Carlo Pava
contrattacco
disarmato
1973
14✒ il dito medio della signora
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Carlo Pava: i grandi amori
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Si
optava sulla scrittura sui muri il 10 maggio 1973? Quando, da bravi figlioli
ribelli ma non tanto si temeva l’arrivo dei poliziotti provenienti dalle
famiglie povere, da PPP preferiti agli studenti figli di mami e papi? Allora si
scarabocchiavano le pareti della cella. Lo intuivamo con chiarezza: ai posteri
una sicura indifferenza, se ne sbattevano come [se fossero] già arrivati fra
noi. In termini più forbiti: se ne impipavano. Iniziava una nuova epoca una
dopo l’altra? Tutto codificato in un neo-conformismo dal quale,
snobisticamente, si staccavano le frange ultrà manovrate dai volponi della
politica internazionale, nello stesso tempo a loro insaputa e sapendolo, con
brutti ceffi dai denti aguzzi. Per disegnarli non bastava la vena di George
Grosz [cfr. i libri di storia]. Ritornando al nostro piccolo, a noi scarafaggi
inconsapevoli e in preda a una nevrosi rinfacciata, preferibile la salute dei
malandrini delle borgate di Roma anni quaranta-cinquanta e metà anni sessanta].
Stigmatizzati in prima persona in primis, rei confessi, qualcosa bisognava fare
della propria vita e delle origini di nascituri e di neo-nati, provando e
riprovando. L’Innocenza Perduta. Cercando una strada percorribile con felicità
senza il teatro, il cinema, la TV.
Estrapolavo
gli elementi libertari in cui mi sentivo coinvolto nel disordine. In realtà
continuavo a leggere libri spaziando nei generi più disparati ma non più di
tanto [nella curiosità di un eclettismo delimitato], setacciandoli a livello
inconscio. Il bello delle intuizioni consisteva, spesso, nella loro segretezza,
come cianfrusaglie accumulate in un cassetto e dimenticate: i sassolini
forgiati e colorati da Madre Natura, conchiglie, una grossa arancia lasciata
seccare e rimpicciolita e mummificata, una minuscola zucca decorativa, una noce
di cocco [la noce di cocco non mangiata, parafrasando “le rose che non colsi”].
Poi un giorno lo si apriva [tirando una bella maniglia in ottone] accorgendosi
dei loro segni incisi nella mente e nel comportamento, da rielaborare in profondità
e con coscienza. Intanto i sogni continuavano a imperversare in una tana di
serpenti: l’eroismo degli eroi del nichilismo totale durante una resistenza
inconcludente.
Appassionato
del Medio Evo, un’epoca più complessa e meno buia di quanto si riteneva, mi
piaceva immaginare la condizione di anonimato di tanti scrittori e di tanti
artisti, ci attendeva il medesimo destino dopo l’exploit di alcuni campioni
imposti dal mercato del brocantage alla moda? E i Carmina Burana di Carl Orff,
poi, li ascoltavo ossessivamente perfino il sabato sera quando mi capitava di
stare a casa da solo [per istinto evitando la violenza delle interazioni]. Me
ne sentivo mentalmente eccitato, come per effetto di una droga: vedevo fuoco e
fiamme, l’allegria da taverna alternata alla violenza in piazza, e così via,
una forma di evasione irrazionale per evitare gli assilli costanti: l’avventura
immaginata di un suddito impotente. Seduto su una poltrona, tenendo le palpebre
abbassate, o più spesso steso sul letto guardando il soffitto e cercando le
minime tracce, di muffa o altro, riconducibili a immagini di fantasia.
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non so disegnare; non so dipingere; non so scrivere
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Le
annotazioni dell’11 maggio 1973, eccone spiegato il motivo, forse, o
sovrapponendo a posteriori, il tempo come un foglio extra-strong accartocciato
e gettato nel cestino nel mio studiolo. Il nickname dell’Archipoeta. Confessio
Goliae: “mortuus in anima” [con un commentino acido: “perciò mi sbafo la
carne”, questa parola la evitavo come la peste e, se usata, qua, dipendeva
dalla volontà di alludere con sarcasmo a una bistecca di manzo]. La solitudine
portava a una pazzia moderata. E: “vita vetus displicet, mores placent novi”,
detesto l’andazzo di prima, l’esistenza precedente, ora ho nuove abitudini, mi
guida una morale diversa, il disio di una vita nuova, il “novo lacte”. Un
diabolico sorriso di sufficienza: purtroppo… dal dire al fare…, in sintonia con
gli anni settanta, mi davo a un’immoralità insensata, il mondo restava un
palcoscenico per attori dementi e per spettatori idioti. Nel teatro
d’avanguardia, infatti, l’azione si svolgeva fra il pubblico da coinvolgere, se
non nella gestualità, almeno emotivamente. Tutti sullo stesso piano, in
apparenza, nella nebbia.
