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Il mondo non è banale? ░ Il linguaggio conveniente del Sublime Prefetto

¨ Sutta  (vedico: s ū tra; letteralmente: filo * ) del linguaggio conveniente del Sublime Prefetto ** Mia Nonna dello Zen così ha udito: una volta dimorava il Sublime Prefetto presso la Basilica di Sant’Antonio, nel codice catastale di Padua. E il Sublime così parlò: “Quattro caratteristiche, o mio bhikkh ū *** , dirigente dell’area del decreto di espulsione e dell’accoglienza e dirigente anche dell’area degli enti locali e delle cartelle esattoriali e dei fuochi d’artificio fatti come Buddho vuole ogni qualvolta che ad esempio si dica “cazzo di Buddha” o anche “alla madosca” o “gaudiosissimo pelo”, deve avere il linguaggio conveniente, non sconveniente, irreprensibile, incensurabile dagli intercettatori; quali quattro? Ecco, o mio dirigente che ha distrutto le macchie: un dirigente d’area parla proprio un linguaggio conveniente, non sconveniente, un linguaggio conforme alla Dottrina del Governo, non in contrasto con essa, un linguaggio gradevole, non sgradevole, un lin...

MAPPA NOEMATICA DI PAOLA PITZIANTI ░ Un testo di "fenomenologia dell'arte" di V.S.Gaudio



Paola Pitzianti
Pagina dal mio erbario
acquaforte 1975
V.S.Gaudio
La sottrazione noematica di Paola Pitzianti

1.- Si tratta di trovare il senso, cioè l’oggettività che appartiene al noema come assunzione del limite. C’è uno stato noematico che limita il quid della coscienza, diamo dell’intenzionalità, ed è evidente che le parti annesse come costituzione della tabula della propria testimonianza rasentano più che il compimento la posizione che fa della datità il suo stesso contenuto. Ecco che alla vacuità d’avvio possiamo opporre un complesso di indizi, e il tema, si sa, lo si pone proprio come limite, diciamo come topos da cui si articoli il processo differenziale. La vacuità è il primo indizio, traccia di contenuto che si forma per la pienezza che gli manca, se al contenuto, dato intanto come apprensione di predicato, manca qualcosa è perché in esso si tende a consumare il nocciolo, il pieno nocciolo, dell’Erlebnis intenzionale.
Paola Pitzianti, con la tabula della sua testimonianza, viene a costituire una sorta di valenza deittica tra centralità del vacuo e nodo noetico come scarto, dépense, della virtù del noema: il senso sta nella sottrazione del correlato ontico a quello noematico.
Il senso dell’oggetto(la foglia, la matassa, il prato, il nodo, ecc.) non si concreta come stato complessivo del noema, e in ciò si è d’accordo con Husserl, ma converge, come contrazione di monade, sulla transizione che rivela l’oggetto come punto( diciamo: chiasma) che supporta la datità e la sospensione temporale dell’io. Nel repertorio dei segni, per dirla alla Kurd Alsleben[i], la Pitzianti traccia dello scarto che non si coniuga alla dispositio di norma. Allora, l’ordine che ne pone si offre come mutamento: così tra immutatio e transmutatio ciò che conta ed instaura il rapporto è: o l’adiectio, come qualifica della differenza aggiunta; o la detractio, come arresto del processo intensivo, più che a senso di una parte tolta. La questione di Paola Pitzianti si pronuncia come stato di transizione della materia: in tale fragilità viene ad assumere la ragione temporale che declina l’isola del momento alla costellazione centrale di un tessuto che si fa radice, diciamo: endice, di una datità che s’infinisce nel tempo.

2.- Appunto, l’endice non è l’oggetto nella sua datità iniziale, a disposizione di una fruizione in totalità; l’intensità non ha niente a che fare con i correlati di una presenza che si in definisce perché si attraversa come riduzione fenomenica dell’esserci. La presenza dell’index segna il tempo che trae dall’intreccio che si erige a matrice delle connessioni che fanno del campo la proiezione stessa della differenza che ne porta l’occhio del conoscitore. L’index, come presenza, traccia una continuità che non trova in sé ma nel campo in cui pone l’assunzione e la sua estensione si dà come frammento, poi si annoda, come vertice verticalizza la crescita, ma come stacco impone un attraversamento che dà della continuità gli accidenti storici. Allora, l’endice attraversa la crescita, il ciclo biologico è investito dai turgori della storia,quindi il turgore, che fa di una fase, di un topos, l’essenzialità storica, diciamo: il locus affettivo, è una sorta di impronta che fa di quel tempo, come incidente, un punto che non partecipa alla crescita.


Paola Pitzianti
Nodo con filo rosso
unicum 1968
Dal 1968 al 1969

i disegni di treccia, matassa, i nodi con filo rosso, etc., testimoniano di questa intenzionalità, vuoi per il correlato dello scarto di coniugazione dello stesso spessore dei fili, vuoi per la differenza che il taglio del filo rosso allunga dal nodo o dalla matassa;

poi dal 1969 ancora

l’intreccio di erbe, i frammenti, i nodi d’erba tendono a risolvere la questione dell’incidente libidico come risoluzione del doppio, l’erba, i nodi, l’intreccio hanno un segno che li qualifica come assenza, un segno che li traccia perché li vuota, e la caduta dei piani è la dislocazione del fondo che de territorializza il campo come perno biologico che l’esserci ha;

dal 1973

la presenza, l’appiglio, della resa fa del giardino il campo di coniugazione della monade;

dal 1974

l’erbario scopre il confronto con la traccia della carne, e come segno la traccia della carne non che impronta di un’altra costituzione cellulare, ma che trova, nella traslazione, la stessa assenza che la fa endice, perché ne aveva trovato una polarità di desinenza.

