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Il mondo non è banale? ░ Il linguaggio conveniente del Sublime Prefetto

¨ Sutta  (vedico: s ū tra; letteralmente: filo * ) del linguaggio conveniente del Sublime Prefetto ** Mia Nonna dello Zen così ha udito: una volta dimorava il Sublime Prefetto presso la Basilica di Sant’Antonio, nel codice catastale di Padua. E il Sublime così parlò: “Quattro caratteristiche, o mio bhikkh ū *** , dirigente dell’area del decreto di espulsione e dell’accoglienza e dirigente anche dell’area degli enti locali e delle cartelle esattoriali e dei fuochi d’artificio fatti come Buddho vuole ogni qualvolta che ad esempio si dica “cazzo di Buddha” o anche “alla madosca” o “gaudiosissimo pelo”, deve avere il linguaggio conveniente, non sconveniente, irreprensibile, incensurabile dagli intercettatori; quali quattro? Ecco, o mio dirigente che ha distrutto le macchie: un dirigente d’area parla proprio un linguaggio conveniente, non sconveniente, un linguaggio conforme alla Dottrina del Governo, non in contrasto con essa, un linguaggio gradevole, non sgradevole, un lin...

Carlo Pava ✒ contrattacco disarmato 9

 
Carlo Pava
contrattacco disarmato
1973
9
schedature discontinue

Nel momento in cui le ideologie arrivavano al culmine del successo in termini di consenso si smetteva di ritenerle incontestabili, non ci si credeva più. Nel racconto continuato in procinto di iniziare un seguito sconclusionato, dettato dalla fantasia senza potere di sorta, quando il Partito Comunista Italiano, la sinistra egemone, stravinceva le elezioni politiche, ne approfittava per sottrarsi al diritto-dovere di formare un governo, con le argomentazioni da azzeccagarbugli sbandierate dai mass media, dalla TV in primis, preferendo restare all’opposizione compagnona. Di sicuro, la gatta ci covava, chissà in quali altri misteri all’italiana ci trovavamo a nostra insaputa, ridendo e scherzando, prima e dopo la strage di Piazza Fontana a Milano nel 1969. Gli studiosi stessi lo ammettevano: nella storia, dalla seconda guerra mondiale in poi entravano in lizza e nell’egemonia gli USA e la CIA con gli intrecci della Mafia e dello Stato. Ma nemmeno la massoneria scherzava. E la polizia schedatrice all’erta e in azione. 

A noi cittadini comuni, con o senza l’animo bruciato, restavano solo gli sprazzi dei rapporti interpersonali,  l’agit prop dei movimenti di liberazione civile nella nebbia libertaria, le intuizioni degli ingenui come un lampeggiare stentato durante le conversazioni. Un esempio: chiacchieravo con una giovane signora, più o meno una coetanea, una professoressa conosciuta nella sede, con altri dell’ultra-sinistra, ci andavo a proporre i progetti di disseminazione creativa dettati dalle intuizioni, mescolando la letteratura e l’arte visiva e l’avanguardia, memore dell’epoca d’oro di Vladímir Majakóvskij, del futurismo russo, del dadaismo, di John Heartfield, e così via con la compagnia cantando. Mostrandomi entusiasta, forse accennavo con esagerazione all’adesione in rima, sottolineando in contrapposizione lo scarso impegno di molti: sembravano stanchi. Lontanissimo, già, il Maggio Francese. Notavo il suo sorrisino di conferma e di presa in giro, le sue parole: “Sì, effettivamente, nemmeno io”. Una capetta del gruppo extra-parlamentare per entrare nella carriera politica intesa come l’affarismo della post-modernità: stipendi altissimi, pensione stra-anticipata, un ventaglio ampio di privilegi, vitalizi in aggiunta, visibilità in TV in ogni ora del giorno, giorno e notte. Ti mettevi in prima linea per segnalarti a chi ti osservava da vicino e così venivi invitato a inquadrarti nel compromesso.

