Una chota di
Albidona e il gioco della Tigre a Ushuaia ◊
La posa del caffè e la
psicanalisi 52
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In A3 e C3 vanno sistemate le tigri, tra ascendente e discendente... |
Nel Bengala, questo
mi disse mio Nonno sul finire degli anni sessanta, lo schema del gioco della
tigre è un quadrato, diviso a sua volta in 16 quadrati tagliati diagonalmente.
Nei punti di intersezione
delle linee vengono sistemate le pedine, che possono essere spostate da un
punto all’altro della scacchiera, sempre seguendo le rette segnate.
Lo giocavo in due,
anche ad Ushuaia: uno riceve due pedine, che sono le tigri; l’altro venti
pedine, che sono le capre.
Spesso l’ho giocato
con Aurelia, che, a volte, voleva le due pedine e le tigri.
Le tigri vanno
sistemate in A3 e C3, che sono i punti nodali, i punti
centrali dei rombi dell’est e dell’ovest.
Le capre, in gruppi
di 5, vanno messe in B2, B4, D2, D4.
B2 e B4 sono i punti nodali dei rombi del sud e del nord,
medio cielo e fondo cielo.
Le tigri mangiano
le capre saltando loro sopra, purché l’incrocio seguente, sulla stessa linea
retta, sia vuoto; Aurelia perciò, che aveva spesso le capre, doveva perciò fare
in modo da accerchiare le mie tigri, per non farle spostare. Comunque, le sue
capre non potevano mai prendere le mie tigri.
Aurelia cominciava
sempre lei a giocare, perché aveva le capre: prendeva una delle pedine qualsiasi
dai quattro punti indicati e la spostava, un passo alla volta; poi spostavo la
tigre, se mangiavo la capra avanzavo di due posti.
Se saltavo sopra un
gruppo delle 5 capre, solo 1 ne potevo mangiare, e Aurelia era soddisfatta,
perché voleva che tornassi a mangiare tutte le altre capre.
Noi non lo
chiamavamo “Bagh-Bandi”, come lo chiamavano in India e a Ceylon. Giochiamo alla
Tigre, o alle tigri, se volevamo che fossero 4 le tigri: “el juego del tigre” ;
le capre, las cabras, potevano essere minimo 7 e massimo 32, tanto potevano
essere anche come chotas, e Aurelia non era che una chota(1), inconfondibile: una
chota di Albidona a Ushuaia! A volte invece delle capre, via: Aurelia metteva
delle vacche o delle porche: vacas, anche putas, senza mezzi termini, y perras:
una perra francoprovenzale a Ushuaia! E le pedine, certe sere infinite,
entravano una alla volta in gioco, invece di essere disposte già fin dall’inizio
sulla scacchiera. Una puta, una perra(2), una vaca, una chota…
Una volta dissi a mio nonno che le tigri,
nei punti nodali dei due rombi, stavano nell’intersezione del desiderio e dell’angoscia,
un po’ come nel rombo di Lacan. E Aurelia, allora? Mi chiese mio Nonno.
Nei punti vuoti del Super-io, o dello stato cosiddetto dell'Adulto di Eric Berne, tra il tuo
oggetto “a” e l’analemma esponenziale
di questo oggetto “a” così come in
quel gioco e in quel momento, in quella fase, lei lo faceva passare al Medio
Cielo del tuo meridiano. Era un gioco sado-orale, inequivocabile, a volte,
quando si procedeva a rilento, con un’aggiunta sado-anale.
La tua pulsione “s”, anche quando volevi dare e
proteggere, sotto l’apparente strato di umiltà, questa muove l’erotismo sadico
della tigre.
La sua pulsione “d”, quel
suo erotismo anale, tra fedeltà e cupidità, e feticismo, quel suo bisogno di
collezionare tigri o di farsi capra o vacca senza freno e misura(3).
(1) Cfr.
loc. Estar como una chota: "essere matto come un
cavallo". Ma non si tenga sotto senso il "choteo" che è
lo "sfottò", la "presa per i fondelli" e, naturalmente, lo
schema verbale "chotear": fam: burlarse de, "sfottere".
(2) Da
qui, sempre fam, Mio Nonno arrivava spesso alla cosiddetta "chucha",
che allittera nel nostro dialetto la "ciuccia" che viene
dall'Albidona) ed è, in spagnolo, laggiù a Ushuaia, semplicemente
"bastarda".
(3) D'altra
parte, Aurelia, in quanto "chota", allitterava, al tuo
orecchio, dissi a Mio Nonno, "pota", come se fosse il
femminile di "pote", pentola o casseruola che fosse se non vasetto,
non ti veniva spesso dire riferendoti a lei: "aquella pota de
miel", col lapsus: "aquella puta de miel" ?
Fin'anche, di converso, a "chota de miel"...