Introibo.
[…] Perfino il re Davide, peccatore e santo, poteva interessarmi come modello:
“Judica me, Deus, et discerne causam meam de gente non sancta, ab homine iniquo
et doloso erue me”. Il pane integrale per un paranoico in pectore: gli
ingannatori da tenere alla larga, l’impossibilità di portare al compimento un
simile progetto. Nella società contemporanea non esistevano più i santi e
nemmeno i giusti terra terra, tutti costretti a convivere con l’alienazione,
con la propria malvagità. Omologate le classi sociali, in superficie, nel fumo
negli occhi. Si perpetrava l’ingiustizia per un altro millennio, e poi ancora,
e ancora, e la cocolla restava il costume dei poveri [i jeans, i calzoni
stretti intorno al basso ventre e via via più larghi soprattutto dalle
ginocchia in giù [a campana o a zampa d’elefante]. E le maniche strette e i
colletti abbondanti e l’eskimo e la saccoccia di tela per il “fumo” e/o per i
sampietrini a seconda delle scelte ideologiche e delle bande]. Per permettere
ai ricchi, in seguito, con il ritorno all’ordine, di distinguersi con il
preziosissimo bisso della moda ripristinata nelle occasioni esclusive [quella
del trionfo dell’Oligarchia Misteriosa, con il consenso della maggioranza dei
signori uomini e delle signore donne]. Dominava l’Anticristo, lo si intuiva
durante qualche illuminazione, un flash saltuario e insinuato nell’ingenuità
delle masse, giovanili in primis, come i lampi atrofizzati dei temporali
secchi.
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pas de deux: ofelia e amleto; desdemona e otello
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Un
exorcismus in consolazione, ritornando ai Carmina Burana e precisamente alla
canzone “omne genus demoniorum”: “et cum desperatis/ chaos incolatis”
[tentandone la traduzione in una poesia laconica: “e con i disperati restate
nel caos… e mo statteve nel caos”], pensando a tutti indipendentemente dalle
loro caratterizzazioni erotiche, quei fatti strettamente personali non mi
incuriosivano [affatto]. In compagnia di amici, di coppie di amici, fidanzati,
coniugati, capitava forse di chiedere come e quando facevano sex e di
preferenza in quali posizioni, se per dovere o no? Con le premesse di questi
stati d’animo ci si potevano figurare tante cose fuori schema, un approccio non
correct, da stigmatizzare, e molti stigmatizzavano e stigmatizzano dopo decenni
e decenni di rotture degli schemi [di rotture di p…lle], perfino a ridosso del
2088.
Mio
malgrado a questo punto si rendeva necessaria una digressione, da malandrino
non esagerato, in una cornice danneggiata, raccontata da una Sherazade
invecchiata e disillusa alla Dama in Tailleur Nero che la osservava restando
nascosta a metà dietro la porta socchiusa in un appartamento nel centro della
metropoli: pazientava ma dando segni di nervosismo, si annoiava, le fabulae
redatte si ingarbugliavano nell’asemic writing [dai superficiali malevoli detta
“ascemic writing”], la scrittura che negava se stessa a ripetizione, tutta
uguale o in similpelle, la si notava soprattutto sui muri della città. Tradotta
nella versione orale diventava una musica cacofonica, stridente, snervante, a
volte divertente, meglio il silenzio da ambo le parti, da tutte le parti.
Finalmente
un episodio di qualche interesse letterario lo si poteva individuare, o almeno
mi sembrava, da autore sbuffante, come un flashforward agganciabile al 1973,
all’associazione con la quale condividevo una blanda militanza con carta bianca
creativa, [fra tanti settori] in presenza di donne in lotta per i propri
diritti [giustamente], per l’emancipazione completa [ai giovani sembrava strana
tale necessità, eppure le cose, allora, seguivano un andazzo storicamente
arretrato, come in seguito]. Intanto Sherazade stessa raccontava e io [ego] ne
assumevo la personalità alla meno peggio immedesimandomi in una cornicetta a
giorno incastonata nell’insieme. Purtroppo il mio carattere di piccolo-borghese
di provincia e di simpatizzante del pre-romanticismo neo-gotico e perfino bit
mi coinvolgeva nelle cattive visioni e nessuno mi toglieva dalla mente un
dubbio ricorrente [negli incubi reiterati]: fra le signore più segretamente
misandre – e preferivo questa dizione a “misandriche”, esistevano ragazze e
donne mature inclini a spingere al suicidio i maschi con i quali intrecciavano
rapporti di simpatia e d’amicizia e d’amore, a volte a insaputa di se stesse,
un istinto rivelato nei momenti inaspettati. La cosa non riguardava la
capetta, Cristina X [Greta], di sicuro,
seria e intelligente, ineccepibile, e guarda caso, infatti, il suo specifico lo
ribadiva non esclusivamente nel femminismo ma nella filosofia e nella pratica
della nonviolenza e nell’antimilitarismo, nel pacifismo, con studi da
autodidatta [quindi riguardava la specie umana al completo, gli organismi
viventi], e di certo senza limitarsi a leggere e a studiare Aldo Capitini
[1899-1968].