Giancarlo Pavanello
appunti verbo-visivi

Il fratello della militante stanca ma intenzionata, comunque, a dedicarsi alla politica, entrambi di recente residenti in città: un seguace del Fronte Unitario Organismi [viventi] Rivoluzionari Italiani e di Aroldo X [Franz], suo frequentatore, il suo adepto più papista del papa. Manteneva un’espressione dura, rigida, come una maschera. Mentre il capo, comunque, sapeva mostrarsi cordiale e sensibile, durissimo solo con i signorini Duchampiani, i Disimpegnati del Teatro dediti unicamente alla droga e ai vestiti alla moda, in stile hippy perbenino con allusioni al freak pulito. Un’impressione negativa senza un perché, mi innervosiva il modo di parlare troppo serioso, non mi piacevano le sue domande spigolose come il volo di un pipistrello esule nella luce del sole, indagava registrando tutto per un resoconto o una informativa e per di più con l’aria innocente finalizzata ad attizzare il senso di colpa dell’interlocutore già incline di suo alla paranoia continua, senza dubbio fondata.

Cominciava ad apparirmi ingenuo il credere in qualcosa nell’epoca dell’individualismo sfrenato e disgregatore, nel contempo e dall’interno delle varie coralità di massa, dei collettivi, dei gruppi, delle associazioni, dei partiti. La solitudine predestinata in ogni essere umano. Perfino i preti della Chiesa Cattolica dubitavano della loro religione, nella vita quotidiana e durante le messe, durante le omelie. La vittoria delle femministe veniva esaltata finché duravano le lotte per la conquista dei diritti in parità con i signori uomini, le giustissime rivendicazioni, ma poi. E infatti, anticipando, negli anni ottanta.

La ruota girava. I tempi cambiavano quando davano inizio a un nuovo corso nella coincidenza degli opposti, scendere dall’autobus, attendere la corrispondenza, proseguire un itinerario senza meta. Scrivevo: “Come fare per avvicinarsi all’infinito?”. Balenava l’immagine della morte, a volte cinicamente trattata con un linguaggio volgare per partito preso, il turpiloquio molto diffuso dopo il 1968, un po’ del seguente tenore: così è la vita … una pisciata ed è finita”.

La classe operaia, gli operai divi, quindi l’orgoglio dei poeti operai, degli scrittori di denuncia, sbandierati come tali, a proposito e a sproposito. Il doppio gioco, volendolo e controvoglia in assenza di certezze o durante il franamento delle convinzioni. Cosa fare di giusto? Sapendolo… lo facevo [lo avrei fatto]. Sempre. Sempre? Intanto, in preda al panico, temevo una grande sciagura incombente. Una giornata cupa di febbraio, il cielo nuvoloso e minaccioso, all’interno del mio studiolo osservavo la tenda traforata, rossa, pensando alle parole di uno psicologo nell’interpretare lo stato d’ansia in cui mi trovavo, isolato, osservato e circuito dalle spie, un incubo da sveglio. Annotare su un quaderno in vista degli approfondimenti futuri quando, decenni e decenni dopo, la politica omologata in peggio, non più al primo posto, in prima linea, gettava l’ombra della morte su qualsiasi velleità di emersione.

Ci girava intorno Fausto X [Franz] al bar Sans Souci, lo intravedevo in sede, in una piccola città ci si conosceva un po’ tutti di vista. Pioveva. Seduti a un tavolo, all’interno, ci si presentava un po’ meglio: un vicesegretario della CGIL. I giovani ignoravano questa sigla: Confederazione Generale Italiana del Lavoro. Riferiva, quasi un avvertimento deciso dalla mia fama circoscritta, un fatto da fonte diretta: un giovane insegnante licenziato perché frequentava gli allievi fuori dalla scuola. Raccontando con una iniziale reticenza per sondare il terreno dell’interlocutore, per adocchiarne l’espressione, il tic, il linguaggio del corpo, i pensieri reconditi e inespressi, l’auto-tradimento. Il trend, infatti, privilegiava l’uso del tu fra operai e padroni, fra studenti e professori, tutti compagni, quindi con la possibilità di mettersi sullo stesso piano nel corso della vita quotidiana, nell’arco della giornata privata e pubblica. Ma, si sa, la salita esigeva la discesa: raggiunta la cima … volenti o nolenti bisognava ridimensionarsi in giù, smammando verso il basso. Accadeva perfino nel settore letterario e negli ambienti delle arti visive: per ossigenarsi e riposarsi un autore si immergeva nel verde delle dolci alture fra i prati e i boschi, aspirando all’Arcadia, contento di sé per i risultati conseguiti, gratificato, comunque autocritico e pronto a riprendere dopo una pausa salutista in cerca di ulteriori miglioramenti, da atleta perfezionista. Il momento giusto per fargli uno sgambetto, togliendogli le arie per cercare di asfissiarlo [non solo gli amici generici o i compagni di strada, anche gli editori-autori, anche i galleristi-autori, il fatturato la prima legge, il primo comandamento]. A meno che non venisse reclamizzato in TV e/o nelle terze pagine, per intercessione divina, allora sì, per opportunismo lo si esaltava per scroccare il merito della sua vicinanza, ammiratori e sodali.

