Carlo Pava
Diario
[2012-2024]
aprile 2023
fiori e florilegi e fiorellini
Il loto simbolico del Giappone? Sembra galleggiare sull’acqua ma affonda
le radici nel fondo melmoso suggerendo l’idea della purezza dell’animo
alleggerito dopo una rinascita. Partire dal fango, verso l’alto, e affiorare
sbocciando nella bellezza. Con la particolarità di aprire la corolla di giorno per
chiuderla di notte, rappresenta la rigenerazione e la forza. Al contrario, il
crisantemo in Occidente, in Italia, indica la morte definitiva.
provavo a fare come i riduzionisti, giovani e meno giovani, i quali, per
sognare, riducevano tutto in scarti sempre più piccoli, e realizzavo e
fotografavo un puntino su un frammento di cartoncino dipinto, beige: per andare
oltre e sempre più nel minimalismo, il passaggio successivo consisteva nel
cestinarlo
Continuano con le avanguardie del Novecento quando tutto è stato fatto,
il refrain vittimistico. Senza rendersi conto del succo del discorso: un’ultima
ondata con Fluxus e poi non restava più niente, les jeux sont faits, rien ne va
plus. Innanzitutto, non obbligati a persistere se non trovano nient’altro di
meglio, in tutta evidenza non vocati. Potrebbero mettersi a studiare, non solo
gli immediati predecessori ma anche i lontani nel tempo e i lontanissimi, l’approfondimento
di varie discipline senza limitarsi a restare al liceo e all’università, in
educazione permanente da studenti a vita. Ma preferiscono la via facile
dell’appropriazionismo, ossia del plagio impunito in tempo reale nel social
network, senza accorgersi di diventare, come soggetto collettivo, gli
specchietti per allodole nella formazione di un pubblico del settore editoriale,
incline ai florilegi di campo, e di un bacino di voti in campo pseudo-politico.
Come dovrei reagire? Sto bene così, sia pure continuando per una strada
accidentata, in una solitudine malvista, tutto documentato, ora, più diligente
e soprattutto con un minimo di autostima.
Quando mi sentivo schifato dalla cosiddetta “società di poesia”, dagli
ambienti controllati dai gaglioffi, con un eufemismo, dopo “la finestra a
ghigliottina”, Guanda, 1978, mi trovavo in fase ascendente, giunto là per
intercessione di Enzo Siciliano [che così mi sbolognava dalla Roma di “Nuovi
Argomenti” per non disturbare un coetaneo], e dopo il festival internazionale
“Milano-Poesia” alla Rotonda della Besana, 1987, invitato da Antonio Porta e
non da Giovanni Raboni, mi capitava, non ancora ricco come ora, nel dubbio se
comprare un libro di versi o una camicia, optavo per un nuovo indumento da
figo. Poi, e fino al giorno d’oggi, senza tentennamenti e/o lagni.
Ricordare il suicidio di Memè Perlini mi fa venire in mente Vinicio
Diamanti [1926-2009], incontrato a Roma quando si presentava al posto di Pippo Di
Marca a un appuntamento in piazza Farnese, fissato per un’intervista, a causa
di un contrattempo, incaricato di chiedermi di spostarlo al tardo pomeriggio.
Con la massima naturalezza, senza enfatizzare il proprio comportamento per
esibizionismo o per motivi ideologici [allora invadenti nell’entourage dei
soggetti collettivi del Partito Radicale di Marco Pannella], comunque in
effetti il suo aspetto colpiva: indossava blue jeans con due aggiunte come
risvolti in stoffa a fiorellini [del tipo hippy], zoccole estive con la suola
molto alta, una camiciona da donna lasciata comoda sopra la cintura, anelli e
una collana di perle colorate, un maquillage discreto e adatto alla sua età. La
parola più calcata per autodefinirsi i giorni seguenti quando mi raccontava la
propria storia nel suo minuscolo alloggio all’ultimo piano di un palazzo nel
quartiere Prati: “femminiloide”, cosciente da ragazzino in pieno fascismo, nel
1944 evitando così di farsi arruolare soldato. Rinunciava a terminare gli studi
di medicina nell’immediato dopoguerra, tenendosi occupato nel mondo del teatro
e del cinema, con i regolari contributi della previdenza. Anni dopo, anni
ottanta, mi telefonava, trovandosi a Milano in tournée con la compagnia di Memè
Perlini, con “gli uccelli” di Aristofane alla Scala. Così lo invitavo in un
ristorante dei Navigli, con noi anche Adelina Aletti, un’amica traduttrice
dallo spagnolo e dal portoghese, la quale rimaneva incantata dal “personaggio”
dai modi signorili, poi in privata sede lo definiva “intelligente e colto”.
Il suicidio resta sempre qualcosa di enigmatico. Nel caso specifico di
Memè Perlini si trattava di depressione per essere ormai dimenticato dopo il
successo negli anni settanta-ottanta nell’avanguardia del teatro-immagine,
secondo la cronaca, ma non so, sembrano banalità. Possono cadere in
quell'abisso anche persone in apparenza lontane da tali pulsioni. Pensiamo alla
cantante Dalida, in piena attività da cantante diva. In proposito mi riprometto
di trovare in qualche cassetto, per rileggerlo, nell'altra casa, un libro molto
documentato di Alfred Alvarez, “il dio selvaggio”, Rizzoli, 1975.
i neologismi in rete da vagliare: “la più obbediente e zerbinata
atlantista dell'ultimo secolo”, a proposito dell’attuale prima ministra de
noantri”, “la Digos indaga sul benefattore che ha cancellato il murale con la
uoma che allatta”
quindi, ci sono tanti esistenzialismi quanti siamo noi persone inclini
all’esistenzialismo, in una nuova epoca pre-socratica sul filo del rasoio tra
la fine della filosofia e, chissà, un nuovo inizio: the end – incipit –
continua
Carlo Pava, un puntino su una piccola campitura beige, un tondo con la
parola λόγος [semi-illeggibile], due cartoni di graffiti domestici [“foglie
sbiadite” e “l’omino dei preservativi dopo una Gang Bang in casa di Madame de
Saint-Ange”]