Carlo
Pava
contrattacco
disarmato
1973
✒9
schedature discontinue
Nel momento in cui le ideologie
arrivavano al culmine del successo in termini di consenso si smetteva di
ritenerle incontestabili, non ci si credeva più. Nel racconto continuato in
procinto di iniziare un seguito sconclusionato, dettato dalla fantasia senza
potere di sorta, quando il Partito Comunista Italiano, la sinistra egemone,
stravinceva le elezioni politiche, ne approfittava per sottrarsi al
diritto-dovere di formare un governo, con le argomentazioni da azzeccagarbugli
sbandierate dai mass media, dalla TV in primis, preferendo restare
all’opposizione compagnona. Di sicuro, la gatta ci covava, chissà in quali
altri misteri all’italiana ci trovavamo a nostra insaputa, ridendo e
scherzando, prima e dopo la strage di Piazza Fontana a Milano nel 1969. Gli studiosi
stessi lo ammettevano: nella storia, dalla seconda guerra mondiale in poi
entravano in lizza e nell’egemonia gli USA e la CIA con gli intrecci della
Mafia e dello Stato. Ma nemmeno la massoneria scherzava. E la polizia
schedatrice all’erta e in azione.
A noi cittadini comuni, con o
senza l’animo bruciato, restavano solo gli sprazzi dei rapporti
interpersonali, l’agit prop dei
movimenti di liberazione civile nella nebbia libertaria, le intuizioni degli
ingenui come un lampeggiare stentato durante le conversazioni. Un esempio:
chiacchieravo con una giovane signora, più o meno una coetanea, una
professoressa conosciuta nella sede, con altri dell’ultra-sinistra, ci andavo a
proporre i progetti di disseminazione creativa dettati dalle intuizioni, mescolando
la letteratura e l’arte visiva e l’avanguardia, memore dell’epoca d’oro di Vladímir Majakóvskij, del
futurismo russo, del dadaismo, di John Heartfield, e così via con la compagnia
cantando. Mostrandomi entusiasta, forse accennavo con esagerazione all’adesione
in rima, sottolineando in contrapposizione lo scarso impegno di molti:
sembravano stanchi. Lontanissimo, già, il Maggio Francese. Notavo il suo
sorrisino di conferma e di presa in giro, le sue parole: “Sì, effettivamente,
nemmeno io”. Una capetta del gruppo extra-parlamentare per entrare nella
carriera politica intesa come l’affarismo della post-modernità: stipendi
altissimi, pensione stra-anticipata, un ventaglio ampio di privilegi, vitalizi
in aggiunta, visibilità in TV in ogni ora del giorno, giorno e notte. Ti
mettevi in prima linea per segnalarti a chi ti osservava da vicino e così
venivi invitato a inquadrarti nel compromesso.
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Giancarlo
Pavanello
appunti
verbo-visivi
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Il fratello della militante
stanca ma intenzionata, comunque, a dedicarsi alla politica, entrambi di
recente residenti in città: un seguace del Fronte Unitario Organismi [viventi]
Rivoluzionari Italiani e di Aroldo X [Franz], suo frequentatore, il suo adepto
più papista del papa. Manteneva un’espressione dura, rigida, come una maschera.
Mentre il capo, comunque, sapeva mostrarsi cordiale e sensibile, durissimo solo
con i signorini Duchampiani, i Disimpegnati del Teatro dediti unicamente alla
droga e ai vestiti alla moda, in stile hippy perbenino con allusioni al freak
pulito. Un’impressione negativa senza un perché, mi innervosiva il modo di
parlare troppo serioso, non mi piacevano le sue domande spigolose come il volo
di un pipistrello esule nella luce del sole, indagava registrando tutto per un
resoconto o una informativa e per di più con l’aria innocente finalizzata ad
attizzare il senso di colpa dell’interlocutore già incline di suo alla paranoia
continua, senza dubbio fondata.
Cominciava ad apparirmi ingenuo
il credere in qualcosa nell’epoca dell’individualismo sfrenato e disgregatore,
nel contempo e dall’interno delle varie coralità di massa, dei collettivi, dei
gruppi, delle associazioni, dei partiti. La solitudine predestinata in ogni
essere umano. Perfino i preti della Chiesa Cattolica dubitavano della loro
religione, nella vita quotidiana e durante le messe, durante le omelie. La
vittoria delle femministe veniva esaltata finché duravano le lotte per la
conquista dei diritti in parità con i signori uomini, le giustissime
rivendicazioni, ma poi. E infatti, anticipando, negli anni ottanta.