Ci girava intorno Fausto X [Franz], dichiarandosi d’accordo con il provvedimento disciplinare: la cessazione del rapporto di lavoro [per sempre]. Quello, malgrado i meriti della sua preparazione universitaria, chiacchierava con gli studenti perfino a casa, alcuni andavano a trovarlo per imparare qualcosa di extra-curriculare, ma cosa precisamente lo si poteva solo immaginare … e, si sa, non sempre la propria mente veniva tenuta pulita e sanificata. Non si vestiva bene [da mezzo hippy sul serio]: credeva nella propria professione, inviso ai colleghi e in particolare alle colleghe, curiose e sospettose. Il prete, poi, combattivo, lo detestava, Gesù Cristo e Maria Maddalena, d’accordo, testuale nei vangeli non apocrifi, ma gente come quella no, Sodoma e Gomorra di sicuro, città aperte, la distruzione prevista dalla Bibbia.

Un giorno il sacerdote prof di religione gli si sedeva vicino in assemblea sfidando il rischio dell’appestamento, ostentando un opuscolo delle Edizioni Paoline contro gli stupefacenti, lo rigirava davanti e dietro per invogliarlo a leggiucchiare la quarta di copertina [di fatto si decifrava benissimo “la droga… il male peggiore dei nostri tempi”], quasi glielo metteva sotto il naso costringendolo alla forma del collotorto: insomma, un’accusa indiretta, una provocazione per innervosirlo e scatenare un dibattito sull’inopportunità della presenza nel corpo insegnante di docenti dalla dubbia moralità. Agire subito prima di immetterlo in ruolo, poi troppo tardi, nessuno lo estirpava più, il cancro restava, la metastasi continua. L’anticonformismo coincideva con l’onestà della libertà di pensiero e di espressione?

Alla fine ci riuscivano a incastrarlo con un pretesto, non si sapeva come, d’accordo all’unanimità, anche Fausto X [Franz], ma il sindacalista moderato di estrema sinistra a malincuore, avrebbe preferito evitarlo, con allusioni e preavvisi centellinati per raddrizzarne l’eccentricità: infatti, qualcuno lo tentava, toglievano la chiave del suo cassetto in Sala Insegnanti, seminavano zizzania nelle aule riuscendo a creare un clima di ostilità [bastavano poche parole buttate là ogni tanto, una smorfia, un ammiccamento, un gesto], durante gli scrutini dichiaravano “non normale” un suo allievo potenzialmente corruttore della gioventù [ossia dei compagni di classe e degli insegnanti].

un salice piangente sempre verde
Tramortito dal racconto, ammutolito, là nel bar Sans Souci mi riusciva un commento stentato e in apparenza fuori tema, una citazione inappropriata o comunque non ne conoscevo l’autore, una dichiarazione assomigliante a un aforisma del Piccolo Grande Uomo: tutti matti e niente era importante. La professoressa capetta della fronda per il ripristino della moralità pubblica, rinsecchita ma tenuta bene con le cure estetiche e la parrucchiera, del tipo Liceo di dietro e Museo davanti, la moglie di un noto e ricco professionista del loco, lo detestava al massimo grado da quando appariva chiaro il totale disinteresse del professorino mezzo hippy e molto carino in rima, a tempo indeterminato, gentile per giunta, adatto a qualsiasi tipo di corteggiamento: nicchiava, si defilava, nemmeno un minimo di amore platonico da salotto, un flirt da cicisbeo come scena per passatempo, una festa galante nel grigiore di un edificio scolastico. A parte il suo peso politico in città travasato dal consorte: snobbata in cambio della sua iniziale simpatia di sinistra, un affronto, un tradimento, un’ingratitudine. Vendetta.