Lo
sottolineavo per ammettere un fatto: in confronto a quella militante convinta
senza carriera, mi confessavo un poco di buono, un piccolo gaglioffo destinato
a non lasciare segno né nel bene né nel male. E lo sapevo: se mi spacciavo per
nonviolento attiravo la critica feroce dei desiderosi di smascherarmi, invece
dichiarandomi “malvagio” suscitavo un’istintiva e immediata reazione degli
amici pronti a dimostrarmi di sbagliarmi, da ingenuo, da mediocre: loro sì,
assai peggiori. Non sapevo vivere: attiravo i vogliosi di colpire, gli attratti
dalla pulsione a uccidere [almeno psicologicamente, c’era di peggio].
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bebop:penelope e ulisse ; tip-tap: didone ed enea
Ma ecco
il racconto: e daje… Sherazade, l’aneddoto della vita di coniugale. Tre signore
togate, infatti, le vedevo di spalle, tenevano i faldoni fra le braccia, fianco
a fianco, camminavano veloci all’unisono lungo un lungo corridoio ticchettando
con i tacchi delle scarpe, un plotone d’esecuzione in accelerazione esagerata e
non grottesca [o grottesca soft, realistica in modo raffinato], un macchinario
assemblato e semovente in marcia. Poi sedute dietro il banco dell’aula, su un
palchetto, di fronte a una donna dall’aspetto insignificante, né bella né
brutta, come tante: i canoni estetici variavano spesso, in quell’epoca, non
tutti noi mortali potevamo vantare il glamour dei divi. Accanto, quindi al di
qua, un uomo con un faccione serio, immediatamente individuato come un
appartenente al genere “orso”, definito così nel gergo delle parlate popolari,
alto e grosso [“robusto” e un po’ flaccido senza gli eccessi dell’obesità
straripante], imbarazzato: rispondeva intimidito alle tre [ripeto, tre] domande
laconicissime rivolte dalla giudichessa e dalle due avvocatesse, dell’accusa e
della difesa, senza permettergli di spiegarsi, tutto deciso: in quell’epoca i
non abituati a parlare in pubblico per motivi di lavoro tendevano a
impappinarsi, senza scioltezza, senza riuscire a spiegarsi, a scagionarsi.
Infatti questo signore, appartenente alla piccola borghesia decorosa o perfino
benestante, svolgeva un’attività pratica, tecnica, d’azione, se non ricordo
male simile ai pompieri o legata al soccorso in caso di calamità. Con capacità
specialistiche. Per di più affiancata dal volontariato in un settore affine.
Però si capiva l’essenziale: cercava di sottolineare di essere il padre, un
padre con due figli, un bambino di undici anni e una ragazza quasi maggiorenne.
Nel divorzio gli si riconosceva il diritto di vederli, comunque, con
regolarità, mettendosi d’accordo sui tempi e sulle modalità? La
moglie [la quarta donna in scena], di spalle, OK: di colpo alle sue prime
parole pronunciate la si vedeva di profilo con un marcato naso aquilino, come
la punta di una freccia. Ma si sa, il bello lo si poteva trovare nel brutto e
viceversa. Non a caso, nel rispondere alle domande rivolte con un piglio
morbido, in un dialogo rilassato e dettagliato, ribadiva quanto affermava da
tempo: “quello” la molestava, l’attendeva sotto casa più volte al giorno, di
continuo cercando di parlarle, telefonava. Invano: la signora decideva così e
non voleva ascoltarlo, quindi voleva il divorzio tenendosi i figli interamente
per se stessa. Violenze fisiche? No. Mai subite. Assenza di maltrattamenti per
il bambino e per la ragazza. Le dava fastidio e basta, l’amore [mai iniziato]
finiva di punto in bianco.