3.- Vediamo quindi come il rapporto, anche estensivo, ci rimanda la mancanza di cui si testimonia. I sintomi al metaplasmo, si sa, hanno una centralità metaforica che non si sposta dal piano dell’identità: il troncamento, la rottura, vogliamo dire, l’innesto anche, operano con una sorta di spostamento laterale riguardo alla flagranza del segno: cioè fanno del segno il risultato del rischio che potrebbe correre quando lo si include nella metafora personale. E qui, il rapporto, tra i segni e la metafora che della traccia simbolica la Pitzianti vuole darci, carica il senso fino a riammettere il segno alla esclusione della realtà del proprio habitat, di già quando la foglia è rappresentata non ha più che la traccia della foglia: con l’isolamento, che l’operatrice di cui trattiamo ne fa, avviene una duplice messa in assenza. Pertanto, l’importante, in questi segni, non è cercare lo scarto tra la costituzione dei lembi della foglia, né tantomeno credere ad una intenzionalità lirica quanto badare alla flessione che avviene all’interno della coniugazione dei reperti. Allora, il segno non è preso con la virtualità contestuale che simbolicamente dovrebbe avere dai rimandi di natura, ma è compreso con la virtualità di senso che la foglia ha come segno che esce dal proprio spazio genetico, virtualità territoriale che si inscrive come mappa o specchio a supporto della trazione libidica dell’operatrice.

Un quadro servirà a chiarire quanto sopra enunciato:

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 foglia- MAPPA
che ha indicazioni-nervature-collegamenti
che vengono TRONCATI   î

                  METAPLASMO        quindi è         TAGLIO
          INNESTO (il valore dellinnesto è dato dalla connotazione che il troncare viene a  denotare)                                             

                                                                                                                                                                                                
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L’orizzonte , in tal caso, include l’enunciazione che sollecita una  rottura del codice; lo spostamento, l’intrusione spiega la contrazione del referente, l’oggetto stesso, nel cambiamento territoriale o di norma, è investito di un significato la cui corrispondenza trova atto nell’espressione sensoriale dell’io: segmentazione doppia del reale, che opera, del segno, una biforcazione d’angolo, i cui livelli di lettura riassumono un processo che tende ad instradare sempre più il predicato come astrazione: ed è da questa rottura connettiva della semantica della cosa che nasce il senso come attributo intenzionale e storico.

4.- Se si dà la contestualità segnico-referenziale come codice semantico uniforme[ii], la trasformazione di matrice avviene come misura non più necessaria alla contingenza della norma; si ha, in altre parole, una rottura della struttura di equilibrio necessario[iii].
Vediamo come si pone la destrutturazione in alcune rappresentazioni:
Contestualità segnico-referenziale (uniformità semantica e di codice)
Trasformazione di matrice
Figura
  1. Nodo d’erba e rosa, 1970 n.4 acquaforte
Opposizione alla legge di relazione funzionale dell’uniformità di codice; incompatibilità di interazione
Inciso di categoria
  1. Cespuglio, 1972
  2. Prato, 1971 monotipi
Destrutturazione delle zone formali col bianco che rompe il collegamento o ne fa una specie di spostamento speculare, doppio
Inciso di forma
  1. Intreccio d’erbe, 1969, monotipo
  2. Frammento, 1968, monotipo
  3. Frammenti di nodi, 1969, monotipo
Etc.
Ancora destrutturazione delle zone di interazione formale, quindi al livello della rappresentazione
Metaplasmo di tutto il campo oggettuale
  1. Matassa con filo rosso, 1968 disegno
  2. Nodo con filo rosso, 1968
Stacco (più che opposizione) dall’uniformità di norma
La figura è di tipo connotativo, a taglio di riflessione, una ellissi
  1. Treccia, 1968, disegno
è
La figura è elocutiva: ad estensione lega, allittera, ripete, accosta, quindi ha della comparazione e dell’antitesi, la treccia finirà con il reinvestirsi come figura retorica nell’Erbarioê
  1. Erbario, 1974
La destrutturazione investe tutto il livello della contestualità segnico-referenziale; la figura, pertanto, non può che cercarsi nella differenza che coniuga le varie parti: qui, l'implicazione dell’intrusione o del cambiamento territoriale non è da attivare, si tocca invece il motivo centrale della segmentazione del reale, il segno-endice risponde come enunciato atomico in una ipotesi discriminativa che lo condanna al tempo cui si è tolto per non essere consumato.
Metonimia sincretica spazio-temporale; come figura di stile: comparazione, antitesi



[i] Kurd Alsleben, Considerazioni critiche sull’estetica oggettuale, in “il Verri” n.35/36, Feltrinelli 1970
[ii] Cfr. anche le varie leggi che Abraham Moles dà per l’informazione semantica, vedi: Abraham Moles, Teoria informazionale e percezione estetica, Lerici 1969
[iii] Cfr. anche Enrico Arcaini, Création et créativité: deux aspects d’un phenomène anthropologique, in “Studi italiani di linguistica teorica e applicata” anno III, 1974, n.3, Liviana Editrice
[Torino 14-17 maggio 1976© v.s.gaudio]

da: Esercizi d’arte torinesi © 1975-82