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il biodigestore di Calabra Maceri | |
ECODISTRETTO.
LE COSE NON DETTE SUI RISCHI DEL BIODIGESTORE
Riprendiamo in maniera sintetica i contenuti
evidenziati durante l’iniziativa del 22 luglio u.s. a Trebisacce dove, nel
dettaglio, abbiamo discusso dei possibili rischi e delle problematiche
derivanti dal processo industriale di biodigestione anaerobica il cui impianto
sarà parte integrante del cosiddetto ecodistretto che vorrebbero realizzare a
Villapiana e che sarà programmato per trattare 30 mila tonnellate annue di
frazione umida.
Una centrale per la produzione di biometano funziona
attraverso un processo di fermentazione/digestione/metanizzazione. La materia
organica – nel nostro caso la FORSU (Frazione Organica del Rifiuto Solido
Urbano) − attraverso la “digestione anaerobica” viene trasformata in digestato
e gas. Vedremo, nel prosieguo del testo, come l’utilizzo del digestato come
ammendante per l’agricoltura sia una pessima e dannosa idea con effetti
pericolosi su tutta la catena alimentare e la matrice ambientale.
Un digestore anaerobico è, dunque, a tutti gli effetti
un impianto industriale che, in assenza di ossigeno, può trattare diverse
sostanze organiche trasformandole in gas (il cosiddetto “biometano”) di pessima
qualità perché con un'alta concentrazione di CO2 (il biogas è più
inquinante del metano perché il contenuto di metano è soltanto del 55-60%) che
in genere il gestore dell’impianto vende come combustibile per la produzione di
energia elettrica e che in parte (circa il 40%) viene bruciato per produrre
l’energia utile all’alimentazione dell’impianto stesso.
Vediamo − sotto forma di domanda e risposta − le
principali problematiche, legate all’impatto ambientale, alla salute dei
cittadini e quelle di natura sociale, che generano gli impianti per la
biodigestione anaerobica.
L’impianto è sicuro e i cittadini non devono temere
nulla?
FALSO.
Gli incidenti in questi tipi di impianti, come in tutti quelli a
biomasse/biogas, sono frequenti e tutti documentabili. Fughe di gas, scoppio
della membrana gasometrica, integrità delle vasche di stoccaggio, moria di
pesci e sversamenti di liquami sono all’origine di incendi ed esplosioni, di
sversamenti incontrollati del digestato e della contaminazione delle acque. Ci
sono innumerevoli casi in Italia tutti documentabili, di inquinamento delle
falde acquifere che hanno portato al divieto di utilizzo dell’acqua anche a
distanza di diversi chilometri dall’impianto.
L’impianto non avrà alcun impatto odorifero né
d’inquinamento da emissioni in atmosfera?
FALSO. I
digestori anaerobici rilasciano emissioni in atmosfera di tipo diffuso come i
composti azotati (prevalentemente ammoniaca e ossido d’azoto), i composti
solforati (zolfo) e i composti organici volatili (i cosiddetti COV). Le tecniche
di trattamento biologico sono inoltre caratterizzate dalle emissioni di
bioaerosol dannoso per la salute umana perché potenzialmente carichi di
microrganismi patogeni. Quest’ultima emissione è maggiormente dannosa
soprattutto per chi lavoro all’interno di questi tipi di impianti. Biofiltri e
mascherine possono abbassare il livello di esposizione ma ovviamente non
annullarlo completamente. Ad ogni modo tutto ciò che viene “catturato” dai
filtri è e resta un elemento altamente tossico e inquinante comunque da
smaltire. L’effetto combinato di emissioni e esposizione prolungata genera nei
lavoratori (ma anche in chi abita nelle immediate vicinanze) effetti, anche
questi tutti documentati, di nausea, svenimento e reazioni da ipersensibilità.