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cleopatra e antonio; lucia e renzo
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La mia
simpatia per l’“orso” cominciava a delinearsi e a svilupparsi, mi ci
immedesimavo, speravo di non vederlo macchiato da fatti più gravi. Certo, le
insistenze apparivano moleste, di fatto, non stava bene agire così. Ma ognuno
nasceva con un proprio carattere, bisognava cercare di convivere con gli altri,
spiegandosi, adattandosi, con pazienza interagendo alla meno peggio per evitare
le prese di posizione dettate dall’orgoglio o la violenza fisica. Una visione
di buonsenso, magari un po’ gaglioffo moderato. In realtà, non evitavo di
ammetterlo, abituato molto diversamente: alle prime insofferenze nei miei
confronti la mandavo al diavolo [l’avrei mandata al diavolo] senza pensarci due
volte, con le buone maniere. Il mondo straripava di gente in quell’epoca, ne
abbondava la scelta, prima di venire eliminata nel quantitativo di almeno due
miliardi di persone a livello planetario. Poi restavo un single o mi mettevo in
un altro nucleo famigliare. La pulce nell’orecchio, per così dire, me la
metteva l’evidenza del naso della donna, non casuale nella ripresa e nel
montaggio, simbolico: “quella” doveva essere un’attaccabrighe acida e
strafottente nella vita quotidiana, una vipera, e se si trovava in una relazione
con un altro, fatti suoi, però da professoressa in grado di esprimersi bene in
pubblico non stava bene gettare discredito sull’ex marito poco esperto nella
parlantina. Un messaggio subliminale come quelli della pubblicità televisiva.
Un
crescendo di freddezza nei rapporti con l’ex famiglia. L’uomo andava a prendere
in auto il bambino per trascorrere l’week end in una villetta in campagna con i
genitori, i nonni, le belle giornate: una vita tranquilla e salutare, poi il
ritorno in città. Ma il figliolo, per quanto ubbidiente, ogni volta si
presentava sempre più gelido nei confronti del padre [benché trattato nel
migliore dei modi, con benevolenza, con una buona volontà senza smancerie],
perfino si tradiva rivolgendosi al genitore con frasi ed epiteti poco
lusinghieri, ammaestrato dalla madre, abituato a definirlo “quello”. Capito? La
signora non smussava gli angoli, semmai istigava contro e alla grande, con una
cattiveria non dimostrata dai documenti ufficiali, dal mio punto d’osservazione
limitandomi a immaginarla su considerazioni fondate.
Il
poveretto si innervosiva sempre più, sempre più reagiva in malo modo, infine
cominciava a dare fuori da matto perfino con i genitori indifferenti nella
villetta in campagna, e il bambino si impauriva senza finezza psicologica per
ragioni d’età, detestandolo in modo palese, come e più di prima, chiuso in se
stesso dentro la corazza costruitagli dalla scelta strategica della madre con
il naso simile a quello di un rapace non delle grandi alture. In una scena in
casa, Franz X [Franz], presentatosi quasi a forza per farsi ascoltare, si
lasciava perfino scadere in una scena patetica, in cucina, appoggiandosi sulla
credenza a testa bassa, quasi piangendo, in extremis dicendo “non sono più come
prima”, umiliandosi, cercava di smussare gli spigoli della situazione, senza
alcuna forma di violenza, cercando di serbare un rapporto di vaga amicizia alla
lontana, per amore dei figli [ma perduta per sempre era la figlia con il
fidanzato, fuori discussione, mai gli parlava, un’estranea per sentito dire e
alleata della madre per partito preso].
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isotta e tristano; giulietta e romeo
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Immedesimandomi,
da ingenuo, speravo di non assistere ad atti di stalking duro, né contro il
bambino né contro l’ex moglie con il naso interessante. Ma mi seccava vederlo
avvilito in una scena da comédie larmoyante, plausibile e umanamente
realistica. Perfino la signora e il bambino si mostravano in un attimo di
perplessità, in silenzio, con un barlume di pietas [dopotutto l’orso l’aveva
scopata, due volte di sicuro, per procreare, gli si concedeva, consenziente, lo
sperma schizzato dentro, e chissà quante altre volte: non si trattava di un
rapporto effimero come nell’epoca di internet del tipo usa e getta]. Diventato
come la polvere? Un assorbente? La carta igienica nel WC? Violenze fisiche non
ne aveva commesse: non emergevano nei faldoni delle signore togate,
professionalmente spicce nel questionario laconico, no problem per l’affido pro
tempore, però la ragazza quasi maggiorenne non voleva più vedere l’ex padre in
conformità con i dettami insinuanti della madre. Invano il cedimento
sentimentale [tuttavia virile e ammirevole, non dal mio punto di vista, infatti
distoglievo lo sguardo dalla sua auto-umiliazione]: la vipera nemmeno l’affetto
della prole voleva lasciargli. Gli “metteva su” i figli [“mettere su”,
preferivo questa locuzione abbastanza vernacolare delle mie parti, spiegandone
il significato ai giovani ignari, non agli eruditi, nel senso di “indurre
qualcuno all’ostilità contro qualcuno”].