il giorno: un bersaglio colpito
La rivoluzione alternativa. Scolarizzare o non scolarizzare. Nella disillusione totale, non si prendeva sul serio nemmeno se stessi, potendo … non si arretrava di fronte alla prospettiva di farsi gli sgambetti da soli. Dallo slogan “amo la lotta di classe più di mia madre” al riflusso dell’arrembaggio sulla scena sociale, dal riunirsi in assemblea a discutere l’o.d.g. di giornata al relax dello spritz nell’assembramento della movida, a poco a poco nel corso di un quarto di secolo, e intanto gli anni passavano, si invecchiava, per i più avveduti la soluzione stava nell’esplosione psichedelica, il vero cambiamento del semi-misticismo multicolore, fortunato chi ci credeva, meglio di niente. Restava, comunque, un chiodo fisso: dimenticare la vita, la speranza, l’essere nel mondo.


La mia strada segnata, schedatura dopo schedatura. Ma nessuno mi costringeva a percorrerla. Inconcludente la danza circolare dei dervisci fra quella rete di binari interrotti, il ritorno all’innocenza e alle belle speranze del passato, quando compravo i dischi di Elvis Presley della prima ora, i 78 giri, con la paghetta, quando non esisteva il seguito. Ormai tutto stava fra un pubblico in cui trascorrevo senza scopo i percorsi ripetuti, assieme a tante persone con lo stesso nome, con le loro attività diversificate per modo di dire, raccontando menzogne come quando si chiacchierava con gli sconosciuti nello scompartimento di un treno [e poi chi s’è visto s’è visto].

Un professore texano, Jerry X [Franz], un sedicente [aggettivo con valore di sostantivo per licenza poetica], conosciuto chissà in quale occasione in quella città turistica, là per qualche giorno, all’inizio di marzo, non ancora in primavera ma con belle giornate limpide e soleggiate, tanto da permetterci un’escursione con la motonave di linea fino a Punta Sabbioni, un aggancio con un giovane stanziale preso in considerazione e in simpatia come fonte di informazioni casuali da riferire in una cronaca segreta. Insegnava in un campus di Vicenza, diceva, come credenziali accennava a un attore-regista parigino abbastanza legato al cosiddetto teatro dell’assurdo, del tipo della “cantatrice calva” di Eugène Ionesco, tanto per capirci a volo. Lo conosceva di persona: Nicolas Bataille. No, Georges Bataille sì, invece, letto qualche suo libro, tutt’altra storia.

Alla Locanda della Pace non c’era, appena uscito [chissà, in missione], diceva la madame alla reception, sgarbata, in tutta evidenza lo inquadrava meglio di me e mi considerava un escort, allora gli lasciavo un biglietto con una comunicazione. Il giorno dopo, infatti, in partenza, mi telefonava per confermare l’appuntamento per il sabato successivo, mi aspettava per trascorrere assieme un week-end.

A Vicenza, sceso dal treno per recarmi alla base di Jerry X [Franz], avviava una conversazione un aviere di Salerno, diceva, quelli i tempi del servizio militare di leva e i ragazzi andavano a diporto in divisa, un’esperienza giovanile. Insisteva, seduti su una panca di marmo lungo il binario 1 un po’ discosti dall’uscita principale, non tenendo segreto un approccio da marchetta [“semi-marchettaro” nel diario], in termini secchi. Ma rifiutavo. Le donne non ci stavano e voleva sfogarsi, raccontava, il farsi pagare costituiva un alibi come accadeva per i padri di famiglia e per i piccoli imprenditori, per arrotondare, pensavo, cominciavo a capirlo perfino io [ego], un ritardato, lo ammetteva. Cinquecento lire di paga al giorno non bastavano, del resto così anche nella vita civile, faceva il muratore. In tutta probabilità disposto a passare all’azione gratis in uno spazio adatto, al chiuso o outdoor. La sua seconda volta abortita [con me] restava la prima esperienza, dovevo andare, provava [aveva provato] con uno di 23 anni, a casa sua, dopo la danza … cinquemila lire.

