"Una giovane donna con un piede vivente orgoglioso. Bello e ovvio, sei anche consapevole delle tue stesse armi, sei ancora inconscio? Le piccole natiche sono carine di principi, le cosce sono sottili ma aderenti, la parte inferiore del corpo è stata appena cancellata da Eros. No, sono già abbastanza erotici! Sembra abbastanza delizioso! Non ti permetterò di allungare la mia mano, così invece estenderesti la Nani! Sono andato casualmente a vederlo erotico, immagino!"
⁞Il piede dell'Enzuvë, la bolina degli Hanzubon ⁞
Il passo è dato dall’orgoglio
del piede, e se non si allunga la mano per i suoi hanzubon, che sono i
calzoncini, che cosa si sta estendendo? Nani? Cosa? Che cosa è inconscio,
allora? Il piede, che è ashi, ed essendo orgoglioso farebbe: hokoritakai ashi;
e anche le cosce sottili e aderenti sono ashi, il passo è ashidori. Stringe e
allarga la bolina. E’ il passo che tira su il (-phi) del visionatore: l’"orgoglio
peyronico" del (-phi) di chi guarda pronto per l’enzuvë vs l’"orgoglio del piede" della figura che va di bolina con gli
hanzubon. Nani? Come? Che cosa? Nan, quanti, quante volte?
L’inseguimento fotografico e l’eclissi della linea
del mondo.
Nell’inseguimento
fotografico nipponico, la figura presa all’istante nella sua allure di quel
momento, in quel posto, così com’è vestita allora, il fotografo-visionatore,
prima, e il poeta-visionatore, dopo, non sa cos’è né dove va: segue la figura
che va e condivide il suo segreto senza saperlo. In virtù di una declinazione
del senso o del non-senso è così che l’esistenza prende forma, grazie alla
deflessione di qualcos’altro. Non abbiamo volontà propria, scrive Jean
Baudrillard, e l’altro non è mai ciò con cui ci confrontiamo secondo la nostra
propria volontà. In sostanza: è l’irruzione di ciò che proviene da un altro
luogo, è la seduzione dell’estraneo e la sua devoluzione. C’è in questi esercizi
singolari alla Mathews, la precessione di tutte le determinazioni venute o
intervenute da un altrove, illeggibili, indecifrabili, in questo caso visibili
nella forma e nella struttura dell’inseguitore autoctono, quello che fissa e
immobilizza l’assolutezza anonima e l’inesorabilità, l’irredentismo
dell’oggetto: l’essenziale è che anche il poeta-visionatore sposi la forma
estranea di quel qualunque oggetto, di quel qualunque essere fortuito, che
necessariamente è stato seguito da qualcun altro: oggi che ognuno di noi perde
le proprie tracce, disse sempre Baudrillard, è assolutamente urgente che
qualcuno si metta sulle nostre tracce, anche se così facendo le cancella e ci
fa sparire; è un modo complice di scomparsa, una forma di obbligazione simbolica
quella che è stata giocata, una forma enigmatica di connessione e di
sconnessione. La devoluzione come etica implica una filosofia della
sottigliezza; la sottigliezza è l’artificio fondamentale: il visionatore, e
anche la figura, vive dell’energia, o meglio: dell’esserci, che viene
sottilizzato agli altri, al mondo: si vive di questa energia surrettizia, di
un’energia rubata, forse anche sedotta, e anche l’altro, quella figura
inseguita, esiste solo grazie a questo movimento indiretto e sottile di captazione,
di seduzione, di devoluzione. Questo altro, quando appare, e qui è afferrato e
fotografato, detiene in un solo istante tutto ciò che non ci sarà mai dato di
sapere. È il luogo del nostro segreto, questo altro è il luogo della vertigine,
dell’eclissi, dell’apparizione e della sparizione. Tra artificio e altro
seguito e circoscritto, questo stesso exinscriversi nella figura dell’Altro, e
farne un piacere singolare, nella forma strana venuta da un altro luogo. La
corsa-inseguimento diabolica dell’oggetto, che è l’orizzonte della mia
scomparsa. La ricerca in potenza dell’alterità radicale, ma per il piacere e il
gaudio fatto nel proprio oggetto “a”, a ogni passaggio al proprio meridiano,
l’oggetto come attrattore strano quando appare al visionatore non è che l’analemma
esponenziale del suo oggetto “a”.