche
per colmare un aspetto che poteva fare invocare l’eccezione per la femmina del
lupo, la lupa, ecco l’onnisciente Alighieri che riporta papale-papale una
testimonianza incisiva e indelebile per chi abbia letto la Divina Commedia: “Ed
una lupa che di tutte brame / sembrava carca nella sua magrezza”. Lo spavento
del poeta fu tale che un momento dopo confesserà a Virgilio che la semplice
visione della lupa gli aveva fatto “tremar le vene e i polsi”. Ed ecco il
rincaro della dose nella risposta di Virgilio: “ … questa bestia per la qual tu
gride, / non lascia altrui passar per la sua via, / ma tanto lo ‘mpedisce che
l’uccide; / e ha natura sì malvagia e ria / che mai non empie la bramosa
voglia, / e dopo il pasto ha più fame che pria (…)” . Ed ecco l’informazione
che in seguito farà coniare il detto “fame da lupo”.
4 – Sia lecito a questo punto chiedersi
e chiedere: quale genio della trovata d’altura ha coniato la frase che
significa il contrario di quello che dice? Certo che costui doveva avere una
tale perfetta conoscenza del pecoreccio umano da offrirgli in pasto una battuta
schizofrenica da adoperare come augurio per chi è in procinto di affrontare
prove importanti, a volte decisive per sempre: “In bocca al lupo”, rappresentazione del momento di tenerezza del
genitore (o della genitrice lupa, ignorata perché la frase nacque in tempi di
maschilismo imperante), che, come detto prima, porta in luogo sicuro i
cuccioletti appena nati. Una figura dolce e delicata, subito fulminata dalla
risposta sconcertante del destinatario dell’augurio. “Crepi il lupo!”. Ma guarda tu che miracolo di contraddizione modello:
da una parte chi augura di procedere verso il sicuro in bocca al lupo che di sicurezza è garante,
dall’altra il beneficiario dell’augurio reagire auspicando imperativamente la
morte subitanea del lupo: “Crepi!” a costo di vanificare la propria fortuna. Il
lupo fulminato e il cucciolotto che finisce di vivere anch’esso destinato a
crepare di maledizione. Eppure alla base di tutto c’era un cordiale augurio di
bene. Ma è così la vita. Ce lo aveva detto persino il Manzoni descrivendo i due
soli “raggianti” in rappresentanza di un luogo che tutti chiamavano Malanotte.
“Sur una vecchia insegna che pendeva sopra l’uscio, era dipinto da
tutt’e due le parti un sole raggiante; ma la voce pubblica, che talvolta ripete
i nomi come le vengono insegnati, talvolta li rifà a modo suo, non chiamava
quella taverna che col nome della Malanotte.” (Cfr. I promessi sposi
- cap. XX)