Una bella somma per una seduta, lo affermavo con competenza, sembrava, quindi mi chiedeva se lo facevo anch’io. Gli davo del borghese, da militare, con la sua paura del giudizio degli altri post-sessantotto: temeva il sarcasmo dei compagni di caserma, della camerata, dove manteneva una rigida doppia vita, in libera uscita ufficialmente a “puttane”, ignorando lo sguardo del potere mentre ci illuminava in un fascio di luce per permettere di schedarci tutti dal primo all’ultimo, nel campo dei costumi e della politica. Gli raccontavo aneddoti per i pimenti cerebrali, tanto per chiacchierare mettendomi sullo stesso piano nella democrazia privata della vita quotidiana, e in particolare mi soffermavo sul recente atto mancato del trio con Lucio X [Franz], fisicamente deperito per auto-punizione e soprattutto per sottrarsi a un’esperienza conturbante, di per sé banale e alla portata di tutti. Suvvia, lo sapevano bene i sociologi e gli psicologi cosa succedeva nelle concentrazioni  protratte nel tempo o coatte della popolazione maschile: ambienti sportivi, fra militari, fra detenuti, non solo nella letteratura ma anche nella concretezza esistenziale. Accidenti, questi discorsi lo eccitavano, gli tirava più di prima.

gli amici sono come i vestiti
Conoscere significava vivere la propria vita e quella degli altri, nell’empatia. Immedesimarsi nel prossimo ignorando la nozione della diversità, solo così veniva abolito il tiro al bersaglio, gli opposti sfumavano fino a scomparire: morire e rinascere ogni giorno, il sole, la luna, il giorno, la notte, le immagini della natura in un nuovo paradiso terrestre. Ma non per abolire il proprio io [ego], anzi, potenziandolo [in quell’epoca di formazione], infine sfumandolo nel contrario nella vacuità del linguaggio verbale troppo inflazionato una volta raggiunta una parvenza di saggezza e nella vecchiaia un brusco e decisivo cambio di rotta nel resoconto retrospettivo, nel racconto. Intanto i buffi enunciati in una pagina del quaderno a righe: “Evitare l’erotismo metafisico. Sensualità e corposità della frase poetica. Aderenza alla realtà immediata”.

Tuttavia gli aspetti più sgradevoli prendevano il sopravvento, soverchiando l’afflato lirico della Musa Ferita. Si faceva tardi e salutavo l’aviere di Salerno per presentarmi nella base militare dove Jerry X [Franz] mi aspettava in un alloggio a sua disposizione [con licenza di ricevere visite], un americano che più americano non si poteva, una ventina d’anni più di me, un sedicente professore texano, un avventuriero in giro per il mondo a scattare foto-ricordo degli amici occasionali sia di fronte sia di profilo.

Rimossi i dettagli dell’avventura, dall’alto del 2088. Un “disgustoso week-end”, scrivevo. “Troppo faticoso un rapporto”. Non sapevo perché mi ostinavo a imbarcarmi in episodi con le persone sbagliate, tutto da dimenticare, annotavo: “un’esistenza squallida, grigia, monotona”. Quello là, cosmopolita, viaggiava in tutte le colonie USA e della NATO, in particolare europee, e altrove, dovunque ci fosse qualcosa da osservare, da tenere sotto controllo e da spiare, persone e cose: schedature discontinue, costumi e politica, opinioni e gesta. Bastava togliergli di dosso l’aria mondana, lo spirito parigino d’accatto, la conversazione brillante, ossia la maschera, e restava un ometto cinico e baro [un omone alto e robusto un po’ flaccido], dedito a una professione segreta a tempo pieno. Rimpiangevo l’opzione del rifiuto, non accettando l’invito, dovevo smammare quella sera stessa ma restavo inchiodato per timidezza. Una lezione inedita, forse, o chissà, i precedenti casi … passati inosservati.

Cominciavo a maturare una forma di antipatia generica verso “quegli” ambienti del doppio gioco, della doppia vita, e della mentalità da ninfomani al maschile, definiti “organismi viventi”: sia chiaro, non a livello individuale, a tu per tu mantenevo un atteggiamento di rispetto, per la giustizia sociale, per la libertà, per i diritti civili da riconoscere a tutti gli esseri umani, in una sequela di clichés. A costo della retorica spicciola da uomo della strada e delle frasi fatte, lo ribadivo una volta per tutte, per non dichiararlo nell’immediato seguito e dopo, quando già apparivano in nuce le sfuriate indirizzate ad personam [analogamente al caso delle donne e in particolare delle signore femministe], semmai in stretta osservanza psicologica, in calzante visione personale derivante dall’osservazione empirica. Insomma, riassumendo: ginofobia, antropofobia, nelle loro tante facce caleidoscopiche, esclusivamente con finalità narrative.