La ruota girava. I tempi
cambiavano quando davano inizio a un nuovo corso nella coincidenza degli
opposti, scendere dall’autobus, attendere la corrispondenza, proseguire un
itinerario senza meta. Scrivevo: “Come fare per avvicinarsi all’infinito?”.
Balenava l’immagine della morte, a volte cinicamente trattata con un linguaggio
volgare per partito preso, il turpiloquio molto diffuso dopo il 1968, un po’
del seguente tenore: così è la vita … una pisciata ed è finita”.
La classe operaia, gli operai
divi, quindi l’orgoglio dei poeti operai, degli scrittori di denuncia,
sbandierati come tali, a proposito e a sproposito. Il doppio gioco, volendolo e
controvoglia in assenza di certezze o durante il franamento delle convinzioni.
Cosa fare di giusto? Sapendolo… lo facevo [lo avrei fatto]. Sempre. Sempre?
Intanto, in preda al panico, temevo una grande sciagura incombente. Una
giornata cupa di febbraio, il cielo nuvoloso e minaccioso, all’interno del mio
studiolo osservavo la tenda traforata, rossa, pensando alle parole di uno
psicologo nell’interpretare lo stato d’ansia in cui mi trovavo, isolato,
osservato e circuito dalle spie, un incubo da sveglio. Annotare su un quaderno
in vista degli approfondimenti futuri quando, decenni e decenni dopo, la
politica omologata in peggio, non più al primo posto, in prima linea, gettava
l’ombra della morte su qualsiasi velleità di emersione.
Ci girava intorno Fausto X
[Franz] al bar Sans Souci, lo intravedevo in sede, in una piccola città ci si
conosceva un po’ tutti di vista. Pioveva. Seduti a un tavolo, all’interno, ci
si presentava un po’ meglio: un vicesegretario della CGIL. I giovani ignoravano
questa sigla: Confederazione Generale Italiana del Lavoro. Riferiva, quasi un
avvertimento deciso dalla mia fama circoscritta, un fatto da fonte diretta: un
giovane insegnante licenziato perché frequentava gli allievi fuori dalla
scuola. Raccontando con una iniziale reticenza per sondare il terreno
dell’interlocutore, per adocchiarne l’espressione, il tic, il linguaggio del
corpo, i pensieri reconditi e inespressi, l’auto-tradimento. Il trend, infatti,
privilegiava l’uso del tu fra operai e padroni, fra studenti e professori,
tutti compagni, quindi con la possibilità di mettersi sullo stesso piano nel
corso della vita quotidiana, nell’arco della giornata privata e pubblica. Ma,
si sa, la salita esigeva la discesa: raggiunta la cima … volenti o nolenti
bisognava ridimensionarsi in giù, smammando verso il basso. Accadeva perfino
nel settore letterario e negli ambienti delle arti visive: per ossigenarsi e
riposarsi un autore si immergeva nel verde delle dolci alture fra i prati e i
boschi, aspirando all’Arcadia, contento di sé per i risultati conseguiti,
gratificato, comunque autocritico e pronto a riprendere dopo una pausa
salutista in cerca di ulteriori miglioramenti, da atleta perfezionista. Il
momento giusto per fargli uno sgambetto, togliendogli le arie per cercare di
asfissiarlo [non solo gli amici generici o i compagni di strada, anche gli
editori-autori, anche i galleristi-autori, il fatturato la prima legge, il
primo comandamento]. A meno che non venisse reclamizzato in TV e/o nelle terze
pagine, per intercessione divina, allora sì, per opportunismo lo si esaltava
per scroccare il merito della sua vicinanza, ammiratori e sodali.
