Carlo Pavala sindrome di Iago
Suggerendo la felicità della vita quotidiana, un tema filosofico del passato, per tentare di eludere le minacce del male, la malvagità innata in ognuno, perfino nei corridoi e nelle gallerie delle stazioni della metropolitana, dove l’assessore comunale tollerava l’allestimento di stanze adibite al neo-paleocristianesimo, alle nuove catacombe progettate secondo le tecnologie innovative e con arredi del design post-moderno, sui muri delle quali risaltavano i graffiti della sua simbologia. Ma più ampi e più ricchi gli spazi concessi ai culti delle altre due religioni monoteiste, in maggioranza a livello globale, la prima risolta in un’ideologia politica, la seconda più determinata a prevalere in sintonia con le proprie mire.
Restava, quindi, la possibilità di riflettere su una radicata pulsione umana: la cattiveria del captivus diaboli, l’elemento fondante, riassunta nella variante più diffusa in rima, la sindrome di Iago. Il personaggio shakespeariano, trattato per estensione facendolo evolvere in un tipo della commedia dell’anti-arte, senza bisogno di nominare Otello e Desdemona, così come la doxa lo inquadrava, racchiudeva in sé stesso una perfidia generalizzata, con l’accento sulla “e” anche se il pronome personale riflessivo veniva seguito dal rafforzativo “stesso”, secondo la norma, a parte l’uso invalso. Non solo o non sempre spinto da una invidia particolare, nel
flusso dell’esistenza si identificava nello standard sociale, nella psiche massificata, godendo fino all’eiaculazione nel proprio slip se per istinto riusciva a nuocere soprattutto ai migliori, deridendoli sia di fronte sia alle spalle e dietro le quinte, un po’ come ad Arles gli Arlesiani trattavano Vincent Van Gogh [in Francia, va specificato nel contesto coloniale d’Occidente]: i loro discendenti, poi, in piena floridezza commerciale fra negozi di souvenir[s] commemorativi,
ristoranti, bistrot[s], guide turistiche, cartolerie e librerie specializzate. Trasformando il falso in vero, l’innocente in colpevole, il talento no profit in una stupidità da stigmatizzare [nulla se paragonato alla professione di un pizzarolo], la distinzione senza apparire in TV in una eliminazione silenziosa [colpendo a distanza o in posizione ravvicinata, e zac, una coltellata, o rendendo invisibili], scagionando, così, senza pensarci, l’ingiustizia, la sopraffazione, l’arbitrio, l’amoralità, la corruzione full immersion, lo spirito persecutorio, l’astio senza se e senza ma, in un orgasmo mentale a tempo pieno.
Le immagini:
Carlo Pava, tre opere a tecnica mista su tela [fotografia, pittura, scrittura]
Orson Welles in “Othello”, 1951, la locandina del film, Otello e Iago in una stampa e in un acquarello dell’Ottocento