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Il mondo non è banale? ░ Il linguaggio conveniente del Sublime Prefetto

¨ Sutta  (vedico: s ū tra; letteralmente: filo * ) del linguaggio conveniente del Sublime Prefetto ** Mia Nonna dello Zen così ha udito: una volta dimorava il Sublime Prefetto presso la Basilica di Sant’Antonio, nel codice catastale di Padua. E il Sublime così parlò: “Quattro caratteristiche, o mio bhikkh ū *** , dirigente dell’area del decreto di espulsione e dell’accoglienza e dirigente anche dell’area degli enti locali e delle cartelle esattoriali e dei fuochi d’artificio fatti come Buddho vuole ogni qualvolta che ad esempio si dica “cazzo di Buddha” o anche “alla madosca” o “gaudiosissimo pelo”, deve avere il linguaggio conveniente, non sconveniente, irreprensibile, incensurabile dagli intercettatori; quali quattro? Ecco, o mio dirigente che ha distrutto le macchie: un dirigente d’area parla proprio un linguaggio conveniente, non sconveniente, un linguaggio conforme alla Dottrina del Governo, non in contrasto con essa, un linguaggio gradevole, non sgradevole, un linguag

Un monologo di Franz Mensch davanti allo specchio

 


Carlo Pava 
un monologo di Franz Mensch davanti allo specchio

Non mi vedo un Narciso, semmai ti vedo, o mi ritrovo nella veste del Marchese Franz Mensch von Heimveh in un momento foriero di dubbi e di rigurgiti del pentimento, come accadeva all’Innominato, o sono una figura più grottesca, per quanto a volte in grado di esprimere ironie e arguzie e invettive satiriche, il personaggino imparentato alla lontana con i pupazzi di Fortunato Depero, Sgrunk Sgrunk Sgrunk … o Grigio Grriggio, l’alter ego somigliante a tanti funny animals, l’amico furbetto dall’unica battuta, “banditi”, studiata laconica per esibirsi come un intransigente fautore del bene contro il male [in realtà una spia, forse, un informatore della polizia, e chissà, un fiancheggiatore dei Cacciatori di Teste metropolitani].


Quanto a te, Isotta, il nostro autore progettava un’altra sequenza, tempo fa, una scena horror in casa di un’amica, per concludere nella sconclusione. L’epoca continua a serpeggiare fra le macerie dei terremoti e delle guerre, non si crede più né ai comics né ai controfumetti, perduta la fede nella letteratura disegnata [per dirla con Hugo Pratt]. Intanto, nella vita quotidiana basta uno spiffero dalla finestra socchiusa o dalla porta d’ingresso semi-aperta per evocare uno Iago qualsiasi, un soffio metamorfosato in una persona perfida con tutta la sua sindrome, fra una sindrome e l’altra, quella di Otello, quella di Stendhal, quella di Stoccolma. La malvagità innata in tutti noi sta sempre all’erta: entra in azione in tempo reale, subito secondo la tradizione, quando ci si accorge dell’affiatamento di due amanti destinati al reciproco feeling per sempre, in attesa di un passo falso o di un malinteso per riprendere il sopravvento.


Non è l’indifferenza il sangue che scorre nell’immagine piatta disegnata in una torre [modernista e astratta] sotto la pioggia grigia dell’apparenza. Uno sgorbio diroccato dove nello stesso colore tuo è mio il mio disamore. Strappando la pagina nella luce dell’oscurità inchiodata in un’attesa: la solita giornata nebbiosa, la solita delusione passata. L’inganno è il nuovo futuro quando la morte si avvicina: il tuo sorriso è il mio sorriso. Ed ecco, quindi, il ricordo della scena del labirinto degli specchi nel film “la signora di Shanghai” di Orson Welles, 1947, con Rita Hayworth: “uccidere te è come uccidere me” diceva il vecchio marito invalido, pistolero lui e pistolera lei.