Ci girava intorno Fausto X [Franz],
dichiarandosi d’accordo con il provvedimento disciplinare: la cessazione del
rapporto di lavoro [per sempre]. Quello, malgrado i meriti della sua
preparazione universitaria, chiacchierava con gli studenti perfino a casa,
alcuni andavano a trovarlo per imparare qualcosa di extra-curriculare, ma cosa
precisamente lo si poteva solo immaginare … e, si sa, non sempre la propria
mente veniva tenuta pulita e sanificata. Non si vestiva bene [da mezzo hippy
sul serio]: credeva nella propria professione, inviso ai colleghi e in
particolare alle colleghe, curiose e sospettose. Il prete, poi, combattivo, lo
detestava, Gesù Cristo e Maria Maddalena, d’accordo, testuale nei vangeli non
apocrifi, ma gente come quella no, Sodoma e Gomorra di sicuro, città aperte, la
distruzione prevista dalla Bibbia.
Un giorno il sacerdote prof di
religione gli si sedeva vicino in assemblea sfidando il rischio
dell’appestamento, ostentando un opuscolo delle Edizioni Paoline contro gli
stupefacenti, lo rigirava davanti e dietro per invogliarlo a leggiucchiare la
quarta di copertina [di fatto si decifrava benissimo “la droga… il male
peggiore dei nostri tempi”], quasi glielo metteva sotto il naso costringendolo
alla forma del collotorto: insomma, un’accusa indiretta, una provocazione per
innervosirlo e scatenare un dibattito sull’inopportunità della presenza nel
corpo insegnante di docenti dalla dubbia moralità. Agire subito prima di
immetterlo in ruolo, poi troppo tardi, nessuno lo estirpava più, il cancro
restava, la metastasi continua. L’anticonformismo coincideva con l’onestà della
libertà di pensiero e di espressione?
Alla fine ci riuscivano a
incastrarlo con un pretesto, non si sapeva come, d’accordo all’unanimità, anche
Fausto X [Franz], ma il sindacalista moderato di estrema sinistra a malincuore,
avrebbe preferito evitarlo, con allusioni e preavvisi centellinati per
raddrizzarne l’eccentricità: infatti, qualcuno lo tentava, toglievano la chiave
del suo cassetto in Sala Insegnanti, seminavano zizzania nelle aule riuscendo a
creare un clima di ostilità [bastavano poche parole buttate là ogni tanto, una
smorfia, un ammiccamento, un gesto], durante gli scrutini dichiaravano “non
normale” un suo allievo potenzialmente corruttore della gioventù [ossia dei
compagni di classe e degli insegnanti].
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un salice piangente sempre verde |
Tramortito dal racconto,
ammutolito, là nel bar Sans Souci mi riusciva un commento stentato e in
apparenza fuori tema, una citazione inappropriata o comunque non ne conoscevo
l’autore, una dichiarazione assomigliante a un aforisma del Piccolo Grande
Uomo: tutti matti e niente era importante. La professoressa capetta della
fronda per il ripristino della moralità pubblica, rinsecchita ma tenuta bene
con le cure estetiche e la parrucchiera, del tipo Liceo di dietro e Museo
davanti, la moglie di un noto e ricco professionista del loco, lo detestava al
massimo grado da quando appariva chiaro il totale disinteresse del professorino
mezzo hippy e molto carino in rima, a tempo indeterminato, gentile per giunta,
adatto a qualsiasi tipo di corteggiamento: nicchiava, si defilava, nemmeno un
minimo di amore platonico da salotto, un flirt da cicisbeo come scena per
passatempo, una festa galante nel grigiore di un edificio scolastico. A parte
il suo peso politico in città travasato dal consorte: snobbata in cambio della
sua iniziale simpatia di sinistra, un affronto, un tradimento,
un’ingratitudine. Vendetta.
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il giorno: un bersaglio colpito |
La rivoluzione alternativa.
Scolarizzare o non scolarizzare. Nella disillusione totale, non si prendeva sul
serio nemmeno se stessi, potendo … non si arretrava di fronte alla prospettiva
di farsi gli sgambetti da soli. Dallo slogan “amo la lotta di classe più di mia
madre” al riflusso dell’arrembaggio sulla scena sociale, dal riunirsi in
assemblea a discutere l’o.d.g. di giornata al relax dello spritz nell’assembramento
della movida, a poco a poco nel corso di un quarto di secolo, e intanto gli
anni passavano, si invecchiava, per i più avveduti la soluzione stava
nell’esplosione psichedelica, il vero cambiamento del semi-misticismo
multicolore, fortunato chi ci credeva, meglio di niente. Restava, comunque, un
chiodo fisso: dimenticare la vita, la speranza, l’essere nel mondo.