Carissima
e bellissima e idealizzata Sherazade…: brevità. L’ex moglie e l’ex figlio,
perplessi per un istante, subito dopo irrigiditi come due statue di ferro
arrugginito, pentiti: le decisioni già prese a priori. Non ne seguiva nessuna
scioltezza, un guizzo di ravvedimento di fronte alla rassegnazione, l’orso che
aveva fecondato la donna [da consenziente, di sicuro non violentata]… non
invitato nemmeno al compleanno da maggiorenne della figlia, alla festa alla
grande con musiche e balli e tanti parenti e amici, perfino la portinaia del
condominio. La ragazza con il viso né bello né brutto, senza glamour, come noi
tutti comuni mortali, non divi del cinema, sfoggiava un’aria indifferente in
sintonia con l’epoca mentre si esibiva con lo snello fidanzato musicista
femminilizzato da una simpatica treccia asimmetrica, cantando canzoni d’amore
un po’ rock sebbene la voce e l’arrangiamento fossero così così.
Potevo
giurarlo, a richiesta: l’ex marito, rimasto un padre secondo le leggi della
natura, non forzava la situazione, prendendo atto, semplicemente si presentava
giù nel giardino: nel palazzo si svolgeva la festa. Seduto appartato su un
muretto, nella luce fioca dei soliti lampioncini banali in forma di globo sulle
aiuole dei condomini di media qualità, comprati nei centri commerciali dedicati
al bricolage, e delle villette in serie. Con un pacchetto in mano: un regalo
per la figlia. Aspettava l’arrivo di qualcuno per farlo consegnare, porgendole
i migliori auguri per interposta persona, senza disturbare. Poi se ne sarebbe
andato.
L’ex
moglie lo scorgeva dall’alto della finestra e lo segnalava ai vicini della
festa, tra cui la sorella [la cognata nella tana dei parenti serpenti, la zia],
nel tono dell’allarme, quindi scattava il pericolo di un assedio auspicato per
additare l’arrivo di un selvaggio, l’orso affamato in cerca di miele
nell’alveare condominiale in una periferia anonima: lo si vedeva bene, “quello”
si ripresentava di nuovo. Scesa fulminea e aggressiva per un regolamento di
conti. Quasi balbettando, intimidito, il tizio che a suo tempo le aveva spruzzato
dentro il proprio sperma, la pregava di consegnare il regalo per la figlia e di
porgerle un’infinità di affettuosi auguri. La signora [abbastanza racchia,
detto fra noi, ma non conta] non lo prendeva nemmeno in consegna, intimandogli
di smammare, non poteva sostare in giardino [secondo il regolamento
condominiale]: fra i lampioncini con un design da grandi magazzini.
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rossana e cyrano; eva e adamo
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Sera. Le
luci geometriche della città, mezze spente e mezze luminose [in
contraddizione], dalle vie adiacenti, nel rumore attutito delle automobili e
dei mezzi di trasporto. Il pacchetto con il nastrino rosa lasciato cadere sul
vialetto del giardino in rima. Come si diceva in questi casi? “Mi montava il
sangue alla testa”? Mi imbufalivo io stesso [ego], naïf , un narratore estraneo, nell’assistere a
quella scena, immaginiamo cosa accadeva nella mente dell’orso. Intanto in
soccorso alla povera donna sopraggiungeva il suo nuovo fidanzato [fatti suoi,
nulla da ridire], più giovane e più figo dell’ex marito, un omone alto e
grosso. E per completare i rinforzi la sorella, una vera signora,
sopraggiungeva per rincarare la chiassata mentre “quello” se la svignava in
macchina incazzatissimo, lo si capiva da come metteva in moto, avviato in terza
[ma secondo la locuzione corretta dei dizionari: partito in quarta]. La zia,
chiaramente dalla parte di tutti contro uno, sfoggiava con piglio dinamico il
gesto del dito medio in direzione del fuggiasco ormai fuori di senno: il
digitus impudicus. L’ingiuria di origine minacciosa, atta a umiliare un
avversario negandogli l’autostima, la si trovava, se non ricordo male, già in
un epigramma di Marco Valerio Marziale, e addirittura in Aristofane [non mi
stupirebbe, ma per la citazione dovevo spulciarne le commedie una a una, una
inutile digressione]: con probabilità una usanza perfino tra i primati prima di
Eva e Adamo.
Le mie
simpatie andavano nei suoi confronti [fatti miei]. Tuttavia temevo il peggio,
mi auguravo di non assistere a fatti gravi, a fatti di violenza. Il figlio
undicenne, in preda all’angoscia infantile e strattonato dai genitori, si
buttava dalla finestra? Per fortuna no, si limitava a stare in toto senza se e
senza ma dalla parte della madre e tutto contro il padre: non per rispolverare
la storia dell’uovo… se nato prima della gallina o viceversa, ma almeno
bisognava spiegargli la sua venuta nel mondo, la cosa dipendeva anche dallo
sperma di una persona meritevole di rispetto, secondo i programmi
dell’educazione sessuale nelle scuole. Scagliare la prima pietra se ci
consideravamo privi di peccati.
