Carlo Pava
prevista una scenata tra Isotta e Franz Mensch
La scena del teatro nel teatro fra Leopolda Fat e il Marchese Franz Mensch von Heimveh, un intermezzo, veniva rinfacciata da Isotta [informata con una soffiata dalle amiche di Madame de Saint-Ange]: nell’eterno fidanzato cominciava a sospettare una doppia identità, in analogia con il supereroe Nembo Kid, Superman, l’alter ego di Clark Kent, il primo in lotta contro il male e la criminalità in difesa dell’umanità, il secondo un giornalista pacioccoso [un pacioccone] in un flirt mai concluso con la collega Lois Lane. Infatti, si accorgeva dei suoi alibi studiati nei minimi dettagli: se lo si trovava accanto, poi qualcuno riferiva un’assenza del padrone di casa per impegni di lavoro [il ganzo della gallerista e tenutaria e presidentessa di un’associazione di beneficenza onlus… tra le donne più scellerate degli ambienti finanziari e democratici]. Al contrario, se non stava là, ne risultava pronta la giustificazione [per una passeggiata igienica nei pressi dell’Acquario Civico in stile liberty viennese], e nel contempo il gentiluomo omonimo ma con un titolo nobiliare alla tedesca si presentava perfino nella dépendance abitata dal maggiordomo e dalla promessa sposa, per una conversazione amichevole alla pari con i dipendenti.
Dal grande palazzo futurista, ricordiamolo dalla prima sequenza, attraverso un sotterraneo si accedeva a un piccolo edificio senza porte e senza finestre, là veniva conservata la collezione di reperti anatomici mummificati alla perfezione, come sculture con tutti i loro colori naturali. Tu quoque? C…zzo, un complice insospettabile? Però la grintosa Isotta non demordeva e, per la seconda volta liberata dopo un sequestro, dopo un’ellissi della prassi del manga all’italiana si azzardava ad attraversare il Parco dei Cacciatori di Teste, verso sera, in body rosso e jeans attillati e strappati quasi all’altezza dei glutei secondo la moda. Determinata a scoprire il segreto di Franz Mensch a costo di coinvolgersi in un’avventura dall’esito dubbio o perfino fatale. Dopotutto, sapeva di certe tecnologie nell’evoluzione dei materiali innovativi per produrre maschere iperrealistiche, adatte al cinema e per camuffarsi nella vita quotidiana [a ruba negli ambienti politici], intanto la sceneggiatura, in precedenza trascurata, doveva adattarsi al periodo 2000-2030 caratterizzato dalla de-PopArt, sia pure mantenendosi variabile e in progress e lontana dalla rigidità delle norme fumettare della tradizione occidentale. Diventava sempre più facile barare con la propria identità, con le fattezze del volto e con la percezione di sé stessi nell’insieme e degli altri. Banalizzando la formula pirandelliana dell’“uno, nessuno, centomila”: un individuo vero o una persona sintetica? Veri nella finzione e falsi nell’autenticità, poiché una definizione di “essere” non esisteva, ci si girava intorno come se si trattasse di un gioco al limite di una soluzione musicale. Quei rivestimenti delle capocce arrivavano fino alle spalle di un soggetto, con le rughe e i pori e le tante imperfezioni della pelle, senza un minimo segno nella giuntura.
Intanto, Franz Mensch, per bilanciare il bene e il male secondo le tradizioni pluri-millenarie o per farne un mix, si opponeva a tale tendenza d’avanguardia di fine Novecento, il transumanesimo o, in termini più forbiti, la post human art. Ci si dedicava con ambiguità durante il tempo libero della professione di maggiordomo. Attendeva il ritorno dell’amata da una festa di compleanno in casa di un’amica per mostrarle le due ultime grandi tavole a collage finalmente completate, i graffiti domestici con un po’ di tutto: le vedute pittoriche, troppo facili e rétro, per quanto fossero paesaggi interiori, così eccole inserite in vari stili, in varie tecniche, in una sorta di dazebao o di contro-fumetto. Un elemento-base restava la scrittura, a volte leggibile e a volte no, una idoglossia semantica o pseudo-asemantica, una singlossia, una glossia multipla, una grande onda analoga alla sezione aurea di uno studente di belle arti a vita. Decifrando per i lettori-osservatori più curiosi:
Abbaglianti i colori spenti della trama, gli alberi isolano una zona franca della metropoli, l’autunno toccato dalle luci artificiali. Ma la ragione bacata non basta a eludere l’inesistenza camminando nel fango dei viali in abbandono – il mare nella nebbia quando il sole non risplende nel sorriso.
Il mare, una forma informe. Le parole volatilizzate senza assumere una consistenza cromatica. Ogni esistenza è destinata a frammentarsi, è la cenere, la musica dell’universo, una musica notturna quando nella mente si prepara un’esplosione. Un fascio di luce come una lama conficcata nella mente, come una musica ripetitiva. Quando la notte sfoggia i programmi vacanti della TV l’atleta che ama con odio parla emettendo il veleno delle api. La moquette è il giardino. La sabbia grigia è l’orto.
Carlo Pava, “graffiti domestici - graffiti metropolitani”, 2013-2023, cm 50x70
Carlo Pava, “studi di uno studente di belle arti a vita”, 2014-2023, cm 50x70
entrambi nella modalità-spazio-tempo