La mia strada segnata, schedatura
dopo schedatura. Ma nessuno mi costringeva a percorrerla. Inconcludente la
danza circolare dei dervisci fra quella rete di binari interrotti, il ritorno
all’innocenza e alle belle speranze del passato, quando compravo i dischi di
Elvis Presley della prima ora, i 78 giri, con la paghetta, quando non esisteva
il seguito. Ormai tutto stava fra un pubblico in cui trascorrevo senza scopo i
percorsi ripetuti, assieme a tante persone con lo stesso nome, con le loro
attività diversificate per modo di dire, raccontando menzogne come quando si
chiacchierava con gli sconosciuti nello scompartimento di un treno [e poi chi
s’è visto s’è visto].
Un professore texano, Jerry X
[Franz], un sedicente [aggettivo con valore di sostantivo per licenza poetica],
conosciuto chissà in quale occasione in quella città turistica, là per qualche
giorno, all’inizio di marzo, non ancora in primavera ma con belle giornate
limpide e soleggiate, tanto da permetterci un’escursione con la motonave di
linea fino a Punta Sabbioni, un aggancio con un giovane stanziale preso in
considerazione e in simpatia come fonte di informazioni casuali da riferire in
una cronaca segreta. Insegnava in un campus di Vicenza, diceva, come
credenziali accennava a un attore-regista parigino abbastanza legato al
cosiddetto teatro dell’assurdo, del tipo della “cantatrice calva” di Eugène
Ionesco, tanto per capirci a volo. Lo conosceva di persona: Nicolas Bataille.
No, Georges Bataille sì, invece, letto qualche suo libro, tutt’altra storia.
Alla Locanda della Pace non
c’era, appena uscito [chissà, in missione], diceva la madame alla reception,
sgarbata, in tutta evidenza lo inquadrava meglio di me e mi considerava un
escort, allora gli lasciavo un biglietto con una comunicazione. Il giorno dopo,
infatti, in partenza, mi telefonava per confermare l’appuntamento per il sabato
successivo, mi aspettava per trascorrere assieme un week-end.
A Vicenza, sceso dal treno per
recarmi alla base di Jerry X [Franz], avviava una conversazione un aviere di
Salerno, diceva, quelli i tempi del servizio militare di leva e i ragazzi
andavano a diporto in divisa, un’esperienza giovanile. Insisteva, seduti su una
panca di marmo lungo il binario 1 un po’ discosti dall’uscita principale, non
tenendo segreto un approccio da marchetta [“semi-marchettaro” nel diario], in
termini secchi. Ma rifiutavo. Le donne non ci stavano e voleva sfogarsi,
raccontava, il farsi pagare costituiva un alibi come accadeva per i padri di
famiglia e per i piccoli imprenditori, per arrotondare, pensavo, cominciavo a
capirlo perfino io [ego], un ritardato, lo ammetteva. Cinquecento lire di paga
al giorno non bastavano, del resto così anche nella vita civile, faceva il
muratore. In tutta probabilità disposto a passare all’azione gratis in uno
spazio adatto, al chiuso o outdoor. La sua seconda volta abortita [con me]
restava la prima esperienza, dovevo andare, provava [aveva provato] con uno di
23 anni, a casa sua, dopo la danza … cinquemila lire.
Una bella somma per una seduta,
lo affermavo con competenza, sembrava, quindi mi chiedeva se lo facevo anch’io.
Gli davo del borghese, da militare, con la sua paura del giudizio degli altri
post-sessantotto: temeva il sarcasmo dei compagni di caserma, della camerata,
dove manteneva una rigida doppia vita, in libera uscita ufficialmente a
“puttane”, ignorando lo sguardo del potere mentre ci illuminava in un fascio di
luce per permettere di schedarci tutti dal primo all’ultimo, nel campo dei
costumi e della politica. Gli raccontavo aneddoti per i pimenti cerebrali,
tanto per chiacchierare mettendomi sullo stesso piano nella democrazia privata
della vita quotidiana, e in particolare mi soffermavo sul recente atto mancato
del trio con Lucio X [Franz], fisicamente deperito per auto-punizione e
soprattutto per sottrarsi a un’esperienza conturbante, di per sé banale e alla
portata di tutti. Suvvia, lo sapevano bene i sociologi e gli psicologi cosa
succedeva nelle concentrazioni protratte
nel tempo o coatte della popolazione maschile: ambienti sportivi, fra militari,
fra detenuti, non solo nella letteratura ma anche nella concretezza
esistenziale. Accidenti, questi discorsi lo eccitavano, gli tirava più di
prima.
