Carlo
Pava
gli
imbecilli vs l’operato critico della persona
Imbecilli i contemporanei
per definizione? L’imbecille, il distratto o il malintenzionato ignaro di sé
stesso: sprovvisto di baculus o del diminutivo bacillus, né un bastone né un
appoggio, sine baculo o sine bacillo, quindi tendente a vacillare o a non reggersi
bene in piedi se non sostenendosi a vicenda fra i simili più o meno casuali
[poiché non riflette su nulla], gli adepti acritici del trend della
robotizzazione in atto. Come minimo, al giorno d’oggi gli occorrerebbe un
deambulatore ma resterebbe inadeguato. Per estensione: senza alcuna
documentazione per indifferenza e per conformismo, senza letture, senza
curiosità, senza dubbi e senza porsi domande, senza confronti diretti, senza la
virtù e la pulsione del sapere di Odisseo [a volte sbagliando ma gli errori
permettono di imparare, è la ricerca, è la filosofia anche se “debole”, per
dirla con Gianni Vattimo], analfabeta o letterato, incolto o colto, lo
spettatore passivo della TV, il lettore rintronato dai massaggi mentali e dai
messaggi subliminali dei quotidiani del potere politico. Volendo sottolineare
una digressione nella modalità della satira: le commissioni dei premi
letterari, delle arti visive e così via, da quelli provinciali o locali al
NOBEL, e i curatori di mostre intese come ammucchiate per cercare di attirare i
visitatori degli spazi espositivi, gli editor[s] o gli antologizzatori per
organizzare il pubblico ossia gli acquirenti e gli agenti dei settori del
consumismo bisex.
Tutto un bailamme
brulicante e costituente la realtà: il calderone per semifreddi. Mentre la
persona [la parola personalizzata preferita da Luigi Pareyson], il soggetto,
l’essere reale [non un numero marchiato], va rispettato come tale se decide di
non farsi interpretare dopo un’esistenza trascorsa in balia del prossimo [per
approfondire con cognizione di causa il libro del mondo immondo], giungendo a
preferire di non distinguersi nella indistinzione socio-politica, sottraendosi
agli sguardi indagatori [malevoli per definizione], nella ricerca della propria
autenticità fino al punto di fottersene se lo si considera un mero individuo,
un suddito sbiadito, la figura di un linguaggio sconosciuto, poiché soprattutto
nell’età adulta o nella vecchiaia tende a valutare in esclusiva e prioritariamente il proprio
comportamento e i propri manufatti. Perfino a livello visivo: le zone d’ombra,
le cancellazioni o gli enunciati sovrapposti, le lacune fra parentesi quadre,
quadre e non rotonde [rammemoranti la sinuosità del rettile], calcano la
frammentarietà dell’esistenza, dell’operato su cui grava la certezza
dell’annullamento a breve o in là nel tempo, nel ciclo perpetuo della fine e
dell’inizio, the end – incipit.
Carlo Pava, un dazebao,
“il 2 giugno della Repubblica Italiana”, s. d. [la datazione indicata nel retro
dell’opera], cm 50x70 [collezione pubblica, se non è stato rimosso]
Carlo Pava, la vignetta
conclusiva dell’anti-fumetto “scatole vuote – viaggio – la Banda del Colosseo”,
ixidem, 2011