Effetti percepibili nelle lunghe e lunghissime distanze sono legati alle
cosiddette “sostanze osmogene” prodotte in questi tipi d’impianti che rendono
invivibile i luoghi dove sorgono questi impianti a causa della produzioni di
cattivi odori.
L’impianto è sicuro da un punto di vista
microbiologico? È vero che l’impianto produrrà un compost di qualità per
l’agricoltura?
FALSO. La
forsu è già potenzialmente contaminata all’ingresso. È ampiamente documentata
la presenza di parassiti e microrganismi patogeni.
La temperatura necessaria per produrre il gas
favorisce i batteri resistenti alle alte temperature come i Clostridium, le cui
spore producono tossine come il botulino, o come la salmonella e dunque con
come batteri patogeni per l’uomo presenti nel digestato. In Germania uno studio
condotto su oltre 200 impianti di digestione anaerobica ha evidenziato come gli
impianti di biodigestione anaerobica possono rappresentare un serio problema
biologico per la salute umana proprio per la forte concentrazione di clostridi.
Il prodotto del processo di fermentazione della frazione organica, infatti, non
è compost ma un digestato che è a tutti gli effetti un RIFIUTO. L’Unione
Europea vede lo scarto di risulta da impianti di produzione di biogas come un
rifiuto, quindi il digestato dovrebbe rientrare nell’ambito di applicazione
della normativa sui rifiuti. In Italia la normativa qualifica giuridicamente il
digestato disciplinando le condizioni al ricorrere delle quali il digestato è
equiparabile ai concimi chimici. Lo spandimento sui terreni del
digestato/compostato provoca, con la pioggia o il semplice innaffiamento, il
dilavamento delle sostanze inquinanti. Non è un caso che la regione Emilia
Rogna nel 2011 ha espressamente vietato lo spandimento del digestato,
proveniente da impianti a biogas, sui pascoli destinati alla produzione del
Parmigiano Reggiano.
Non ci sono emissioni inquinanti perché il gas viene
solo prodotto e non viene bruciato in loco?
FALSO.
Fare biometano dalla digestione anaerobica non significa non bruciare gas nel
sito. La digestione anaerobica ed il processo di conversione in biometano
richiedono, come tutti gli impianti industriali, una quantità di energia
importante. Nei moderni impianti il 40-50% del biogas prodotto non diventa
biometano ma viene bruciato e convertito in energia termica o elettrica per il
fabbisogno dell’impianto.
L’impianto è a zero impatto ambientale perché il
biogas prodotto viene trasformato in biometano da immettere in rete?
FALSO.
La trasformazione di biogas in biometano è un processo altamente inquinante. Il
biogas prodotto dal processo di digestione è una miscela gassosa che oltre al
metano (da 55 fino al 70% in caso di umido di buona qualità) contiene anidride
carbonica (30-45%), vapore acqueo, acido solfidrico, idrogeno, ossigeno, azoto,
ammoniaca, silossani, COV e particolato. Per essere messo in rete e,
soprattutto, se lo si vuole utilizzare come combustibile per i veicoli, deve
essere sottoposto ad un processo di purificazione e di arricchimento. Un
processo altamente impattante per via delle sue fasi di lavorazione:
desolforazione, deumidificazione, trattamento dei COV e delle polveri,
abbattimento dell’anidride carbonica per aumentarne il potere calorico (il
cosiddetto upgrading) e in fine l’odorizzazione.
L’impianto è vantaggioso perché i cittadini pagheranno
meno tasse sui rifiuti?
FALSO.
Un risparmio fittizio perché, di fondo, mai quantificato né assicurato in
nessun progetto di questo tipo realizzato. La verità è che non si parla di
risparmi, ma più che altro di lauti guadagni che il gestore incasserà
attraverso gli incentivi previsti dallo Stato e, in un futuro prossimo, dalla
pioggia di euro previsti dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) per
questi e altri impianti simili, tutti annoverati dentro la cosiddetta economia circolare.
R.A.S.P.A.