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gli amici sono come i vestiti |
Conoscere significava vivere la
propria vita e quella degli altri, nell’empatia. Immedesimarsi nel prossimo
ignorando la nozione della diversità, solo così veniva abolito il tiro al
bersaglio, gli opposti sfumavano fino a scomparire: morire e rinascere ogni
giorno, il sole, la luna, il giorno, la notte, le immagini della natura in un
nuovo paradiso terrestre. Ma non per abolire il proprio io [ego], anzi,
potenziandolo [in quell’epoca di formazione], infine sfumandolo nel contrario
nella vacuità del linguaggio verbale troppo inflazionato una volta raggiunta
una parvenza di saggezza e nella vecchiaia un brusco e decisivo cambio di rotta
nel resoconto retrospettivo, nel racconto. Intanto i buffi enunciati in una
pagina del quaderno a righe: “Evitare l’erotismo metafisico. Sensualità e
corposità della frase poetica. Aderenza alla realtà immediata”.
Tuttavia gli aspetti più
sgradevoli prendevano il sopravvento, soverchiando l’afflato lirico della Musa
Ferita. Si faceva tardi e salutavo l’aviere di Salerno per presentarmi nella
base militare dove Jerry X [Franz] mi aspettava in un alloggio a sua
disposizione [con licenza di ricevere visite], un americano che più americano
non si poteva, una ventina d’anni più di me, un sedicente professore texano, un
avventuriero in giro per il mondo a scattare foto-ricordo degli amici
occasionali sia di fronte sia di profilo.
Rimossi i dettagli
dell’avventura, dall’alto del 2088. Un “disgustoso week-end”,
scrivevo. “Troppo
faticoso un rapporto”. Non sapevo perché mi ostinavo a imbarcarmi in episodi
con le persone sbagliate, tutto da dimenticare, annotavo: “un’esistenza
squallida, grigia, monotona”. Quello là, cosmopolita, viaggiava in tutte le
colonie USA e della NATO, in particolare europee, e altrove, dovunque ci fosse
qualcosa da osservare, da tenere sotto controllo e da spiare, persone e cose:
schedature discontinue, costumi e politica, opinioni e gesta. Bastava
togliergli di dosso l’aria mondana, lo spirito parigino d’accatto, la
conversazione brillante, ossia la maschera, e restava un ometto cinico e baro
[un omone alto e robusto un po’ flaccido], dedito a una professione segreta a
tempo pieno. Rimpiangevo l’opzione del rifiuto, non accettando l’invito, dovevo
smammare quella sera stessa ma restavo inchiodato per timidezza. Una lezione
inedita, forse, o chissà, i precedenti casi … passati inosservati.
Cominciavo a maturare una forma
di antipatia generica verso “quegli” ambienti del doppio gioco, della doppia
vita, e della mentalità da ninfomani al maschile, definiti “organismi viventi”:
sia chiaro, non a livello individuale, a tu per tu mantenevo un atteggiamento
di rispetto, per la giustizia sociale, per la libertà, per i diritti civili da
riconoscere a tutti gli esseri umani, in una sequela di clichés. A costo della
retorica spicciola da uomo della strada e delle frasi fatte, lo ribadivo una
volta per tutte, per non dichiararlo nell’immediato seguito e dopo, quando già
apparivano in nuce le sfuriate indirizzate ad personam [analogamente al caso delle
donne e in particolare delle signore femministe], semmai in stretta osservanza
psicologica, in calzante visione personale derivante dall’osservazione
empirica. Insomma, riassumendo: ginofobia, antropofobia, nelle loro tante facce
caleidoscopiche, esclusivamente con finalità narrative.
