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Il mondo non è banale? ░ Il linguaggio conveniente del Sublime Prefetto

¨ Sutta  (vedico: s ū tra; letteralmente: filo * ) del linguaggio conveniente del Sublime Prefetto ** Mia Nonna dello Zen così ha udito: una volta dimorava il Sublime Prefetto presso la Basilica di Sant’Antonio, nel codice catastale di Padua. E il Sublime così parlò: “Quattro caratteristiche, o mio bhikkh ū *** , dirigente dell’area del decreto di espulsione e dell’accoglienza e dirigente anche dell’area degli enti locali e delle cartelle esattoriali e dei fuochi d’artificio fatti come Buddho vuole ogni qualvolta che ad esempio si dica “cazzo di Buddha” o anche “alla madosca” o “gaudiosissimo pelo”, deve avere il linguaggio conveniente, non sconveniente, irreprensibile, incensurabile dagli intercettatori; quali quattro? Ecco, o mio dirigente che ha distrutto le macchie: un dirigente d’area parla proprio un linguaggio conveniente, non sconveniente, un linguaggio conforme alla Dottrina del Governo, non in contrasto con essa, un linguaggio gradevole, non sgradevole, un linguag

fiori e florilegi e fiorellini. “diario” [2012-2024]

                                                Carlo Pava

Diario

[2012-2024]

aprile 2023

fiori e florilegi e fiorellini

Il loto simbolico del Giappone? Sembra galleggiare sull’acqua ma affonda le radici nel fondo melmoso suggerendo l’idea della purezza dell’animo alleggerito dopo una rinascita. Partire dal fango, verso l’alto, e affiorare sbocciando nella bellezza. Con la particolarità di aprire la corolla di giorno per chiuderla di notte, rappresenta la rigenerazione e la forza. Al contrario, il crisantemo in Occidente, in Italia, indica la morte definitiva.

provavo a fare come i riduzionisti, giovani e meno giovani, i quali, per sognare, riducevano tutto in scarti sempre più piccoli, e realizzavo e fotografavo un puntino su un frammento di cartoncino dipinto, beige: per andare oltre e sempre più nel minimalismo, il passaggio successivo consisteva nel cestinarlo

Continuano con le avanguardie del Novecento quando tutto è stato fatto, il refrain vittimistico. Senza rendersi conto del succo del discorso: un’ultima ondata con Fluxus e poi non restava più niente, les jeux sont faits, rien ne va plus. Innanzitutto, non obbligati a persistere se non trovano nient’altro di meglio, in tutta evidenza non vocati. Potrebbero mettersi a studiare, non solo gli immediati predecessori ma anche i lontani nel tempo e i lontanissimi, l’approfondimento di varie discipline senza limitarsi a restare al liceo e all’università, in educazione permanente da studenti a vita. Ma preferiscono la via facile dell’appropriazionismo, ossia del plagio impunito in tempo reale nel social network, senza accorgersi di diventare, come soggetto collettivo, gli specchietti per allodole nella formazione di un pubblico del settore editoriale, incline ai florilegi di campo, e di un bacino di voti in campo pseudo-politico. Come dovrei reagire? Sto bene così, sia pure continuando per una strada accidentata, in una solitudine malvista, tutto documentato, ora, più diligente e soprattutto con un minimo di autostima.

Quando mi sentivo schifato dalla cosiddetta “società di poesia”, dagli ambienti controllati dai gaglioffi, con un eufemismo, dopo “la finestra a ghigliottina”, Guanda, 1978, mi trovavo in fase ascendente, giunto là per intercessione di Enzo Siciliano [che così mi sbolognava dalla Roma di “Nuovi Argomenti” per non disturbare un coetaneo], e dopo il festival internazionale “Milano-Poesia” alla Rotonda della Besana, 1987, invitato da Antonio Porta e non da Giovanni Raboni, mi capitava, non ancora ricco come ora, nel dubbio se comprare un libro di versi o una camicia, optavo per un nuovo indumento da figo. Poi, e fino al giorno d’oggi, senza tentennamenti e/o lagni.

Ricordare il suicidio di Memè Perlini mi fa venire in mente Vinicio Diamanti [1926-2009], incontrato a Roma quando si presentava al posto di Pippo Di Marca a un appuntamento in piazza Farnese, fissato per un’intervista, a causa di un contrattempo, incaricato di chiedermi di spostarlo al tardo pomeriggio. Con la massima naturalezza, senza enfatizzare il proprio comportamento per esibizionismo o per motivi ideologici [allora invadenti nell’entourage dei soggetti collettivi del Partito Radicale di Marco Pannella], comunque in effetti il suo aspetto colpiva: indossava blue jeans con due aggiunte come risvolti in stoffa a fiorellini [del tipo hippy], zoccole estive con la suola molto alta, una camiciona da donna lasciata comoda sopra la cintura, anelli e una collana di perle colorate, un maquillage discreto e adatto alla sua età. La parola più calcata per autodefinirsi i giorni seguenti quando mi raccontava la propria storia nel suo minuscolo alloggio all’ultimo piano di un palazzo nel quartiere Prati: “femminiloide”, cosciente da ragazzino in pieno fascismo, nel 1944 evitando così di farsi arruolare soldato. Rinunciava a terminare gli studi di medicina nell’immediato dopoguerra, tenendosi occupato nel mondo del teatro e del cinema, con i regolari contributi della previdenza. Anni dopo, anni ottanta, mi telefonava, trovandosi a Milano in tournée con la compagnia di Memè Perlini, con “gli uccelli” di Aristofane alla Scala. Così lo invitavo in un ristorante dei Navigli, con noi anche Adelina Aletti, un’amica traduttrice dallo spagnolo e dal portoghese, la quale rimaneva incantata dal “personaggio” dai modi signorili, poi in privata sede lo definiva “intelligente e colto”.

Il suicidio resta sempre qualcosa di enigmatico. Nel caso specifico di Memè Perlini si trattava di depressione per essere ormai dimenticato dopo il successo negli anni settanta-ottanta nell’avanguardia del teatro-immagine, secondo la cronaca, ma non so, sembrano banalità. Possono cadere in quell'abisso anche persone in apparenza lontane da tali pulsioni. Pensiamo alla cantante Dalida, in piena attività da cantante diva. In proposito mi riprometto di trovare in qualche cassetto, per rileggerlo, nell'altra casa, un libro molto documentato di Alfred Alvarez, “il dio selvaggio”, Rizzoli, 1975.

i neologismi in rete da vagliare: “la più obbediente e zerbinata atlantista dell'ultimo secolo”, a proposito dell’attuale prima ministra de noantri”, “la Digos indaga sul benefattore che ha cancellato il murale con la uoma che allatta”

quindi, ci sono tanti esistenzialismi quanti siamo noi persone inclini all’esistenzialismo, in una nuova epoca pre-socratica sul filo del rasoio tra la fine della filosofia e, chissà, un nuovo inizio: the end – incipit – continua

Carlo Pava, un puntino su una piccola campitura beige, un tondo con la parola λόγος [semi-illeggibile], due cartoni di graffiti domestici [“foglie sbiadite” e “l’omino dei preservativi dopo una Gang Bang in casa di Madame de Saint-Ange”]