SIEGFRIED ANZINGER - ARCADIA VELENOSA
di Stefano Castelli
È decisamente suggestivo vedere Siegfried Anzinger alle
prese con il disegno. Se ne
può avere un'idea guardando il video realizzato in
occasione della sua personale al
Bankaustria Kunstforum di Vienna, tenutasi nel 2014. La
notevole velocità della mano
coincide con una postura estremamente disinvolta;
l'efficacia e l'intensità del tratto
sono immediatamente finalizzate all'idea della
composizione complessiva.
Si potrebbe pensare dunque alla componente dell'istinto
come elemento
fondamentale nello stile dell'artista austriaco. Eppure,
le cose stanno in un'altra
maniera.
Sin dagli esordi, la sua opera si pone in maniera
leggermente differente rispetto alla
generale ondata Neoespressionista. In primo luogo, i
pittori di area germanica - in
particolare quelli della seconda generazione - adottano
una poetica più radicale
rispetto ad altre "scuole nazionali". Senza
ricercare archetipi o stati di natura, essi si
dedicano alla decostruzione più totale e criticamente
feroce. Ma anche rispetto ai suoi
connazionali Anzinger diverge leggermente, per un uso più
integrato e ampio degli
strumenti della composizione e dell'interazione tra
disegno e colore.
Nessun eroismo dunque, né muscolarità o volontà di
potenza. La velocità e la
"sregolatezza" del tratto non coincidono con
l'istinto puro. Il processo ideativo e
realizzativo è sì convulso e frenetico («Davanti a un
nuovo quadro sono ansioso come
uno scrittore alle prese con un nuovo romanzo», ha
dichiarato Anzinger), ma è sempre
analiticamente teso all'obiettivo della fulminante
chiusura formale.
Il disegno è una componente fondamentale di questo
processo. Anzinger gli attribuisce
grande importanza, al di là della normale fase di
progettazione dei dipinti («un buon
dipinto è buono perchè contiene la somma delle sue
correzioni», spiega): vi si è
dedicato costantemente, addirittura quasi esclusivamente
per alcuni anni. E
soprattutto il disegno innerva la sua pittura, fungendo da
"scheletro" e facendo da
fondamentale controcanto al colore.
Bisogna accostarsi con cautela ai disegni raccolti in
questa mostra. Gli scenari
apparentemente idilliaci che vi sono raffigurati sono in
realtà anche allusivi, ambigui e
urticanti. Utopia e distopia vanno di pari passo; la
fusione tra figura umana o animale e
paesaggio è decisamente seducente e sensuale ma non priva
di scontri, collisioni e
frizioni. Non si instaura una nuova idealizzata arcadia;
al massimo, uno scenario
definitivamente alternativo a quello che sperimentiamo
nella società ipermoderna.
Commentando sul Corriere della Sera una mostra milanese di
Anzinger nel 1984,
Giovanni Testori scriveva: «Anzinger sembra aver raggiunto
il punto della nevrosi umana
in cui scompaiono, come inservibili o, comunque non
riferibili case, macchine, strade e
ogni altro accidente costituito dall'uomo lungo la sua
storia. [...] Forse quel che resta è
solo una sconfinata pianura [...] le pulsazioni
dell'istintualità più profonda, quella che il
Regime tecnologico non sembra ancor aver divorato». Come
dire che principio di
piacere e pulsione di morte vanno di pari passo (si veda a
questo proposito lo sfrenato
volatile della gouache del 1984), in una radicale critica
dell'esistente sociale, politico e
persino tecnico. Se le parole di Testori sembrano calzare
soprattutto per le opere dei
primi anni Ottanta, rimangono in gran parte adatte anche
per i lavori più recenti.
E quelli di fine anni Ottanta-inizio Novanta, momento dal
quale in gran parte
provengono le carte presenti in questa mostra, segnano un
momento di passaggio
fondamentale, senza smentire quanto fatto fino ad allora.