Mi sentivo “comprato” come una
prostituta, come secondo quanto si leggeva nella recente storia della seconda
guerra mondiale, con la “liberazione” da parte degli Alleati giustamente in
soccorso di una popolazione stremata dal fascismo, dalle tragedie belliche,
dalle privazioni, con un tornaconto: l’induzione alla dipendenza e la
colonizzazione. Da parte mia, però, si trattava solo di un’acerba frivolezza
immersa in una pulsione creativa nei cambiamenti politici paventati, quelli
della sinistra attratta dal blocco sovietico, ambiguamente potenzialmente
nemica del Patto Atlantico, con le sigarette, le tavolette di cioccolata in
rima e il boogie-woogie. In tale direzione la mia dimestichezza restava minima,
irrilevante, e per questo motivo l’avventura abortita un po’ mi indispettiva,
insufficiente per una conoscenza approfondita [vissuta in prima persona, un
vero e proprio lavoro part time o a tempo pieno] che mi avrebbe permesso di
cimentarmi nel genere “spy story” o “thriller” o “giallo”. Tutti schedati:
distinguersi particolarmente in un dato contesto, in un ambiente, apriva la
porta a chi, avvicinato in segreto e lusingato dai bonifici misteriosi,
aspirava a collaborare nell’ombra parallelamente segnalando alle spalle i propri
amici e i propri compagni più in vista. Il ladro di polli, magari incastrato
più volte dalla polizia, conosceva i colleghi del settore dei furtarelli nelle
fattorie. L’habitué dei ritrovi degli “organismi viventi” [in tutta la gamma,
dalla travesta al macho baffuto in leather stile Tom of Finland], sia
individualisti sia organizzati in movimenti d’opinione, se beccato per qualche
piccolo misfatto o per un’infrazione più eccentrica del solito, serviva come
esperto [a condizione di dimostrarsi un furbetto matricolato, “intelligente”,
in grado di sostenere il doppio e il triplo gioco]. E così via: le
associazioni, i gruppi politici, i falsari, i collezionisti dediti al mercato
delle copie e delle sottrazioni indebite dai musei, i pedofili, i criminali di
varia natura e di varia gravità. Per tutti i conoscitori l’impunità alla 007:
si poteva fare quello che si voleva se portavano ai risultati concreti.
Non avevo la stoffa di un
Pitigrilli [Dino Segre], scrittore di grande successo, nel sorriso mondano
delatore e schedatore in rima per conto dell’OVRA, la polizia politica
fascista, ridimensionato negli anni successivi malgrado le trasmissioni
televisive in cerca di riscoperte e di riabilitazioni, nell’epoca del riflusso
e dello sbracamento ideologico e culturale, letterario e artistico. Mi sentivo
inetto al massimo grado nelle attività delinquenziali [e nel contrario]: non
osavo nemmeno pensarlo. Ricordando il caso di Lucky Luciano: un criminale
pluri-pluri-omicida scarcerato a cura dei “servizi segreti” per aiutare gli
Alleati a sbarcare in Sicilia con l’appoggio della mafia, l’intreccio “guardie
e ladri”, gli attentati e la ricompensa top secret.
Tuttavia, malgrado l’innocenza,
mi sentivo “bacato, marcio”, così scrivevo nella prima riga in alto di una
pagina di quaderno a righe, a causa della vicissitudine della vicinanza di un
avventuriero. Desideravo “lottare” in un partito per la giustizia sociale e
nello stesso tempo mi riconoscevo disadatto, un circolo vizioso vorticante
intorno all’idea fissa dell’“accumulare esperienze-detriti” da buttare in un
cassonetto della spazzatura [a dire il vero, ripensandoci, sembrava carino il
progetto di uno studio dell’arredo urbano dell’epoca, dei primi anni settanta,
l’estetica dei bidoni della monnezza, una ricerca per disegnare o approntare la
scenografia di un film]: però non accettavo e non venivo accettato, i miei
volantini con gli slogan d’artista ritenuti inadatti alla dura legge della
militanza, la rivoluzione non si faceva con i ricami e i merletti. E basta con
gli intellettualismi, affermavano: fare, agire, sebbene il personaggio
nascondesse un brutto carattere in un’apparenza gentile, o viceversa?