Purtroppo
la cronaca nera era una realtà incontestabile e le donne [con tutti noi]
avevano tutte le ragioni di allarmarsi per chiedere giustizia, condanne severe
contro i colpevoli [criminali senza se e senza ma], a parte i casi di
omicidio-suicidio, non giustificando nemmeno i suicidi degli uomini dopo
l’uccisione di una fidanzata, di una moglie, le ex compagne per breve tempo o
in tanti anni di convivenza ma intenzionate ad abbandonarli [per ognuna,
giovani e meno giovani, sposate o no, con figli o no: fatti suoi].
Accumulata
tanta solitudine, tanta esasperazione, nemmeno il contentino di vedere i figli
imparziali nei suoi confronti [non indotti all’ostilità, indifferenti o
nemici], si presentava con un fucile, una sera, intrufolandosi fino alla porta
del loro appartamento, bussando, picchiando con i pugni, scalciando, gridando
come un ossesso, in escandescenze. Un’anziana vicina di pianerottolo telefonava
alla polizia, giustamente, con premura, dando l’indirizzo. Intanto, all’interno
la madre e il figlio vivevano una scena da incubo nello stile di un thriller alla Alfred Hitchcock, terrorizzati, finalmente la signora con il naso
aquilino allertava con il cellulare: immediata la geo-localizzazione. L’orso
dava fuori da matto perseguendo uno scopo irrazionale, la vendetta: la donna,
prima indifferente e gelida, presa dall’odio per l’uomo che l’aveva fecondata
[fatti suoi], ora se la vedeva brutta nell’angoscia dell’assedio. Il
centralinista del reparto celere consigliava di chiudersi nella toilette
mettendosi entrambi stesi dentro la vasca da bagno e intanto arrivava una
volante. L’ingresso con buchi di pallottole e squarci, quasi aperto:
l’ossesso bloccato e ammanettato, steso
sul pavimento del corridoio a pancia in giù e con le braccia dietro la schiena.
Un sospiro di sollievo: un grande spavento ma senza spargimento di sangue, come
si diceva in quell’epoca.
gilgamesh e enkidu; achille e patroclo
Bandivo
dal mio vocabolario le parole come “amore” e i verbi riconducibili a quell’area
semantica, tuttavia a chi si infatuava di una donna [o si invaghiva perdutamente e
romanticamente] consigliavo di serbare nella propria psiche, riuscendoci, uno
spiraglio per insediarci uno spigolo o un cuneo maneggevole, autocritico e
critico, una sorta di riserva mentale per alloggiarvi un escamotage oggettivo
da estrarre come dal cilindro di un mago: una consapevolezza… la cosa non
durava per sempre, l’attrazione passionale finiva, tristemente la sfilacciava
lui [fatti suoi] o la troncava lei di brutto [fatti suoi], con le conseguenze
risapute e tra le più varie, da quelle morbide a quelle sanguinarie. Quindi,
non dilungandomi con una digressione interminabile sul tema [in un poema
dedicato al mio 1973], sintetizzando, consigliavo di risolvere la questione in
breve e in piena consapevolezza, perfino con cinismo. Un atteggiamento
meschino, questo, se si vuole, ma dettato dalla conoscenza della natura umana,
scegliendo di adattarsi alla realtà.
Non ti
amo più, non mi ami più: OK, “lasciamoci senza rancore”, come in una famosa
canzonetta di non so quale decennio del primo Novecento. La cosa non avveniva
tanto facile come la facevo io [ego], me ne rendo conto. Bisognava sforzarsi in
tale direzione soprattutto preparandosi per tempo all’inizio di una love story.
Certo, così si rinunciava alla pienezza della vita vissuta, all’intensità della
felicità effimera, al giorno da leoni preferito ai cento anni da pecora, una
questione di scelte personali. Per quanto mi riguardava, quando un rapporto
affettivo finiva [semi-affettivo, nel mio caso, o del tutto anaffettivo ma in
prova per un esperimento evitando di farmi tacciare da misantropo totale], non
era mai esistito, sold out, nulla di strascicato, esauriti i posti in platea e
su fino al loggione: in perfetta solitudine nel Palco Reale.
Nel caso
di un matrimonio regolare [civile o religioso] o di una convivenza, però, la
situazione si presentava più complicata, soprattutto in presenza dei figli. I
figli soccombevano di più, il più delle volte. Con la separazione e il
divorzio, i genitori dovevano pensare con delicatezza soprattutto alla prole, i
bambini captavano le storture della famiglia formandosi un carattere
problematico, poi nell’infelicità strascicata per tutta la vita, salvo
eccezioni. Soprattutto evitando di sparlare dell’ex [uomo o donna] per non
indurre all’antipatia e all’ostilità. Minimizzando gli attriti e dissimulando
l’odio risultato dall’amore. Se ne parlava in salotto, tra amici,
chiacchierando, limitando le banalità a qualche paragrafo, nella commedia mi
sembrava opportuno mantenere vari livelli, dal comico al tragico e viceversa, e
i registri linguistici dei locutori entrati in scena o immaginati.