Mi sentivo “comprato” come una prostituta, come secondo quanto si leggeva nella recente storia della seconda guerra mondiale, con la “liberazione” da parte degli Alleati giustamente in soccorso di una popolazione stremata dal fascismo, dalle tragedie belliche, dalle privazioni, con un tornaconto: l’induzione alla dipendenza e la colonizzazione. Da parte mia, però, si trattava solo di un’acerba frivolezza immersa in una pulsione creativa nei cambiamenti politici paventati, quelli della sinistra attratta dal blocco sovietico, ambiguamente potenzialmente nemica del Patto Atlantico, con le sigarette, le tavolette di cioccolata in rima e il boogie-woogie. In tale direzione la mia dimestichezza restava minima, irrilevante, e per questo motivo l’avventura abortita un po’ mi indispettiva, insufficiente per una conoscenza approfondita [vissuta in prima persona, un vero e proprio lavoro part time o a tempo pieno] che mi avrebbe permesso di cimentarmi nel genere “spy story” o “thriller” o “giallo”. Tutti schedati: distinguersi particolarmente in un dato contesto, in un ambiente, apriva la porta a chi, avvicinato in segreto e lusingato dai bonifici misteriosi, aspirava a collaborare nell’ombra parallelamente segnalando alle spalle i propri amici e i propri compagni più in vista. Il ladro di polli, magari incastrato più volte dalla polizia, conosceva i colleghi del settore dei furtarelli nelle fattorie. L’habitué dei ritrovi degli “organismi viventi” [in tutta la gamma, dalla travesta al macho baffuto in leather stile Tom of Finland], sia individualisti sia organizzati in movimenti d’opinione, se beccato per qualche piccolo misfatto o per un’infrazione più eccentrica del solito, serviva come esperto [a condizione di dimostrarsi un furbetto matricolato, “intelligente”, in grado di sostenere il doppio e il triplo gioco]. E così via: le associazioni, i gruppi politici, i falsari, i collezionisti dediti al mercato delle copie e delle sottrazioni indebite dai musei, i pedofili, i criminali di varia natura e di varia gravità. Per tutti i conoscitori l’impunità alla 007: si poteva fare quello che si voleva se portavano ai risultati concreti.

Non avevo la stoffa di un Pitigrilli [Dino Segre], scrittore di grande successo, nel sorriso mondano delatore e schedatore in rima per conto dell’OVRA, la polizia politica fascista, ridimensionato negli anni successivi malgrado le trasmissioni televisive in cerca di riscoperte e di riabilitazioni, nell’epoca del riflusso e dello sbracamento ideologico e culturale, letterario e artistico. Mi sentivo inetto al massimo grado nelle attività delinquenziali [e nel contrario]: non osavo nemmeno pensarlo. Ricordando il caso di Lucky Luciano: un criminale pluri-pluri-omicida scarcerato a cura dei “servizi segreti” per aiutare gli Alleati a sbarcare in Sicilia con l’appoggio della mafia, l’intreccio “guardie e ladri”, gli attentati e la ricompensa top secret.

Tuttavia, malgrado l’innocenza, mi sentivo “bacato, marcio”, così scrivevo nella prima riga in alto di una pagina di quaderno a righe, a causa della vicissitudine della vicinanza di un avventuriero. Desideravo “lottare” in un partito per la giustizia sociale e nello stesso tempo mi riconoscevo disadatto, un circolo vizioso vorticante intorno all’idea fissa dell’“accumulare esperienze-detriti” da buttare in un cassonetto della spazzatura [a dire il vero, ripensandoci, sembrava carino il progetto di uno studio dell’arredo urbano dell’epoca, dei primi anni settanta, l’estetica dei bidoni della monnezza, una ricerca per disegnare o approntare la scenografia di un film]: però non accettavo e non venivo accettato, i miei volantini con gli slogan d’artista ritenuti inadatti alla dura legge della militanza, la rivoluzione non si faceva con i ricami e i merletti. E basta con gli intellettualismi, affermavano: fare, agire, sebbene il personaggio nascondesse un brutto carattere in un’apparenza gentile, o viceversa?