I soggetti indicano come
strada definitiva quella di un'interazione tra uomo e
natura, tra individuo e contesto. Le
scene diventano maggiormente "di genere", per
raggiungere una paradossale e
beffarda ampiezza simbolica (in anni recenti, le tele
dell'artista conterranno spesso
scene quasi fumettistiche, attingendo anche a "luoghi
comuni" dell'immaginario
popolare come la conquista del West). La linea si fa più
articolata, serpeggiando per
sfuggire ai canoni e agli effetti abituali del disegno,
rendendo sostanzialmente
indistinguibili la ieraticità della linea spezzata e la
dimensione di accoglienza della
linea curva. Alcuni disegni di questa mostra somigliano a
un dipinto in scala ridotta. Altri hanno la
dimensione dello schizzo o dell'appunto visivo. Altri
ancora accumulano sullo stesso
foglio diverse figure, come un campionario o un serbatoio
di forme per il prosieguo del
corpus dell'artista. Una soggiacente tendenza
all'astrazione si manifesta in tutti i lavori,
come una maniera lieve e altamente formalizzata per
introdurre la sparizione dei tratti
più identificabili con l'umano, propri dell'individuo
sereno e incontaminato.
«Il disegno è come la poesia, un’esperienza sensoriale,
bisogna lavorare sulla carta con
uno stile telegrafico», ha detto l'artista. Anche negli
schizzi e nei disegni d'occasione, il
segno rimane efficace; anche quando il soggetto è un puro
pretesto. Ma, d'altronde,
in Anzinger il soggetto è sempre un pretesto. Un'arte
anticelebrativa come la sua non
può permettersi di indugiare nella referenzialità; dunque,
non tende a soffermarsi sul
proprio soggetto e lo esautora così persino del ruolo
minimo di "dittatore" del limitato
spazio dell'opera.
Gli esseri umani raffigurati hanno caratteri abbozzati,
ipotetici, per nulla indipendenti
dal contesto che li circonda. E questo non perché si
tratti di simboli universali o di
"caratteri"; piuttosto, sono forse esseri di un
tempo ulteriore, desolato ma in ultimo
spensierato proprio perchè tutto è già stato perduto.
Gli animali conservano, beffardamente, una maggiore
unitarietà e placida
compostezza. Il paesaggio è invece il vero padrone della
scena, dato che investe
della sua forma (e soprattutto del suo colore) ogni altro
elemento. Ma non si tratta per
nulla di un paesaggio incontaminato, anzi esso è denso di
una storia non decifrabile
per via descrittiva: ha vissuto una storia e le sue
(estreme?) conseguenze. Lo sguardo
che possiamo gettare su di esso è solo culturale.
L'arcadia velenosa di Anzinger non guarda al passato o a
un possibile stato di natura,
ma è piuttosto una visione da letteratura d'anticipazione.
In un futuro indeterminato,
guardiamo noi stessi retrospettivamente. Con tutto il
disincanto dato dall'esperienza e
dal trauma, ma proprio per questo con speranze nuove, libere
e smisurate (ovvero non
misurabili secondo il filtro predefinito della realtà e
dell'attualità).
Nemmeno l'irruenza giovanile sembra più utile. Non per un
classico processo di
ammorbidimento nel corso della carriera dell'artista, ma
anzi perchè l'unico modo per
delineare scenari alternativi è ormai quello di una
contestazione indiretta.
La felicità espressiva rimane comunque grande nei lavori
di Anzinger. Le pulsioni
rimangono in vigore, la sensualità è sempre in primo
piano. E soprattutto non manca
l'ironia. La parodia entra a pieno titolo nel modo
espressivo dell'artista, come
sottolineato in passato da alcuni suoi commentatori. Si
può immaginare un sorriso
beffardo dell'autore una volta finita l'opera, lo stesso
che compare sulle labbra dello
spettatore. Il principale motore di questa componente
ironica è la dimensione del
candore che si affianca all'estrema consapevolezza: il
comico associato al tragico è
sempre una formula vincente, utile sia alla critica
radicale che all'indicazione più
immaginifica di scenari alternativi.
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