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il sole sotterraneo era un calorifero spento
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Ricordati,
Franz X [Franz], se una si stanca di te per qualsiasi motivo o senza motivo, e
ne ha il diritto, da donna di nome Greta X [Greta], ti molla annunciandolo con
una determinatezza definitiva, senza incrinature. Anzi, spesso gode nel
dirtelo, spesso con un godimento sessuale [notiamo le “s” ravvicinate, “sss”].
Sanno prendere in giro, deridono, umiliano senza pietà nei casi in cui
l’efficienza maschile venga meno per assuefazione e stanchezza o a causa
dell’età, di sicuro te la fanno pagare, sempre in competizione, in rivalsa, in
lotta. Non più avvenente come i fidanzati delle amiche, ingrassato, un orso.
Quindi: non reagire in malo modo, lasciala andare e trovati un’altra compagna
per ricominciare la solfa [un breve periodo di felicità e la conclusione].
Anche noi maschi non scherziamo: mascalzoni, farabutti. Smaniano per un partner
rinnovato, sia pure per breve tempo e/o per ingelosire un altro invano
corteggiato o indifferente [a meno che non abbiano un oggetto d’amore nel
proprio genere, ognuna per i fatti suoi, giustissimo, o il brutto neologismo
della singletudine]. Stare al gioco sempre all’erta, e così via. Soprattutto
non farsi coinvolgere in scene di violenza, né psicologica né fisica.
Sbagliavano
di grosso i signori maschi che minacciavano il suicidio se la relazione veniva
troncata… o il matrimonio: non scadere in questa meschinità umanamente
comprensibile. Una donna, elaborata la scelta [fatti suoi da rispettare
prendendone atto], non aspettava altro: la tua umiliazione la sbandieravano ai quattro
venti, piene di orgoglio per il proprio potere, per il proprio “ascendente”
[nel senso di “forza”]. Più volte, quando stavo nel mondo immondo prima della
clausura da “artista da vecchio”, sentivo un ritornello come questo: “Non
sopporto il ricatto… ho chiesto subito il divorzio e me ne sono andata”.
Tuttavia si restava amareggiati e angosciati di fronte ai fatti di cronaca più
eclatanti, dallo stalking duro all’omicidio, senza parole, per l’inadeguatezza
verbale, assistendo inermi alle tragedie.
Allora
si pensava, sfidando il ridicolo [o buttandola in satira], alla necessità di
istituire, in una società civile, una sorta di consultorio per gli uomini [da
organizzare all’interno dei palazzi dei Comuni e/o delle Regioni], al quale
rivolgersi per risolvere i problemi dei rapporti interpersonali M-F e per
prevenire il crimine: con un personale completamente del proprio sesso, dagli
psicologi agli avvocati, dai medici al personale amministrativo, dai religiosi
delle varie confessioni alla polizia, dagli esperti di vita vissuta con chiara
serietà comprovata agli addetti delle pulizie [di solito più energici nelle
pulizie condominiali], fino a una biblioteca e a una libreria con libri di
autori e non di autrici. Nelle letterature di ogni epoca e sotto tutte le
latitudini abbondavano i misogini o quasi, un minimo di verità doveva apparire
fondata nel loro approccio da contestare, finché giustamente nei favori delle
Case Editrici prendevano il sopravvento le scrittrici [poiché secondo i
sondaggi le donne leggevano di più la prosa narrativa].
Tuttavia
capitava di vedere coppie di anziani in buona armonia e in salute, facevano
tenerezza nell’osservarli nella vita quotidiana, capaci più volte nel corso
dell’esistenza a sorvolare sugli attriti personali: sintonizzando il proprio
carattere e le manchevolezze, i piccoli tradimenti, sopportandosi a vicenda.
Forse nell’unione, a parte l’amore iniziale, cercavano di formare una famiglia
facendo qualche figlio e quindi, poi, allegri e circondati dai nipoti con tanto
di album fotografici [più di recente sostituiti dal social network]. E non
mancavano i cani, simboli della fedeltà, e i gatti con una grinta indipendente
e trasgressiva ma tanto carini. In quell’epoca spinti dall’istinto o indotti
dallo sguardo della comunità in cui ci si trovava. Infatti, molti si sposavano
o convivevano soprattutto per convenzione, per conformismo, ma anche per una
sorta di opportunismo positivo [per solidarietà reciproca] e non importava, in
fondo, se il matrimonio restava in bianco [la prole adottata o realizzata con
le tecnologie più recenti del tipo “gestazione in provetta” possibile con lo
sperma di venditori professionisti, commercianti], o in grigio o in nero o, per
fortuna più raramente, in rosso.
