Carlo
Pava un
monologo di Franz Mensch davanti allo specchioNon mi vedo un
Narciso, semmai ti vedo, o mi ritrovo nella veste del Marchese Franz Mensch von
Heimveh in un momento foriero di dubbi e di rigurgiti del pentimento, come
accadeva all’Innominato, o sono una figura
più grottesca, per quanto a volte in grado di esprimere ironie e arguzie e
invettive satiriche, il personaggino imparentato alla lontana con i pupazzi di
Fortunato Depero, Sgrunk Sgrunk Sgrunk … o Grigio Grriggio, l’alter ego
somigliante a tanti funny animals, l’amico furbetto dall’unica battuta,
“banditi”, studiata laconica per esibirsi come un intransigente fautore del
bene contro il male [in realtà una spia, forse, un informatore della polizia, e
chissà, un fiancheggiatore dei Cacciatori di Teste metropolitani].
Quanto a te, Isotta,
il nostro autore progettava un’altra sequenza, tempo fa, una scena horror in
casa di un’amica, per concludere nella sconclusione. L’epoca continua a
serpeggiare fra le macerie dei terremoti e delle guerre, non si crede più né ai
comics né ai controfumetti, perduta la fede nella letteratura disegnata [per
dirla con Hugo Pratt]. Intanto, nella vita quotidiana basta uno spiffero dalla
finestra socchiusa o dalla porta d’ingresso semi-aperta per evocare uno Iago
qualsiasi, un soffio metamorfosato in una persona perfida con tutta la sua
sindrome, fra una sindrome e l’altra, quella di Otello, quella di Stendhal,
quella di Stoccolma. La malvagità innata in tutti noi sta sempre all’erta:
entra in azione in tempo reale, subito secondo la tradizione, quando ci si
accorge dell’affiatamento di due amanti destinati al reciproco feeling per
sempre, in attesa di un passo falso o di un malinteso per riprendere il
sopravvento.
Non
è l’indifferenza il sangue che scorre nell’immagine piatta disegnata in una
torre [modernista e astratta] sotto la pioggia grigia dell’apparenza. Uno
sgorbio diroccato dove nello stesso colore tuo è mio il mio disamore.
Strappando la pagina nella luce dell’oscurità inchiodata in un’attesa: la
solita giornata nebbiosa, la solita delusione passata. L’inganno è il nuovo
futuro quando la morte si avvicina: il tuo sorriso è il mio sorriso. Ed ecco,
quindi, il ricordo della scena del labirinto degli specchi nel film “la signora
di Shanghai” di Orson Welles, 1947, con Rita Hayworth: “uccidere te è come
uccidere me” diceva il vecchio marito invalido, pistolero lui e pistolera lei.