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Il mondo non è banale? ░ Il linguaggio conveniente del Sublime Prefetto

¨ Sutta  (vedico: s ū tra; letteralmente: filo * ) del linguaggio conveniente del Sublime Prefetto ** Mia Nonna dello Zen così ha udito: una volta dimorava il Sublime Prefetto presso la Basilica di Sant’Antonio, nel codice catastale di Padua. E il Sublime così parlò: “Quattro caratteristiche, o mio bhikkh ū *** , dirigente dell’area del decreto di espulsione e dell’accoglienza e dirigente anche dell’area degli enti locali e delle cartelle esattoriali e dei fuochi d’artificio fatti come Buddho vuole ogni qualvolta che ad esempio si dica “cazzo di Buddha” o anche “alla madosca” o “gaudiosissimo pelo”, deve avere il linguaggio conveniente, non sconveniente, irreprensibile, incensurabile dagli intercettatori; quali quattro? Ecco, o mio dirigente che ha distrutto le macchie: un dirigente d’area parla proprio un linguaggio conveniente, non sconveniente, un linguaggio conforme alla Dottrina del Governo, non in contrasto con essa, un linguaggio gradevole, non sgradevole, un linguag

📖"diario" [2012-2024]⇢ una chat nella rete sociale in due parti nel mese di dicembre 2018...

 


                                                                                 Carlo Pava

una chat nella rete sociale in due parti nel mese di dicembre 2018 riportata senza evitare le sgrammaticature colloquiali e con un’aggiunta successiva

Ricordare la “canzone di Aranjuez” mi rimanda alla raccolta poetica “la finestra a ghigliottina” [Guanda, 1978], comprendente un testo del periodo di Bruxelles. Il libro sottomano [nello stile parlato e spigoloso di allora, abbastanza sbracato, più spontaneo dell’attuale]. Ne estrapolo una parte intitolata “la malinconia dei quartieri del Nord” con limature: “dopo l’accertamento dei fanciulli decaduti, / cioè che stavo in uno spazio cancellato, la / realtà non era mia, in mimesi paracula, via / sulle autostrade e a Bruxelles nelle / boîtes, allo Stuart 1900 di Jean-Paul, e al / mattino, abbracciata l’alba della giungla, / spaghettate con Jean Lamour e la sua bella e/ con i cani della mia generazione, c’era / Jacques il desperado che poi a Casablanca ha / fatto l’operazione e al ritorno si è sposata / con un patron, canzoni sigarette balli nelle / boîtes di Bruxelles, il grande Luna Park e la / gioventù che ci andava, cani e gatti e burini / gli escargots mangiati sulla via, lo scollamento / generale, il ritorno, splendori e miserie del / crepuscolo fra i parapetti”. Lascio i riferimenti presuntuosi al solito Grande Poeta dell'Ottocento. 


Guido Cesarano: “ricordo, ci conoscemmo allora”. Io: “lo so, anche per te erano bei tempi, quando lavoravi nelle Case Editrici più prestigiose, in questi tempi foschi meglio ricordare i bei tempi”. Alessandro Gaudio: “Hai condiviso il volume con mio padre, tra gli altri”. Io: “Sì, certo, per la prima volta Guanda decideva di passare dai volumetti di singoli autori ai ‘quaderni collettivi’. Introvabili o forse se ne trovano copie negli store[s] on line. La raccolta di tuo padre: V.S. Gaudio, ‘lavori dal desiderio’ [molto diversa dalla mia come stile e come linguaggio, non vorrei accennare al ‘contenuto’]”. Alessandro Gaudio: “Del tutto diversa. Ma, se vogliamo dirlo, quei volumi erano preziosi proprio nella misura in cui accostavano percorsi di scrittura autonomi. Non erano antologie, ritengo. Erano percorsi a sé stanti ma accorpati in un unico tomo”. Io: “Esatto, in quarta di copertina c'è proprio scritto: ‘Questi collettivi non vogliono inventare (né, tanto meno, imporre) raggruppamenti o linee di tendenza; a ogni singola raccolta, a ogni poeta spetta un ambito sufficiente e preciso che vuol essere sentito come quello di un libro e non come quello di una porzione d'antologia". Alessandro Gaudio: “Un esperimento rimasto isolato, poi, nell'editoria italiana. Grazie per averlo ricordato. Erano opere articolate e compiute, sia in teoria che in pratica”. Guido Cesarano: “Ho tanti aneddoti”. Io: “Vediamoci presto un'altra volta, spero, per raccontarcela di santa ragione”.



Su alcune mie vignette digitali con il personaggio Sgrunk Sgrunk Sgrunk: Guido Cesarano: “Io toglierei il romanesco, l'italiano va benissimo”. Io: “Ciao, Guido, intanto ci risentiamo a parte per sapere come va, se ti va: il tuo commento mi fa piacere, in realtà ignoro il romanesco, sto tentando una lingua italiana molto storpiata, magari con prestiti vari, con l'aggiunta di parti corrette. Il personaggio che si sta delineando da qualche giorno è doppio: dice cose volgari e turpi che esprimono il peggio della realtà contemporanea ma anche cose serie [come satira dei costumi]. Non so, mi frulla così da qualche giorno”. Guido Cesarano: “fai bene, ottima idea, ti incoraggio”. Io: “Forse l'idea è che nessuno di noi è tutto bianco o tutto nero, per cui tutti possiamo avere lati positivi e lati negativi. Questo però non vale per te che sei tutto rosso!”. Guido Cesarano: “E non lo sono mai abbastanza!”.

Ma negli anni settanta galoppava già la crisi della grande editoria, con la politica al primo posto, e veniva inventata la formula del “pubblico della poesia”, fra tanti reading[s] pubblici, più autori c’erano più c’erano compratori di libri. Per fronteggiarne l’aumento si ricorreva ai ripari raggruppandoli. Fino a diventare, inoltre, soprattutto nel trentennio 2000-2030, soggetti collettivi, come tali avvistati dal partito unico con le conseguenze, dalla controparte pronta ad allinearsi,  in fatto di ricerca di finanziamenti, sponsorizzazioni, sostegni, premi, tutto elargito a chi non sgarrava.



  • con due vignette digitali della serie “Sgrunk Sgrunk Sgrunk”