In
conclusione, ritrattavo, non ero d’accordo con le mie stesse considerazioni
superficiali sui rapporti fra uomini e donne, sempre la ragione dalla loro
parte, le uniche a dettare legge nella pubblicistica, con le loro
approfonditissime analisi giornalistiche, saggistiche, psicologiche, poetiche.
Nelle case editrici. Nelle gallerie d’arte. Nei musei.
Infatti,
subito dopo gli appunti sulla canzone goliardica “omne genus demoniorum”: “et
cum desperatis/ chaos incolatis”, e mo statteve nel caos], e la penosa
digressione sul film “l’affido” rivisto o rivisitato in un’ottica personale,
non corretta, fatti miei, mi telefonava Anna X [Greta] e l’azione si situava
sia prima del suo ricovero in un reparto psichiatrico sia in seguito: ci
lavorava un nuovo primario, il dott. Paolo X [Franz], lo rimpiangevo, lo
snobbavo quando aspirava a farmi da padre adottivo. La sua guarigione in realtà
la immaginavo [comunque le facevo visita augurandole di superare la crisi],
nella finzione di una ripresa in una sorta di letteratura ripetitiva, per
errore il montaggio duplicava le stesse scene o le triplicava, stavo assistendo
inerme allo scorrere della moviola, al passare del tempo accartocciato su se
stesso.
Si
scusava per “quella volta”, già da me dimenticata, “quella volta”, il fatto mai
avvenuto, sì, per negarmi il saluto, diceva, quando mi incrociava per strada
mentre stava a braccetto cheek to cheek con Pasquale X [Franz], il collega
grassoccio in primavera con i pantaloni leggeri particolarmente attillati dalla
vita al basso ventre e intorno alle chiappe, tanto che un PPP non avrebbe
mancato di sottolineare come, così, là sembrava nudo, se ne vedeva tutta la
forma in dettaglio. E per il suo silenzio di mesi. Mi chiedeva notizie, come
stavo e come non stavo, “solita vita” rispondevo, laconico. Inoltre: poteva
telefonarmi quando lo desiderava? Ma certo. Arrabbiato? No.
Quando
volevano sedurre per il gusto di sedurre [le seduzioni gratuite o con finalità
elaborate] le donne erano impareggiabili, tutte come Milady nei “tre
moschettieri” di Alexandre Dumas: perfino in prigione l’avventuriera riusciva a
raggirare il carceriere per organizzarsi un’evasione perfetta e ritornare alle
proprie trame di spia al servizio del Cardinale Richelieu: moglie fuggitiva di
Athos, Franz X [Franz], nella fiction con altri nomi [Contessa de la Fère, Anne
de Breuil].
Prendendo
le debite distanze dal celebre romanzo d’appendice, ridimensionando questa
fabula al livello di un racconto piccolo-borghese da non prendere sul serio
[scherzando dall’inizio alla fine], mi sembrava doveroso concludere la puntata
puntualizzando [a mio avviso]: le giungeva la voce secondo cui non solo
trascuravo in via definitiva il salotto assai noto, e da un pezzo, ma mi
trasformavo in un militante radicale, in un’associazione del loco, quando si
riteneva il Partito Liberale a destra e il PCI a sinistra, passando dalla
padella alla brace, come si diceva con una frase fatta, dalla cultura alla
cosiddetta “controcultura”: “l’asfissiante cultura”, secondo Jean Dubuffet.
Quando,
da ragazzi ritardati, giocavamo il gioco psicologico dell’“alto sadismo morale”
ridevamo degli amici e dei conoscenti, perfino degli sconosciuti incrociati per
strada, immaginandone i vizi segreti, i loro giardini in abbandono abbelliti
dai lampioncini comprati nei centri commerciali per il bricolage domestico. I
tempi cambiavano, ora la mancanza di serietà assumeva nuovi aspetti, nuove
maschere ci coprivano il volto. L’Allegoria del Pettegolezzo, una Milady della
provincia italiana senza un’ampia apertura alare. Ma non in modo
disinteressato: me lo confessava, un giorno, quando ci frequentavamo, Madame X
[Greta] le chiedeva di diventare l’amante di questo e di quello, soprattutto
dei docenti universitari della banda rivale e degli intellettuali in genere,
per individuarne i punti deboli e poterli colpire al momento giusto
eliminandoli per favorire le scalate dei fedelissimi [nell’Ateneo e in
politica, nel giornalismo e nelle Case Editrici].