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Il mondo non è banale? ░ Il linguaggio conveniente del Sublime Prefetto

¨ Sutta  (vedico: s ū tra; letteralmente: filo * ) del linguaggio conveniente del Sublime Prefetto ** Mia Nonna dello Zen così ha udito: una volta dimorava il Sublime Prefetto presso la Basilica di Sant’Antonio, nel codice catastale di Padua. E il Sublime così parlò: “Quattro caratteristiche, o mio bhikkh ū *** , dirigente dell’area del decreto di espulsione e dell’accoglienza e dirigente anche dell’area degli enti locali e delle cartelle esattoriali e dei fuochi d’artificio fatti come Buddho vuole ogni qualvolta che ad esempio si dica “cazzo di Buddha” o anche “alla madosca” o “gaudiosissimo pelo”, deve avere il linguaggio conveniente, non sconveniente, irreprensibile, incensurabile dagli intercettatori; quali quattro? Ecco, o mio dirigente che ha distrutto le macchie: un dirigente d’area parla proprio un linguaggio conveniente, non sconveniente, un linguaggio conforme alla Dottrina del Governo, non in contrasto con essa, un linguaggio gradevole, non sgradevole, un linguag

i tubi di scarico dell’élite plenipotenziaria

 Carlo Pava


diario

[novembre 2020]

i tubi di scarico dell’élite plenipotenziaria

"Kapò": un film del 1959 diretto da Gillo Pontecorvo. La storia della caduta e della risalita di una ragazzina, da vittima trasformata in carnefice


dalla crudeltà disumanizzante di stampo politico, poi martire per amore. A parte il finale romantico, rivedendolo mi vengono in mente, osservando dalla finestra, le scene dell'attuale mondo immondo,


banali della più banale vita quotidiana del giorno d'oggi, diventati tutti un po' nazifascisti in un regime democratico ma in pieno trionfo della



globalizzazione malintenzionata. Una scappatoia nelle annotazioni diaristiche, nei ricordi, ossia nello sguardo del presente proiettato nel passato: un angelus antiquus.

"Non si uccidono così anche i cavalli?": un film del 1969 diretto da Sydney Pollack. Nella California dei primi anni trenta, nel pieno della Grande Depressione, è in voga un genere di spettacolo, le maratone di ballo, durante le quali coppie di disperati senza lavoro ballano per giorni interi, attratti, ancora prima che dalla vincita in denaro a chi resiste di più, dalla semplice possibilità del vitto assicurato per qualche tempo. Il tema: i gareggiamenti. L’anticamera.  Le liste d’attesa. I salotti. Le raccomandazioni. Le redazioni. I foraggiamenti restando in riga. Il pezzetto di cibo gettato al cane scodinzolante. I premi letterari. 

Qualcuno si identificava come uno spocchioso appagato nel tentare di farci credere nella qualità esclusiva delle sue scelte giudicando, selezionando i morituri: il piccolo boss li dichiarava tutti un elenco telefonico prima dell’avvento dell’android ma i tempi cambiavano e si innervosiva come un alligatore di scuola gesuitica e con una netta predisposizione per lo status di capetto o almeno di badilante in carriera. Nemmeno i critici militanti dei mass media gli credevano più e tanto meno alla sua corte in trance adulatoria, in un recinto come un hortus conclusus: controllavano il settore della letteratura aulica [ma, pagati per barare, non lo dicevano]. I giornalisti giulivi, messi là in servizio dai protettori della destra di sinistra e della sinistra di destra, non ponevano altre domande ai rampolli del Think Tank, gli esperti allineati, quelli della versione italiana da ammannire ai telespettatori, i teledipendenti rintronati, non arretrando dal fingere le similitudini volgari in realtà l’appannaggio degli oppositori defilati: un “tubo di scarico senza sciacquone” o un “cesso alla turca intasato dalle idee liberticide, dalle idee libertarie”, nel pervertimento del linguaggio. Si usa dire: parlare come si mangia, parlare facile. E se, invece, propendevo per il nonsenso? Fatti miei in un’epoca barbarica, nell’universo concentrazionario del film “kapò”.



In opposizione agli istituti di un regime non neo-autarchico, inermi e inerti dall’epoca dell’arrivo della coca-cola e immersi nella musica del boogie-woogie trascolorato in una repubblica per modo di dire, osando sgarrare nell’insieme monocromatico tutto virato in senso oligarchico. 

Quindi: la casta dei maggiordomi suggeriva altre categorie di cittadini non indispensabili alla produzione e all’economia da proteggere dall’influenza stagionale obbligandoli al decorso sperimentale delle malattie multiformi, a volte abbastanza gravi o addirittura letali [non lo nego], mentre nelle periferie dell’élite, ignorando le trame, si insinuava di brutto lo spauracchio delle deportazioni in graziose villette a schiera provviste di forni crematori nelle cantinette seminterrate in zone decentrate e desolate per non infastidire la popolazione con la puzza del fumo dei camini. L’imbarazzo della scelta: p. e. i malinconici, i depressi, gli scettici della TV seguaci di Diogene di Sinope, i dissidenti, i non-possessori di cellulari [ovviamente anche i cardiopatici, i diabetici in dialisi, i pazienti leucemici, e così via, scelti con criteri di priorità nella gravità].

  • Giancarlo Pavanello, “poesie inedite [poesie-fumetti]”, ixidem, 2010 [poesie visive, alcune pagine].

  • Locandina del film kapò – Locandina del film “Non si uccidono così anche i cavalli?”.